Rose.

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Quella mattina mi svegliai presto, perché durante la notte avevo avuto incubi su incubi e avevo il terrore di chiudere gli occhi. Era passato un mese da quando Julia era diventata la mia guardia del corpo e non era tanto male anche se molto spesso, non chiudeva mai la bocca. Osservai fuori dalla finestra, quel giorno avrei compiuto diciotto anni. Sarei stata maggiorenne, avrei potuto essere finalmente maggiorenne per certe cose. Sarei stata più matura, più grande, finalmente mi sarei sentita padrona di me stessa e delle mie scelte. Quando era nella casa di mia madre, i miei cugini mi venivano a svegliare di soprassalto gridandomi "buon compleanno", invece quel giorno nessuno mi svegliò, nessuno mi abbracciò appena sveglia o mi tirò le orecchio mentre ero ancora mezza addormentata. Non mi dispiaceva anzi, mi sentivo più a casa qui che nella vecchia. Almeno avevo i miei spazi. Mi alzai dal letto, le ferite si erano rimarginate e i lividi avevano lasciato posto alla mia pelle rosea; il mio corpo aveva ripreso i suoi bei chili senza però esagerare, i miei occhi avevano ripreso quel colore che adoravano tutti e il mio sorriso spuntava molto più spesso, ancora di più se nei dintorni c'era Nate. Eh sì ero dannatamente cotta di lui. Mi guardai allo specchio del mio bagno e pensando a lui sorrisi dolcemente, notai i miei occhi pieni di quella luce; una luce strana, non l'avevo mai vista. Scossi il capo tenendo però quel sorriso appiccicato alla faccia. Mi spogliai e mi infilai sotto la doccia, lavai via tutto il sudore e mi lavai la faccia svegliandomi. Mentre mi vestivo la piccola rossa entrò in camera mia, sempre con i suoi soliti vestiti larghi e il suo sorriso beffardo sulla faccia. I capelli legati in una treccia alla francese la quale lasciava liberi alcuni ciuffi. Spostò il peso su un piede all'altro osservandomi.
- hai intenzione di muoverti? - sbraitò spazientita.
- ho bisogno di tempo, stai tranquilla cazzo. - sbottai infilandomi la felpa di Nate che mi aveva gentilmente regalato. Mi legai i capelli in un coda alta e infilate le scarpe ci avviammo per il corridoio.
- ah buon compleanno, ormai sei vecchia. - ridacchiò incrociando le braccia al petto. - quanti ne fai? - mi chiese dopo qualche secondo.
- tu mi fai gli auguri senza neanche sapere quanti ne faccio? - alzai gli occhi al cielo sbuffando.
- cos'è sta mattina ti sei svegliata con la luna storta? - si bloccò fronteggiandomi.
- no, piccoletta. - abbassai il busto di poco verso di lei, ghignando.
- voi lupi dal sangue blu, siete insopportabili. - sospirò Julia tornando a camminare.
- ah noi? Sembra che tu abbia costantemente un palo nel culo. - la vidi fermarsi per un secondo poi respirò pesantemente e si voltò dalla mia parte. I suoi occhi non erano più scuri ma brillavano di una luce gialla. Senti il suo ringhio nascere in gola. Senza pensarci due volte si avventò su di me ma fui più veloce, scartando a destra. Posai i palmi sul muro per poi darmi la spinta verso le scale, inseguita da Julia. Iniziai a ridere scendendo le scale ma fui messa a al tappeto. Julia si era lanciata dalla scalinata, finendomi proprio addosso. Mi voltai verso di lei e per una manciata di minuti rimase a guardare i miei occhi rimanendo immobile. Senza neanche accorgermene avevo "attivato" il mio lupo e i miei occhi brillavano di un colore simile al sangue. Alla fine con un calcio in pieno stomaco l'allontani da me. Finì contro la parte opposto scivolando atterra facendo una smorfia. - dai fatti avanti. - esordii dopo essermi alzata. La ragazza mi fissò di nuovo e dopo avermi sorriso, corse verso di me caricando con il braccio destro un pugno. Per pura fortuna lo schivai ma un altro gancio mi colpì il piena guancia facendomi perdere per alcuni secondi l'equilibrio. Mi buttai sopra di lei, sentivo l'adrenalina scorrermi in tutto il copro, contemporaneamente ci saltammo addosso rotolando poi verso la grande sala. A qualche passo di distanza le diedi un calcio facendola entrare di botto e finendo atterra, la sua testa sbattee contro il pavimento ma come se non fosse successo niente di alzò caricando di nuovo. Prima che potessi stenderla ancora ci separarono, quattro ragazzi che tenevano lei e quattro che tenevano me. Ancora ringhiavamo come due pazzo l'una contro l'altra. Ci costrinsero a metterci seduta. Avvertì subito la presenza della mia famiglia ma decisi comunque di sostenere lo sguardo della rossa.
- cosa credete di fare? - tuonò mio padre avanzando velocemente verso di noi.
- tua figlia ha la lingua troppo lunga. - sibilò Julia mentre un rivolo di sangue le scendeva dalla bocca. Mio padre mi afferrò le guance costringendomi ad alzare il viso, i suoi occhi erano in fiamme, fiamme di colore cobalto. Inghiottì la saliva che si stava accumulando all'interno della mia bocca. Un colpo secco, uno solo per buttarmi atterra con la guancia in fiamme. Chiusi gli occhi con forza, bloccando l'impatto con il pavimento. Strinsi pure la mascella cercando di darmi un contegno. Un ringhio mi invase le orecchie, seppi con certezza che Nate era davanti a me visto che la luce della stanza non mi batteva più in faccia. Aprì gli occhi, due alpha l'uno davanti all'altro; faccia a faccia. Con artigli e denti sguainati. Quattro mani caldi mi aiutarono a mettermi seduta, Helen e Julia alla mia destra e sinistra. Quasi tutto il branco di Nate ora era in posizione di attacco, i denti stretti e i pugni serrati.
- George vatti a fare un giro. - Helen gli indicò la porta con un cenno della testa. Si guardò attorno per qualche secondo e abbassando successivamente la testa, uscì con grandi falcate. Mi tirai in piedi, sostenuta da Julia che non mi guardava neanche in faccia.
- non è colpa tua. - gli dissi mentre uscivamo dalla porta, ormai la scena era finita non aveva senso rimanere.
- lo so ma non credevo fosse così esagerato. - parlò piano non mollando mai il mio braccio.
- non è la prima volta. - sorrisi dolcemente. Come quella cena dove Nate mi aveva portata per la prima volta in braccio.
- allora, cazzo, fai qualcosa! - sbraitò fissandomi finalmente:- non essere sempre la debole del branco, sei patetica. - finì lasciandomi sola nel corridoio. Mi appoggiai al muro sconsolata, dopo tutto aveva ragione. Dovevo farmi valere, non ero mai stata così debole, non avevo mai voluto la protezione di qualcuno perché sapevo proteggermi da sola.
Stavo diventando quello che non volevo essere.

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