Capitolo 2

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Mi buttai sul divano senza nemmeno togliermi la giacca di jeans. Chiusi gli occhi e feci un resoconto del mio primo giorno di scuola: due compagne di classe stravaganti, insegnanti che avevano già chiarificato l'intensa mole di lavoro da svolgere, un ragazzo talmente bello e misterioso da togliere il fiato. Davvero un bell'inizio, pensai. Sospirando, mi portai le mani alle tempie, i palmi freschi, mi strofinai il viso. Non riuscivo a non pensare a Nathan. Quella strana sensazione di pericolo che avevo percepito quando mi era passato a fianco mi vibrava ancora nella spina dorsale. Lui rappresentava la classica immagine del cattivo ragazzo, quella che descrivono nei libri e mostrano nei film: pericoloso, attraente, irraggiungibile. Non avrei dovuto evitare, tipi così? Non promettevano nulla di buono.

- Tesoro, ero preoccupata. Non mi hai scritto che eri arrivata - mi osservò attentamente e continuò: - Sei appena tornata, vero? Hai ancora le scarpe addosso. Non mi avevi detto che avresti fatto così tardi.

- Scusa, mamma. Il mio telefono è morto quando sono arrivata in stazione. Il treno era in ritardo, c'era un guasto sulla mia linea - dissi, colta di sorpresa. Non l'avevo nemmeno sentita entrare.

Aveva i capelli di un castano chiaro, con riflessi ramati, arricciolati dalla messa in piega fatta il giorno prima. Sua sorella faceva la parrucchiera; per questo mia mamma si faceva fare i capelli di domenica mattina. Una pila di quaderni sotto il suo braccio sinistro sovrastava la valigetta arancione, stretta tra le dita. Insegnava nella scuola elementare del paese, a due classi del secondo anno. Era stanca e troppo in pensiero per me, lo si leggeva negli occhi, eppure lo sapeva che i treni non erano mai in orario. L'unica cosa di puntuale che ha la nostra linea ferroviaria è la comparsa dei minuti di ritardo sul display della stazione, nel momento esatto in cui il treno dovrebbe già essere arrivato.

- Dai, raccontami tutto. Com'è andato il primo giorno? Ti sembra una buona scuola? -. Si liberò dei pesi e si lasciò cadere sul divano, stufa di quei pensieri che solo una maestra può avere, trattando i bambini della sua classe come se fossero i suoi.

- Diciamo che è stata una giornata intensa. Se sia buona lo scoprirò presto, per ora sembra sicuramente meno restrittiva della mia, ma molto più dura per quanto riguarda lo studio -. La vecchia scuola era ancora la mia scuola; mi ci sarebbe voluto un po' per identificare quella nuova come mia.

Andai in camera, sperando che non volesse approfondire l'argomento. Non ora. Sapevo che voleva più dettagli, ma non avevo voglia di parlarne. Non era andato male come primo giorno di scuola, non avevo nemmeno fatto brutte figure. Non così eclatanti, per lo meno. Era solo che avevo la mente distratta; distratta dal suo viso che prendeva forma ogni volta che chiudevo gli occhi.

Mi ripromisi che a cena avrei raccontato tutto meglio alla mamma. Mio padre non sarebbe tornato a casa, quella sera, era via per lavoro e sarebbe rientrato solo nel fine settimana. Succedeva spesso. Così, a pranzo o a cena, quando eravamo sole, la mamma aveva tutta la sua attenzione su di me, riempiendomi di domande come se fossi sotto interrogatorio.

°°°

- Sai, le mie due nuove compagne sembrano simpatiche. Una si chiama Jennifer, l'altra Arianna -. Tirai fuori l'argomento dopo un paio d'ore passate chiusa in camera, quando mi accovacciai sulla sedia mentre la mamma mi versava una semplice pasta al pomodoro nel piatto.

- Eravate di più nella vecchia classe, vero? Ah, bisognerebbe proprio sfatare questo mito che gli istituti tecnici sono per maschi. Così le ragazze si sentirebbero più libere di scegliere un percorso tecnico piuttosto che umanistico, se lo preferiscono -. Nessuno ama polemizzare quanto lei.

- Sì, eravamo in cinque. Ma meglio così, i ragazzi sono meno complicati -. Forse. Non ne ero poi così sicura, dopo aver conosciuto Nathan.

ADULARIA - La LeggendaWhere stories live. Discover now