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La prima cosa che noto della casa di Adam è che è tre volte più grande della mia. Non che io e la mia famiglia siamo dei poveracci, ma la differenza tra il mio tenore di vita e quello del ragazzo al mio fianco è visibile da chilometri. -Che lavoro fanno i tuoi?- gli chiedo mentre percorriamo il vialetto asfaltato e saliamo le scale in marmo che portano al grosso portone.

-Mio padre è un chirurgo plastico- risponde distrattamente, cercando qualcosa nelle tasche dei pantaloni. -Cazzo, dove sono?- sbuffa, quindi tira un calcio alla porta e comincia a camminare, sovrappensiero.

-E tua madre?

-Georgiana? Faceva la modella e... altre cose, prima di ammalarsi.- Adam fa spallucce.

-Quale malattia?- corrugo la fronte, curiosa.

-Depressione.

-Oh.- Mi stringo le braccia al petto, a disagio. -Mi dispiace...

-A me no.- Distoglie lo sguardo, stringendo nervosamente le labbra.

-Davvero?- alzo un sopracciglio. Prima che possa rispondere la porta viene aperta da una ragazza. Questa guarda prima me e poi Adam, dopodiché sorride cordialmente. -Signorino, ha dimenticato qualcosa?

-Le chiavi, Amèlie.- Vedo che il comportamento del ragazzo cambia impercettibilmente e mi domando perché.
La ragazza torna a guardarmi, sorridendo sempre in modo robotico. -Intende queste?- e si alza lievemente l'orlo della divisa nera e bianca da cameriera, scoprendo un mazzo di chiavi incastrato tra la pelle pallida e il reggicalze.

-Sì.- Adam sorride, alzando un sopracciglio e tendendo una mano verso la ragazza. Questa prende l'oggetto e lo lascia cadere sul suo palmo, quindi si tira indietro per farci entrare. Io rivolgo un'occhiata stupita ad Adam, che però mi ignora. -Mia madre...

-La sta aspettando, signorino.

Quando entriamo nella camera l'odore di fiori morti mi toglie il respiro. È una stanza enorme, con scaffali alti fino al soffitto e pieni di libri, un'enorme finestra che da ai giardini ed una pesante scrivania posta davanti ad essa, con sopra una lucida macchina da scrivere nera. Noto subito la donna seduta dietro la scrivania, con i piedi stretti in delle scarpe dal tacco vertiginoso appoggiati sul legno e la schiena sprofondata nella sua grossa sedia girevole. La donna tiene una lunga sigaretta tra due esili dita e guarda il vuoto, rigirandosela pigramente tra le dita.
Adam si chiude piano la porta alle spalle e fa per dire qualcosa, ma la donna lo precede: -Esci.

Il ragazzo sorride e scuote la testa, pronto a ribattere, ma lei lo zittisce una volta per tutte, dicendo: -Esci, o non vi aiuterò.

Adam stringe le labbra tremando dalla rabbia, quindi esce, sbattendosi la porta alle spalle.
Ora siamo solo io e lei. Provo talmente tanta ansia che accarezzo l'idea di buttarmi dalla finestra e farla finita una volta per tutte. Nereus ne sarebbe entusiasta.
La donna mi continua a guardare, squadrandomi dall'alto in basso, sfiorando con le labbra perfette la sottile sigaretta, studiandomi come se fossi un'interessante rana morta durante una lezione di scienze. La bellezza della donna è qualcosa di straordinario, anche se ha i biondi capelli arruffati e gli occhi azzurri spenti, privi di vitalità. -Vieni avanti- ordina. Io faccio come vuole lei, fermandomi a circa un metro dalla scrivania in legno. -Perché sono qui?- mi azzardo a chiedere. Quella donna mi incute troppo timore, quindi abbasso lo sguardo.

-Perché volevo conoscerti- risponde lei, posando graziosamente i piedi a terra ed alzandosi in piedi. Indossa un vestito nero molto chic, accollato sul davanti ed aperto in un profondo scollo sulla schiena. Se i capelli non fossero così in disordine direi che sta per andare ad un'importante appuntamento, magari con qualche capo di stato senza una moglie. -Sei molto bella, Blue.

Enchanted ||VINCITRICE WATTYS2017||Where stories live. Discover now