Rose.

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- sei pronta, Rosalin? È arrivato - avevo appena finito di allacciarmi gli anfibi quando sentì la voce di mia madre; era arrivato il giorno del mio trasferimento al mio "nuovo" branco. Il giorno in cui avrei scoperto l'identità di mio padre, di quella parte che mi mancava che mi rendeva così acida, non credevo che quel giorno sarebbe mai arrivato; era come se finalmente tutto andasse al posto giusto, se devo dirlo ero agitata, mi veniva pure da vomitare. Mi alzai guardandomi allo specchio che avevo posizionato in mezzo alla stanza: jeans neri strappati, anfibi neri, maglia grigia larga e parka color militare; ero in tenuta da guerra praticamente. Mi osservai bene, i miei occhi color ghiaccio assunsero quella sfumatura di odio verso l'umanità che adoravo. Afferrai il cellulare e il borsone con le cose rimanenti, mi sollevai il cappuccio, il mio modo di fare da ribelle prese a plasmare il mio corpo mentre scendevo le scale. Camminata pesante, testa alta e occhi fissi davanti. Non mi avrebbero piegata, non mi sarei piegata. Arrivata all'ultimo piano notai tutti i miei cugini vestiti come se dovessero andare a messa, mi venne da vomitare ma non dissi nulla. Salutai tutti con un debole ciao e attraversai il corridoio senza voltarmi, i miei erano gli unici passi che risuonavano. Un'altro lupo che se ne andava, diventava quanto meno indipendente. Il sole splendeva come non mai, mi stava dando la luce che avrebbe illuminato il mio nuovo e misterioso cammino. Mia madre stava sulla veranda, proprio davanti alle ultime scale della casa; mi fermai rivolgendo però lo sguardo verso la macchina, quindi le davo il lato. - Rose - iniziò lei a parlare visto che io non ne avevo l'intenzione, almeno in questo mi capiva. - spero che questo trasloco tu lo prenda  in modo positivo, come un'occasione più unica che rara. Che ti aiuterà a crescere a diventare una licantropa a tutti gli effetti. - la voce ferma non traspariva alcuna emozione nascosta e mi resi subito conto che non c'era mai stata alcuna emozione nascosta; lei non ci teneva a me. Non solo per mio padre ma anche perché ero mezza lupa e lei odiava i lupi. - un giorno mi ringrazierai, rendendoti conto di quanto ho fatto per te; per la tua felicità. - quante stronzate sparava al minuto, quella donna. - io sono tua madre - iniziai a scendere le scale, ero stanca di ascoltarla, tanto per me non faceva alcuna differenza. Appena la macchina sarebbe partita, me ne sarei andata per sempre, dimenticandomi di quella famiglia, del dolore e della rabbia. Emozioni che non mi sarebbero di certo mancate. Diedi il mio borsone all'uomo pelato, quello nella stanza, che mi fece un sorriso di incoraggiamento. - Rosalin, spero che gli antenati ti proteggano - stavo per salire ma lo sentì chiaro e forte, la guardai per l'ultima volta, falsa come cento ma comunque la donna che aveva dato alla luce. La salutai con un gesto della mano, lei sapeva che sarebbe stata l'ultima volta e mi mandò un bacio; l'ultimo e l'unico che ricevetti. Chiusi la portiera, guardai i miei cugini sulla veranda e mi sentì improvvisamente di piangere; dopo tutto forse non gli odiavo, gli volevo bene. La macchina partì, li guardai diventare sempre più piccoli finchè non li vidi più. Appoggiai una mano sul vetro e anche la testa, chiusi gli occhi perdendomi nei ricordi finché Morfeo non mi richiamò a se, bloccando tutto la tristezza che avevo e rendendomi leggera.
- sveglia Rose - mi sentì scuotere con violenza, strinsi forte con la mano il seggiolino mugolando qualcosa di incomprensibile - tuo padre ti aspetta, ti dai una mossa! - mi sollevò dal coppetto, svegliandomi bruscamente. Il mio lupo ringhiò, lo guardai in cagnesco e lui rise vedendo i miei occhi assonnati e po' arrossati. Mi lasciò a terra, eravamo davanti ad una casa enorme, quasi quanto un palazzo imperiale. Una casa piena di colonne all'esterno che tenevano su un balcone, dove alcune persone si erano riunite a fissarmi e a bisbigliare tra loro. Era grande quanto due cambi da calcio se non di più, mi sentivo piuttosto a disagio. - dai muoviti, ci sta aspettando - con uno spintone mi fece camminare e percorrere le scale della veranda. Spalancai l'enorme porta e subito notai una cosa, molti bambini giocavano da una parte e altri dall'altra. Non si parlavano ma alcuni si gridavano contro, che bei caratterini. -Ehi Nicholas! Lascia stare quel cucciolo! - urlò l'uomo pelato.
- ma Zero, ha iniziato a parlare male di noi! - ringhiò indicando l'altro bambino biondo.
- non è vero - replicò l'altro con tono di voce troppo alto per i miei poveri timpani. - stavo solo dicendo a questo, JackAll, come stanno le cose al mondo; pare che non lo sappia. - quel tono non mi piacque neanche un po', vidi le vene del collo di Zero scattare come saette ebbi appena il tempo di respirare, che aveva preso il bambino biondo per il colletto e sollevato.
- chiudi quella bocca, sei nel nostro territorio e nella nostra casa. Almeno abbi del rispetto, moccioso - lo mollò con rabbia, lo vidi cadere e picchiare il fianco. Emise un lamento soffocato e sorrise al pelato in segno di sfida, tratteneva le lacrime. Bestia. Ringhiò rabbioso il mio lupo verso il lupo.
- alcuni non sono buoni come me - sorrise incrociando le braccia al petto.
- si è vista la tua bontà, dovrebbero farti santo - ironizzai controllando le notifiche sul telefono. Dodici notifiche niente male, pensai e guardando l'ora appresi di aver dormito due ore, lo spensi concentrandomi sulla porta davanti a me.
- era dell'altro branco, impertinenti e malefici di nascita, - mi informò il pelato.
- questo non puoi saperlo ma scommetto che se ci fosse stato il suo alpha nei paraggi, non l'avresti mai fatto. - lo guardai sorridendo; era grande e grosso si credeva forte ma in realtà era un senza palle, come tutti dopo tutto; uno che parla parla e poi nulla, se la prende con il più debole.
- sangue del suo sangue - sussurrò, spalancando la porta. La prima cosa che vidi fu un enorme cupola di vetro che dava luce a tutta la stanza che era a forma circolare, una enorme tappeto rosso che partiva dalla mia posizione fino in fondo. Era minuto di un sacco di porte enormi, aperte da dove le persone entravano a mo di fiume. Seguì il tappeto rosso, con lo sguardo, fino a quando non incontrai due anfibi dello stesso color e modello dei miei solo da uomo. Alzai lo sguardo piano piano, avevo paura di arrivare alla fine. Osservai i pantaloni multitasking fino ad arrivare alla maglia nero e dopo aver salito il collo incrociai due occhi color ghiaccio, identici ai miei.

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