Capitolo 53.2

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La consapevolezza che non siamo nulla mi ha travolto come un fulmine a ciel sereno, risuonando nella mia mente come un'esplosione silenziosa. Il nostro rapporto era un'incognita senza senso, privo di etichette o definizioni concrete. Mai ci eravamo riconosciuti come una coppia, né avevamo pronunciato la parola "noi". Forse il mio passato tormentato e la paura radicata di confidarmi nelle persone hanno amplificato la mia resistenza a dare forma a tutto, la mia incapacità di credere nella possibilità di essere felice insieme a un'altra persona.

Dopo quella telefonata, ho sentito l'impellente bisogno di staccare la spina, di mettere in pausa il mondo. Avevo raggiunto il limite estremo, rischiavo di essere sommersa da un'enorme onda travolgente. È stato allora che ho preso la decisione di spegnere il telefono e ritagliarmi un momento di riflessione.

Nora è rimasta a dormire da me. Sapeva, in modo enigmatico, cogliere l'essenza di ciò che stava accadendo, eppure ho apprezzato il suo silenzio complice, il suo rispetto per il mio bisogno di tacere.

Ma c'è qualcosa che mi angoscia profondamente... La mia mente, che quando decide di agire a suo piacimento, sembra non curarsi minimamente di me.

Non ho chiuso occhio per tutta la notte, ma mi sono fatta una promessa ferrea: concentrarmi esclusivamente sulla gara, mettere tutto il resto in secondo piano.

Ora, guardando frettolosamente l'orologio, mi accorgo che siamo in ritardo. Afferro un cuscino e lo scaglio verso Nora, urlando «Nora! Siamo in ritardo, svegliati!». Ancora visibilmente assopita, afferra il cuscino e se lo piazza sul viso.

«Stavo facendo un sogno meraviglioso», mormora tra il cuscino e la realtà.

«Sì, sono felice per te... ma dobbiamo andare ad allenarci».

Appena pronuncio la parola 'allenarci', Nora lascia cadere tutto ciò che ha tra le mani e si alza di scatto, in una girandola di movimenti frenetici.

«Perché non mi hai svegliato prima?», mi domanda, mentre si affretta da una parte all'altra della mia stanza, in cerca delle sue cose. Sollevo gli occhi al cielo, lasciando trasparire un sorriso complice. È davvero una persona unica.

Mezz'ora dopo, ci troviamo già sulla pedana pronte per affrontare l'ultimo allenamento prima del grande giorno. A causa della fretta, non siamo riuscite a fare colazione e abbiamo preso le prime cose che ci sono capitate sotto mano. Indosso solamente un reggiseno sportivo azzurro e un paio di shorts, mentre Nora è praticamente vestita come me, se non fosse per il colore diverso del top, che è fucsia. Nell'aria si avverte una tensione palpabile, la paura che inizia a insinuarsi nelle nostre menti. Ma anche questo fa parte della vita sportiva. Senza l'ignoto, non riusciremo mai a emozionarci. Il dubbio, l'ignoto e l'incertezza, che talvolta ci spaventavano, sono le stesse componenti che alimentano la nostra passione.

Ci stiamo riscaldando attraverso esercizi di allungamento quando, dalla porta semiaperta, vedo entrare il loro allenatore, Stefano. Il suo ingresso è come un'esplosione nella tranquillità della palestra, attirando istantaneamente l'attenzione di tutti. La mia mente si stacca dal resto del corpo, facendo crollare sulla mia testa un macigno che fino a quel momento sono riuscita a tenere in equilibrio. Un mix di emozioni contrastanti si impossessa di me: l'emozione di rivederlo e la paura di ciò che questo momento potrebbe portare. Mi riprometto di lasciare fuori tutto ciò che non è necessario, e al momento lui non rientra tra le mie priorità.

Cerco di concentrarmi sugli esercizi, ma il mio sguardo non riesce a staccarsi da Tommaso. Mentre continuo a fare gli esercizi sotto lo sguardo allibito di Nora, non posso fare a meno di notare che mi osserva intensamente.

Decido di prendere l'iniziativa e, dopo aver terminato l'esercizio, mi avvicino a lui con passo deciso. Il mio cuore batte a mille, ma cerco di nascondere l'indifferenza che mi attraversa. Quando sono abbastanza vicina, gli rivolgo un breve complimento «Congratulazioni per la vittoria». Le parole escono quasi a fatica dalle mie labbra, mentre il mio sguardo cerca di non tradire le emozioni che sento dentro di me.

Continuo a camminare, pensando di averlo lasciato alle mie spalle, ma improvvisamente sento la sua mano afferrare con forza il mio polso, impedendomi di proseguire. I miei occhi scivolano lungo il suo braccio muscoloso fino a incontrare il suo sguardo intenso. Posso vedere che è pieno di domande, tutte in collisione nella sua mente. Il suo volto, che inizialmente è contratto, si distende man mano che la nostra distanza si riduce. È evidente che anche lui cerca di nascondere qualcosa, ma la frustrazione e la rabbia si intravedono nel suo sguardo.

«Adele, si può sapere cosa significa tutto questo?», sbotta finalmente, la voce carica di tensione.

«Non mi sembra di aver detto qualcosa di così incomprensibile», rispondo, cercando di liberare il mio polso dalla sua presa sempre più stretta.

«Mi riferisco al tuo atteggiamento. Ti stai comportando come se fossi un estraneo», quasi ringhia, pronunciando quest'ultima frase con un misto di frustrazione e rabbia.

«Speed, è esattamente così. Siamo due estranei», dico a malincuore, sentendo un nodo stringermi la gola, che nascondo sia a lui che a me stessa.

«Ma che stai dicendo?" chiede, avvicinandosi pericolosamente alla mia bocca. Tuttavia, con un rapido movimento, riesco a sfuggirgli. Sospiro profondamente e continuo «Non posso permettermi distrazioni in questo momento».

Vedo la sua espressione mutare, trasformandosi in qualcosa che mi spaventa quasi. I suoi occhi, una volta caldi e affettuosi, sono diventati freddi e duri come il ghiaccio. Lascia il mio polso e, con la rabbia che gli solca il viso, mi urla «Quindi per te sono solo una distrazione!! Sai cosa ti dico, fai come ti pare».

Le sue parole, pronunciate con una ferocia che mi fa rabbrividire, mi travolgono come una valanga. La rabbia si alza dentro di me, bruciante e incontenibile, e l'aria sembra venirmi meno. Mi sento intrappolata, come se fossi dentro una gabbia di emozioni incontrollabili. Ma, strappando via le mie fragili difese, chiudo la porta alle mie spalle con un gesto determinato, facendo risuonare un rumore assordante nell'intero palazzetto. Il suono riverbera in ogni angolo, come una sinfonia di disperazione e rabbia.

Poi, con la schiena appoggiata alla porta, fisso un punto nel vuoto, cercando disperatamente qualcosa a cui aggrapparmi per evitare di crollare. Il silenzio avvolge l'ambiente, interrotto solo dal battito accelerato del mio cuore, che sembra risuonare nell'intero universo.

Una voce nella mia testa sussurra: 'Cosa ti spaventa di più in questo momento?'. Rispondo semplicemente, ma con un filo di voce «Rivivere quel periodo...».

Battito D'aliOnde histórias criam vida. Descubra agora