Capitolo 14

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Conoscevo una leggenda giapponese, quella del filo rosso del destino.

Si narra che ognuno di noi nasca con un invisibile filo rosso legato al mignolo della mano sinistra o alla caviglia sinistra. Questo filo ci lega in modo indissollubile alla persona destinata a essere il nostro grande amore, la nostra anima gemella. Si dice che siamo destinati a incontrarci, indipendentemente dal tempo che dovrà passare, dalle circostanze o dalle distanze che ci separano. Il filo rosso è lungo e forte, e non si spezzerà mai. Sarà il destino stesso a tenerlo saldo e unito finché non ci incontreremo.

Quando ero una ragazzina, lessi questa leggenda da qualche parte e me ne innamorai con tutto il mio cuore. Da quel momento, il filo rosso del destino divenne il mio simbolo,tanto che ho iniziato a portare una cavigliera rossa.

Quando ho incontrato Marco, credevo che fosse la realizzazione di quel sogno. Era un ragazzo affascinante con un sorriso contagioso. Il nostro incontro sembrava scritto nelle stelle, una convergenza perfetta di anime destinate a intrecciarsi. Passavamo ore a parlare, ridere e condividere speranze e sogni. Era come se finalmente il filo rosso si fosse manifestato nella mia vita, unendo i nostri destini con un nodo impossibile da sciogliere.

Ma col tempo, la verità mi ha aperto gli occhi. Nel mondo reale, il destino è un abile burattinaio e le leggende restano soltanto tali. Perché non esiste un amore così forte da superare qualsiasi avversità.

L'ho sperimentato personalmente ed è una delle sensazioni peggiori che si possano provare: dare una parte importante di te a una persona che la considera insignificante, che la getta via senza alcun rimorso. Alla fine, ho smesso di crederci. Mi sono rifugiata nello sport, ma ora quel piccolo e confortevole rifugio si sta trasformando in un incubo.

Dopo quell'incontro ho preso la decisione di parlare con il mio allenatore, ma le mie proteste non sono servite a nulla. Mi ha liquidata con un semplice "Adele, è così e basta. Fattene una ragione."

E così, mi ritrovo ora davanti all'ingresso della palestra, a fissare la porta con un misto di paura e rabbia. Non ho il coraggio di varcarla perché so già che dall'altra parte mi aspetta quell'odioso egocentrico con tutta la sua squadra al seguito, pronti a umiliarmi e a farmi sentire ancora una volta inadeguata. Ma è lui la parte che più mi destabilizza. Crede di essere il re indiscusso, padrone di tutto ciò che lo circonda, e questa supponenza mi infastidisce al punto da far bollire il mio sangue. È il classico bel ragazzo che spera che tutte le ragazze cadano ai suoi piedi. Ma se pensa che io cederò così facilmente, si sbaglia di grosso.

In preda alla frustrazione e all'impotenza, prendo una decisione istintiva: salterò l'allenamento. Sto per voltarmi e correre via quando vedo Nora avvicinarsi con uno sguardo minaccioso. Il suo viso solitamente allegro e caloroso è ora oscurato da un'ombra di disapprovazione, e intravedo una punta di delusione nei suoi occhi.

«Dove pensi di andare?» mi sbotta con tono severo, bloccandomi la strada. La sua voce è fredda e tagliente come un coltello.

«A casa?» rispondo titubante, cercando di non far trasparire la paura che mi assale.

«Tu non vai da nessuna parte!» mi urla, spingendomi verso la porta. Quest'ultima si spalanca contro il muro con un rumore assordante che riecheggia per tutto il palazzetto. Sto per urlare di rabbia, ma resto immobile quando mi volto e vedo che tutti, atleti e allenatori, ci stanno fissando. Mi sento nuda e vulnerabile di fronte a quel giudizio implacabile, con le mie emozioni esposte a tutti.

Stringo il borsone con forza, come se fosse l'unico punto di ancoraggio in quel mare tempestoso di emozioni, e faccio l'unica cosa che riesco a fare: correre verso lo spogliatoio. Lascio indietro Nora, che mi ha abbandonata per fare la svenevole con Mattia. Cerco di riprendere fiato e convincermi che posso resistere.

Ma è tutto inutile, perché il mostro dentro di me ha deciso che è il momento di svegliarsi. Mollo il borsone e cerco di raggiungere il lavandino per bagnarmi i polsi e rinfrescarmi, ma sento che c'è qualcosa di diverso questa volta. Lo stomaco si contrae, un'onda di nausea mi travolge, e in quel preciso istante mi rendo conto di non aver fatto colazione. La mancanza di cibo e l'accumulo di tensione si fanno sentire. La stanza inizia a restringersi intorno a me, la testa gira vertiginosamente e inizio a barcollare, cercando invano di appoggiarmi al muro. Tutto diventa buio mentre perdo conoscenza.

Battito D'aliWhere stories live. Discover now