Capitolo 16

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L'idea era quella di fingere che andasse tutto bene. Alla fine, detta in modo semplice, era questo che mi stavano chiedendo. Era questa la pillola che mi volevano far ingoiare tra gesti e parole poco convincenti. Volevano che tornassi, senza di lei. Volevano che dicessi a tutti che stavo bene. Che anche Arianna sarebbe stata bene. Presto, sì; presto. Quanto presto?

- Riusciresti a tornare a sederti al tuo posto se Mirco fosse in coma? - provocai Nate, mi osservava triste dall'altro capo del tavolo.

- Si tratterebbe solo di un paio di settimane, per quietare le acque. E solo quando sarai guarita. Sei migliorata in questi giorni, ma finché non riesci a riprendere tutte le funzioni abituali del tuo corpo, compreso mangiare, non puoi tornare a scuola - cercò di convincermi Claudia, tono piatto e occhi gonfi. Nemmeno lei si era ancora ripresa. Si sentiva responsabile dell'incidente, perché era lei al volante. La verità, però, era che la colpa di tutto ero io.

- Non ci tornerò nemmeno quando starò bene. Dobbiamo fare qualcosa. Subito! Per quanto ce ne staremo qui a subire la loro crudeltà? - cercai di alzare la voce, con scarsi risultati. Il nervosismo la ruppe e la fece tremare più volte. Non avevo tempo per tornare a scuola. Avevo bisogno di capire cos'era successo quella notte. Avevo bisogno di capire chi ci aveva fatto andare fuori strada. Di chi era quella intensa luce viola. Ma era abbastanza ovvio che Cayenne e i suoi c'entravano qualcosa.

- Ok, cerchiamo di rimanere tranquilli. Ripetetemi cosa avete visto, sentito, qualsiasi cosa ricordiate di quella sera - Nathan cercava di riordinare i pezzi dell'accaduto da giorni, ma non era soddisfatto delle nostre risposte. Sembrava mancasse qualcosa, qualche pezzo che non ricordavamo. O che non gli dicevamo. 

Nello specifico, ero io a non avergli detto molte cose. Non gli avevo ancora detto che potevo sopravvivere senza l'adularia al collo. Non gli avevo ancora detto di Devis, di aver indossato la sua felpa per via del drink rovesciato. Di aver visto il suo ricordo della madre, nella foresta. Il suo doppio gioco con Cayenne e Jennifer mi disturbava parecchio. Tutto dentro di me era confuso e agitato come il mare in burrasca. E con Arianna in ospedale, quelle cose non dette passavano in secondo piano. Capire come poterla salvare era molto più importante.

- Eravamo in macchina - iniziai a raccontare per la terza volta - Arianna dormiva, era sdraiata nei sedili posteriori. Io e Claudia parlavamo, aspettavamo di smaltire l'alcol che avevamo bevuto. Non era tanto, soprattutto per Claudia, ma non volevamo rischiare comunque. E poi avevamo bisogno di un po' di tranquillità prima di tornare a casa di Arianna - Claudia faceva "sì" col capo, seguendo attentamente il mio racconto e confermando ciò che stavo dicendo.

- Dopo un po' mi sembrava che qualcuno mi osservasse, - proseguii, riportando alla mente quella fastidiosa sensazione - così guardai fuori dal finestrino, ma non vidi nessuno.

- C'era qualche ragazzo, erano ubriachi ma si sono allontanati subito. Umani, comunque - precisò Claudia.

- Esatto - sospirai. Ora arrivava la parte più difficile: - Così avevamo deciso di ripartire, ma la cicatrice, poco dopo essere partite, aveva iniziato a farmi male. Pulsava, mi dava come delle scosse, mi faceva così male che non saprei nemmeno descriverlo. Non mi aveva mai fatto così male prima. E poi ho visto quella luce. Era viola, un viola intenso. È stato un attimo, come un bagliore, un lampo viola, - Nate si lasciò cadere sullo schienale della sedia - come quando hai affrontato Ribon al bar - aggiunsi, rivolgendomi a Claudia.

- Cosa hai detto? - Nathan sembrava incredulo. Lo guardai con troppa ostilità. Non sapeva nulla nemmeno di quel giorno. In effetti, gli avevo scritto un messaggio dicendogli che gli avrei raccontato tutto non appena ci saremmo visti. Il problema, però, era che dopo non l'avevo più visto. E la cosa mi faceva arrabbiare.

ADULARIA - La LeggendaWhere stories live. Discover now