Capitolo 7

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Non avevo mai provato nulla del genere, prima di allora. Ho sempre avuto bisogno di decifrare i miei sentimenti, tutto ciò che provavo, sentivo, percepivo, lo categorizzavo e lo archiviavo nelle varie cartelle della mia mente. Tutto ciò che proveniva dal mio cuore, tendevo a controllarlo e a bloccarlo non appena varcava una certa soglia. Ho sempre avuto bisogno di tenere tutto sotto controllo, ecco.

Il vero problema era che quello non lo riuscivo proprio a controllare. Quella disperata voglia di vederlo. No, quel disperato bisogno di vederlo. Sì, perché non si può non parlare di bisogni. Come quando hai la gola arsa dopo una corsa lunga e faticosa e hai bisogno di bere un bicchiere d'acqua rigenerante. Quella sensazione che ti rivolta lo stomaco, come quando sei sulle montagne russe e stai per affrontare la ripida discesa. Ci arrivi con calma, pian piano, e poi, in un colpo, ti senti lo stomaco salire sempre più in alto mentre il tuo corpo scende, sempre più veloce. Quella sensazione bruciante. Quell'amore che ti consuma. Alla fine, era tutto ciò che avevo sempre desiderato. Perché, nonostante impedissi ai miei sentimenti di uscire allo scoperto, in realtà, ero una di quelle ragazze che si possono dire "inguaribili romantiche".

Un vento freddo agitava i miei capelli, così come le foglie degli alberi, mentre camminavo accanto a Nathan, cercando di restare al suo passo. Ottobre era arrivato portando ancora più scompiglio di quanto non avessero fatto le ultime due settimane del mese precedente. Nathan mi circondò le spalle col braccio. Sentii il suo calore combattere il freddo che si stava insinuando sotto ai miei vestiti. Iniziò a piovigginare, dolci e morbide gocce mi picchiettarono il viso.

- Rallenta, non ti sto dietro - dissi, rischiando di inciampare da sola, pestandomi i piedi. Il suo braccio attorno a me condizionava la mia camminata, costringendomi a fare il doppio dei suoi passi. Nathan si abbassò verso di me, i suoi capelli che sfioravano il lato del mio viso. 

- Sei tu che mi dai il ritmo - mi sussurrò all'orecchio. Un brivido mi corse lungo la schiena, il mio cuore si riempì di gioia. Sorrisi, ma cercai di nasconderlo. Respirai profondamente, come non facevo da tanto. Mi sentivo esplodere. Presi coscienza del battito del mio cuore per cercare di rallentarlo; andava a tempo con la pioggia battente. Ben presto, si unì al battito di Nate, in una sensazione già familiare, nonostante fosse accaduto per la prima volta solo il giorno prima. Non avevo idea di cosa fosse, ma qualsiasi cosa potesse essere, sapeva donarmi pace ed equilibrio, facendomi sentire speciale. E facendomi camminare insieme a Nate allo stesso ritmo, senza più rischiare di cadere.

Attraversato il cortile e il parcheggio della scuola, ci rifuggiamo nella sua auto. Guidò in silenzio, come sempre; e come sempre io non riuscii ad aprire bocca. Essere timidi e introversi probabilmente ha più contro che pro.

Parcheggiò davanti alla stazione.

- A che ora prendi il treno?

- 13.59.

- Vieni dietro, voglio averti più vicina - mi disse, senza guardarmi, con una voce distante. Imbarazzata, scesi dal lato del passeggero e salii sui sedili posteriori. Mi accovacciai vicino a lui e, con una semplicità di cui non mi credevo capace, appoggiai la testa sul suo petto. Si alzava e si abbassava regolarmente. Quando avevamo raggiunto questa intimità? Com'era accaduto?

- Nate, - dissi in un filo di voce - il tizio con cui parlavi alla festa, prima di trovarmi svenuta, era il prof. di matematica?

- Sì. Il suo vero nome è Ribon - le sue parole uscivano a fatica, era quasi faticoso per lui condividere queste informazioni; ma aveva capito che riuscivo a percepire che qualcosa non andava, qualcosa che i nostri compagni, i nostri amici, non avrebbero mai notato.

- Come mai lo conosci? - alzai le sopracciglia, sorpresa che il mio nuovo insegnante potesse avere un vero nome. Cosa significava?

- Io e lui abbiamo origini molto antiche, Jade. C'è una cosa di cui ti devo parlare, prima che sia troppo tardi - il suo tono lontano lasciò trasparire una certa preoccupazione. Guardava fuori dal finestrino, il braccio rilassato attorno alle mie spalle, con le dita affusolate giocava con la manica della mia maglia.

ADULARIA - La LeggendaWhere stories live. Discover now