2-Il primo sole.

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Cassia era seduta sul pavimento, le gambe incrociate una sull'altra, stese sulla fredda roccia, nell'aria aleggiava la puzza di chiuso.

La sua prigione era contrassegnata da tre pareti di dura pietra, di cui una presentava una piccola e stretta finestra da cui usciva un filo di luce, la quarta invece era completamente magnetica, caratterizzata da un'invisibile campo di energia.
Il ticchettio della pietra che Cassia tirava contro esso, era l'unico suono che udiva da giorni. Erano tre i giorni di prigionia che aveva passato a scontare il reato per essere ciò che era.

Qualche giorno prima si era arrampicata sul muro per scoprire cosa ci fosse dietro quelle spesse pareti di tufo. Si era rotta nell'arrampicata, qualche altra era saltata del tutto, lasciando solo del sangue secco sulle punte delle sue dita sporche. Aveva trovato solo una distesa di verde infinito, che ricambiava il suo sguardo immobile. Più in là, dove l'erba si era fatta più alta, il vento le permetteva di ondeggiare ad un ritmo calmo e rilassante. In seguito Cassia perse l'equilibrio, atterrando sul duro pavimento, sentendo le fitte di dolore attraversarle la schiena. Sul suo corpo erano presenti lembi di pelle bruciata, striature causate dal tocco innocuo dell'invisibile campo di energia che le impediva l'uscita. Talmente tanto trasparente da farle credere che, non appena ripresa conoscenza, avrebbe avuto via di fuga, ma dopo essersi scontrata contro centinaia di chilowatt aveva realizzato di essere intrappolata inevitabilmente dentro quel centimetro cubo di spazio.

Ogni tanto qualche serva scendeva a controllare che la ragazza fosse ancora in vita, visto che lei restava immobile, con le spalle al muro e gli occhi fissi sul pavimento. Dalle sue labbra non uscì il benché minimo suono, nemmeno il sibilo di un respiro.

Il giochetto con la pietra cessò quando Cassia udì il rumore dei passi provenienti oltre lo scudo invisibile, le sembrarono gli stessi che la portarono via da tutto ciò che aveva e da suo padre.

Chissà cosa avesse pensato il povero uomo, tornando a casa stanco dal lavoro e non trovando la figlia. Chissà quale fu la sua reazione, quando varcando la soglia con la speranza di trova un piatto di brodo caldo pronto a riscaldarlo scoprì invece la desolazione e la solitudine che gli avrebbe freddato anche il cuore.

In cuor suo, Cassia sapeva che il padre l'avrebbe cercata sino in capo al mondo. Decise che non avrebbe mai perso la speranza di rivederlo.

Il suo sguardo non si spostò neanche per sbaglio dai sui suoi pantaloni stretti ed il suo maglione largo e ormai sporco che indossava. Solo con la coda dell'occhio intravedeva l'ombra di un vestito lungo, ma non troppo ampio.

Quando fu davanti a lei, sentì la presenza della donna a qualche metro di distanza, mentre invece a separarle c'era più di quanto non sembrasse.

Cassia non alzò lo sguardo mentre l'anonima figura si schiariva la voce.

«La Deyanira è stata convocata dalla signora Dea Demetra in persona, non accetterà una negazione a tale sua richiesta.»

«Per quale ragione?»

«Non sono tenuta a recitare le parole dette della mia Dea.»

«Allora dille che ho avuto qualche problema e dovremo vederci un'altro giorno, desolata.»

«La mia signora non accetterà-»

«Non accetterà una negazione a tale richiesta.» Cassia la interruppe, ripetendo le stesse parole pronunciate poco prima. «Dille pure che se pensa di avermi imprigionata per trasformarmi in una serva come ha fatto con te, si sbaglia.»

«Non parlate di me in questo modo.»

«Sei tu quella che parla in uno strano modo.»

Fu' allora che Cassia puntò gli occhi su quelli della sconosciuta. Sembrava giovane, più giovane di quanto dimostrasse la sua voce. I suoi capelli biondi erano tirati su in modo tale da avere una coda di cavallo perfettamente pettinata. Indossava un corsetto di pelle nera, una lunga gonna dello stesso colore le copriva i piedi ed un grembiule bianco spezzava la monotonia della tinta unica. Una cinta argentea le assottigliava la vita, al centro vi era una lastra circolare, in cui vi era incisa un triangolo che era diviso orizzontalmente da una linea, simbolo che inconfutabilmente rappresentava il segno d'acqua. Era un Bloodwater.

Cassia |h.s.|Where stories live. Discover now