25. Morirò con dignità

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Aprì lentamente gli occhi appesantiti dal sonno e si guardò intorno. Era seduta su una panchina di un'altalena, accerchiata da alberi vivi e fiori colorati che conferivano all'aria un profumo piacevole. L'erba sotto i suoi piedi era verde e bagnata, una brezza assai fresca e morbida muoveva i suoi capelli scuri.

Si voltò e alla sua destra, seduto sull'altro seggiolino c'era suo padre. Sentì il suo cuore uscire dallo sterno. Non era mai comparso così vicino a lei, così tranquillo e sereno.

"Papà" lo chiamo lei euforica. Alex si voltò verso di lei sorridendo.

"Sono sempre stato fiero di te" cominciò a parlare, con quel timbro di voce paterno e affettuoso.

"E tuttora lo sono".

"Papà, cosa ho sbagliato? Continuerò a soffrire per tutta la vita?" chiese la ragazza appoggiando la testa sulla catena fredda. Alex si alzò silenzioso e si posizionò dietro di lei.

"Alla fine di ogni tunnel c'è un'uscita. La luce presto illuminerà la tua strada e sostituirà i giorni che hai sofferto, in giorni felici e pacifici" affermò Alex mentre spingeva l'altalena su cui stava sua figlia.

"Ma dovrai essere tu a trovarla, non lei a trovarti e quando sarà tra le tue mani, non lasciarla andare, tienila stretta a te come un tesoro".

Una sensazione di tranquillità si insediò nelle sue viscere dopo quelle parole, come se in quel momento avesse appena tolto dalle sue spalle una montagna che la appesantiva per anni.

Si alzò quando non sentì la presenza di suo padre alle sue spalle, lo vide allontanarsi inoltrandosi tra quegli alberi vivi e vegeti.

Non gli chiese di rimanere: forse cominciava ad accettare l'idea che non era più presente nella sua vita e che doveva andare avanti e trovare la sua luce.

La sua voce risuonava ancora nelle sue orecchie come una melodia. Il suo sorriso era stampato davanti ai suoi occhi e la fierezza con cui la guidava.

Si svegliò. Senza gridare. Senza sudare o tremare.

Non era più in quel piacevole sogno, circondata da alberi e avvolta da un piacevole profumo di rose, bensì odore di muffa e legno vecchio.

Una volta messa a fuoco la vista, si guardò intorno: era in piedi, con le mani legate a delle catene fissate al soffitto.

Dove sono? Si chiese notando mobili vecchi sparsi qua e là. La struttura era avvolta nel buio, cercò di identificare il luogo dov'era rinchiusa, ma non ci riuscì.

Riportò alla mente gli ultimi avvenimenti e al ricordo, l'agitazione prese il soprassalto. Cominciò a dimenarsi cercando in qualche modo di liberarsi, saltando, tirando e saltando ancora, tuttavia fu invano, era impossibile liberarsi da quelle catene e non faceva altro che aumentare il dolore ai polsi.

Com'è buffo il destino: prima ero io a rapire la gente, ora tocca a me essere in ostaggio. Sorrise al pensiero, gettando all'indietro la testa.

Nonostante fosse alquanto strano, si prese quell'attimo per rilassarsi dalla vita frenetica che stava conducendo. Il tempo sembrò essersi rallentato, il suo respiro essersi normalizzato. C'era solo lei e i suoi pensieri che correvano di qua e di là, accompagnata da un silenzio assordante, fastidioso alle tempie.

Sospirò chiudendo gli occhi. Era sempre stata incastrata nella sua stessa mente, una scatola colma di ricordi. Il buio si avvolge intorno a loro, come serpente, li spreme fino a far uscire il veleno più letale, scorrendo poi nelle sue vene.

Patto con il DiavoloWhere stories live. Discover now