Capitolo 12 La mia famiglia

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La serata è giunta al termine finalmente, non vedo l'ora di tornare nella mia camera, quella che mi è stata assegnata dalla scuola, e ripensare a tutto quello che mi è successo stasera, in particolar modo devo pensare ai miei genitori, quei due splendidi ragazzi che mi guardavano con occhi pieni di amore e costante preoccupazione. Quei due ragazzi che col loro amore mi hanno dato la vita che però non hanno potuto condividere con me. Hanno condiviso con me momenti che non ricordo e questo mi rattrista. E se quello che avessi visto fosse stato solo frutto della mia immaginazione? Impossibile. Io capisco sempre quando qualcosa è vero e quando qualcosa è falso e quello che ho visto stasera era decisamente vero. E' impossibile che fosse falso, altrimenti non avrei sentito il calore emanato dal corpo esile ma forte di mia madre quando mi ha stretta a sé. Non avrei potuto sentire la stretta decisa ma dolce di mio padre sul braccio e il suo profumo di pipa misto a brezza marina. Non avrei sentito il battito del mio cuore così accelerato nel petto quando Cassian mi ha stretta a lui in camera mia. Non avrei potuto sentire il terrore farmi sprofondare quando ho sentito le urla provenire dalla scuola, mi correggo, da casa mia. Sì, perché quella era casa mia, questa è casa mia. La casa che mi ha vista muovere i primi passi, che ha sentito le mie prime parole, che mi ha vista crescere felice con la mia famiglia.

Pensando a tutte queste cose non mi rendo neanche conto che ho salito le scale che portano al dormitorio delle ragazze e sono davanti a camera mia. Io però non la sento camera mia. Camera mia è quella nella torre. Un ricordo mi appare davanti agli occhi: io, i miei genitori e un altro ragazzo, del quale però non riesco a vedere il viso, in camera mia e la stiamo decorando.

Non eravamo come le altre famiglie, cioè le donne dovevano sottostare agli uomini, noi eravamo una mentalità da ventunesimo secolo.

Come faccio a saperlo?

Il ricordo continua a scorrere. Mi siedo sull'ultimo gradino delle scale, mi tolgo quelle scarpe nere col tacco infernali che mi stanno massacrando i piedi da tutta la serata, mi appoggio alla ringhiera e chiudo gli occhi cercando di sprofondare in quel momento che mi è stato rubato, che la mia mente mi ha tenuto nascosto per sedici anni

<<Ma che fai?>> chiede mio padre a mia madre che ha appena fatto un segno rosso sul viso perfetto e scolpito del mio papà.

E' così buffo vederlo con quel segno sulla faccia. Di solito è sempre ordinato, mai un capello fuori posto e oggi invece ha un vestito vecchio e tutto rovinato, i capelli non sono neanche pettinati e mostrano il loro naturale movimento e le ciocche rosso fuoco, lo stesso colore dei miei capelli, il suo viso è tutto segnato dalla pittura rossa che mia madre si diverte a mettergli in faccia e tutto questo solo per la sua bimba, solo per me.

Scoppio a ridere, un po' al pensiero di mio padre in questo stato e un po' per quello che gli ha appena fatto mia madre

<<Ah si demonietto? Ridi del tuo vecchio?>> dice e cerco di tenere un'altra ondata di ridarola.

Mia madre mi osserva e scoppia a ridere e io non ce la faccio più e mi lascio andare ad una fragorosa risata che mi fa dolere lo stomaco e la mascella

<<Ok, se è così che stanno le cose. Aike!>> urla mio padre

O no, Aike no. So già come andrà a finire, le donne della famiglia perderanno contro gli uomini. All'improvviso sento qualcuno raggiungermi da dietro e stringermi le braccia. Poi mi prende in braccio, anzi, mi mette sulla sua spalla a testa in giù. Comincio a protestare e tiro pugni più forte che posso alla schiena di Aike, ma non gli faccio niente. Mio fratello è troppo forte.

<<Aike, lasciami andare!>> dico scoppiando a ridere ancora

Non riesco mai a stare seria

Helven: tra inferno e paradisoWhere stories live. Discover now