Capitolo 10

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Come d'accordo, io e Arianna ci trovammo al bar della stazione. L'autunno era nel pieno della sua forza, vento e precipitazioni abbondanti segnavano giornate sempre più fredde. Le foglie, però, non risuonavano più al calpestio dei passanti, impregnate della pioggia dei giorni appena trascorsi. Quello spettacolo di colori, caldi e vivaci, che regalavano le foglie secche cadute a terra, era già un'immagine sbiadita. Mi tolsi la giacca e presi posto davanti ad Ari, sistemandomi i capelli scompigliati dal vento che mi aveva accolta appena uscita dal treno. Arianna aveva gli occhi stanchi e sbadigliava lentamente, segno che aveva passato un'altra notte a studiare.

- Buongiorno - le dissi, sorridendo. Mi strofinai le mani, un po' per scaldarle, un po' per cercare di smaltire la tensione. Avevo provato a immaginare i diversi scenari delle sue possibili reazioni. Avrebbe potuto ridere, mostrando quanto fosse assurdo poter credere a pietre magiche, Elementali e guardiani. Avrebbe potuto... urlare? No, sarebbe stato esagerato e, inoltre, non mi sembrava proprio il tipo di persona che reagiva così. Se avevo imparato a conoscerla davvero, non avrebbe battuto ciglio. Avrebbe semplicemente elaborato nella sua mente pensieri che avrebbe tenuto per sé, per lo meno finché non fosse saltata fuori l'occasione per riparlarne.

- Ehi, finalmente! Ti stavo per chiamare.

- Il treno era in ritardo, scusa.

- Macchiato o cappuccino? Vado ad ordinare, tu tieni il posto - mi fece l'occhiolino. Sapeva che odiavo ordinare. Tutte le situazioni in cui dovevo pagare, chiedere qualcosa, avere un minimo contatto con baristi, cassieri, negozianti vari, erano situazioni di ansia e imbarazzo per me.

- Cappuccino, grazie Ari -. Poco dopo, la vidi sparire in mezzo alla folla agitata di pendolari che reclamava forti dosi di caffeina.

- Signorina Vega, buongiorno - una voce fredda anticipò la sagoma di Ribon, che prese il posto di Arianna. Deglutii a fatica. Il suo arrivo mi aveva colto di sorpresa. Non avevo ancora avuto modo di vederlo, dopo aver scoperto che era un guardiano. E che voleva uccidermi. Ogni parte di me si irrigidì, strinsi i pugni sotto al tavolino di legno del bar.

- Salve, professore! - mi sforzai di sembrare sorpresa del suo arrivo in maniera positiva. La mia voce, però, uscì incerta e tremante, esageratamente acuta.

- Approfitto di questo incontro per parlarti di una cosa - contrariamente alla mia, la sua voce era ferma e sicura; non tradiva alcuna emozione.

Ad un tratto, qualcosa iniziò ad essere diverso; non era come tutte le volte che l'atmosfera cambiava per la presenza di Nate, di una nostra connessione, di una mia visione. Questa volta, era qualcosa di molto più oscuro. Una luce rossa si stava diffondendo, venendo nella mia direzione. Iniziavo a perdere coscienza del mio corpo. Sentivo bruciare gli occhi, ma non riuscivo a sbattere le palpebre. Un ronzio riempì la mia mente, non c'era spazio per i miei pensieri, per il mondo che stava andando avanti. Senza di me.

- Mi dica - dissi, automaticamente, come se non fossi davvero io a parlare.

- Ah, non ci credo! È davvero lei, prof.? - una ragazza arrivò dietro di me; un sorriso, smielato quanto il tono delle sue parole, si allargava da un lato all'altro del suo viso, mostrando i denti perfettamente allineati e bianchi. Ripresi possesso del mio corpo. Aprii i pugni; le unghie, che usavo portare più o meno lunghe, si erano impresse nei miei palmi, lasciandomi solchi brucianti. La ragazza prese una sedia dal tavolo vicino e si accomodò al mio fianco. Reggimi il gioco, mi disse col pensiero.

- Jade, è così tanto che non ci vediamo! Come stai, dolcezza?

- Bene, io... sto bene, grazie, tu? - non riuscii ad evitare di sbattere le palpebre più volte di fila. Perché il mio corpo si era bloccato così? E chi era quella ragazza?

ADULARIA - La LeggendaWhere stories live. Discover now