Capitolo 15

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Sento la voce di Nora che dialoga con qualcuno che non riesco a riconoscere. Cerco di alzarmi, ma due braccia robuste mi trattengono saldamente a terra. Sollevo un braccio per schermare i miei occhi dalla luce accecante. Girando la testa di lato, intravedo una mano tatuata e un pensiero si insinua nella mia mente, ma non può essere vero. Alzo lo sguardo e mi ritrovo a fissare due occhi chiari e freddi come il ghiaccio, taglienti come coltelli che mi scrutano senza pietà. Sto per dire qualcosa, ma mi anticipa rivolgendosi a qualcuno che si trova alle mie spalle «Tranquilla, la gallina qui sta bene».

Senza esitazione, sollevo la gamba e gli sferro un calcio diretto nelle parti basse. Il suo viso si contorce in una smorfia di dolore, e io mi rialzo in piedi con determinazione. Con tutta la furia pulsante nelle vene, gli grido «Così impari, Tacchino».

Sento Nora ridere insieme a qualcun altro.

«Ti ho evitato un trauma cranico e mi ringrazi tirando un calcio nelle palle», commenta con sarcasmo.

Scrollo le spalle, senza guardarlo «Non avevo bisogno del tuo aiuto. Potevo benissimo cavarmela da sola» poi fissandolo negli occhi «E poi, scusa, si può sapere cosa diavolo ci facevi tu nello spogliatoio femminile?».

«Vorrei farti presente che in questo posto c'è un unico spogliatoio. Quindi, mia cara, prima di entrare ti conviene bussare. Oppure lo hai fatto di proposito per goderti lo spettacolo?» ribatte con un sorriso di sufficienza.

«Tu sei pazzo. Non ho intenzione di accrescere ancora di più il tuo ego».

Mi alzo di scatto, afferrando il borsone mentre Nora mi segue, ridendo incessantemente. La trascino dentro un bagno e chiudo la porta con uno sbattere secco. Non appena riprende fiato, sul suo viso compare un'espressione preoccupata, le sopracciglia aggrottate.

«Mi hai fatto venire un infarto. Quando sono entrata ed ho visto che eri svenuta, non sapevo cosa fare. Ti senti bene?»

«Sì, Nora, tranquilla. Questa mattina ero di corsa e non ho fatto colazione. Era tutto sotto controllo» dico, sventolando la mano in aria con un sorriso nervoso.

La mia ansia è stata sostituita alla velocità della luce dalla rabbia che mi bolle dentro.

«Ma guarda un po' se quello lì, arrogante, egocentrico, presuntuoso, che si pavoneggia come un tacchino, deve rovinarmi le giornate e, per di più, dovrò vedere la sua stupida faccia tutti i giorni» sbuffo, stringendo i pugni.

La risata di Nora mi conferma che non ho solo pensato a voce alta.

«Non lo sopporti proprio eh», mi dice con un sorriso complice.

«Per niente. Si crede chissà chi» ribatto con sarcasmo, lanciando uno sguardo tagliente oltre la porta del bagno.

Indossiamo i nostri completi di allenamento, ma quando usciamo dal bagno la sua immagine incombe su di me. Lascio cadere il mio borsone nell'armadietto senza degnarlo del minimo sguardo, ma la sua voce profonda rimbomba nel silenzio: «Un grazie, sarebbe gradito».

Il mio stomaco si stringe e un'ondata di rabbia mi travolge. La mia risposta non tarda ad arrivare: alzo il dito medio senza voltarmi, sentendo il calore dell'ira salire alle guance.

«Si può sapere cosa c'è di così divertente?» chiedo, perplessa a Nora.

«No, nulla. Non avevo ancora visto questo lato di te e devo ammettere che non è niente male. E poi stavo ripensando al calcio che gli hai dato» risponde, ancora ridendo.

Sono sempre più perplessa, ma decido di non lasciare trasparire il caos che ribolle dentro di me. «Dai, andiamo. Se facciamo tardi, ci tocca fare i giri di campo», dico, cercando di mascherare la mia inquietudine dietro un sorriso teso.

La mia tranquillità è ormai un lontano ricordo, ma decido di tenerlo per me.

Arresa, inizio a scaldarmi sciogliendo i muscoli. Faccio alcuni allungamenti e sento dei fischi provenire dall'altra parte. Ma siamo impazziti? Siamo forse alle superiori? Li ignoro. Mi preparo per iniziare la parte acrobatica, con capovolte, ruote e verticali con spinta.

Nora le esegue per prima. Terminata la sua diagonale, mima un gesto di bacio nei confronti di Mattia. Alzo gli occhi al cielo e le dico «Nora, tieni a bada gli ormoni».

Tocca a me. Dopo un paio di verticali, mi arrivano alle orecchie queste parole "Vuoi vedere come faccio arrabbiare quelle ballerine?". Respira Adele, devi solo stare zitta e continuare il tuo allenamento. No, ok, non ce la posso fare.

Alzo la voce «A chi hai dato della ballerina, scusa?! Ma chi ti credi di essere?».

Prima ancora di finire la frase, mi arriva una palla in pieno volto.

Lo sento ridere, «Honey, stavo scherzando. Puoi ridarmi la palla?».

Ho gli occhi iniettati di rabbia, prendo la palla e, a giudicare da come Nora sta cercando di fermarmi, devo avere una faccia che mette veramente paura. La supero. Ormai mi rendo conto di aver smesso di pensare. A passo svelto vado nella sua direzione, tenendo la palla sotto il braccio. Lui fa lo stesso muovendosi verso di me, con l'unica differenza che, con un passo, me lo ritrovo praticamente davanti. Mi sovrasta con la sua altezza, che sfiora quasi i due metri. Lo guardo attentamente e non ha nulla da invidiare ai modelli che trovi sulle riviste, capelli neri leggermente spettinati, occhi celesti e un fisico da far impazzire qualsiasi ragazza.

Alzo lo sguardo per poterlo guardare dritto negli occhi.

«Come mi hai chiamato? Brutto pallone gonfiato».

«H-o-n-e-y», dice scandendo ogni singola sillaba, cercando di farmi innervosire. La tensione tra noi due è palpabile a tal punto che si sono uniti anche Nora e Mattia.

Mi rivolge un sorriso di sfida e aggiunge «Brutto mi sembra esagerato. Non trovi?».

Cerca di allungare la mano per riprendere la palla, ma sono più veloce di lui. Con una schiacciata, la scaglio contro il muro alle sue spalle. Il mio gesto deve averlo infastidito, forse perché non credeva che sarei riuscita a fare una cosa del genere. Ma lui non sa che prima di conoscere la ginnastica artistica ho giocato qualche anno a pallavolo. Vedo la sua rabbia negli occhi, le vene del collo gonfiarsi e i muscoli sotto i suoi tatuaggi contrarsi. Sta per aggiungere qualcosa quando Mattia lo tira per la maglia e gli dice «Speed, dai andiamo. Dobbiamo allenarci».

Si volta senza degnarmi di uno sguardo, ed è in quel momento che leggo il suo nome stampato sulla maglia da allenamento: Tommaso.

Una volta non ero così. Vi assicuro che il dolore cambia le persone. Ero la persona più dolce di questo mondo, ma dopo essere stata usata capisci che devi pensare a te stessa. Non mostrerò a nessuno il mio lato fragile. Piangerò, ma in silenzio e da sola.

Chiamarmi Honey era come rievocare un passato ormai perduto, un dolce che non esisteva più.

Adesso ho la capacità di cancellare ed eliminare le persone dalla mia vita come se non fossero mai esistite. Ho perso parte della mia dolcezza e l'ho sostituita con la freddezza. Sono diventata quello che ho sempre odiato.

Battito D'aliWhere stories live. Discover now