Capitolo 14

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I rifiuti erano accatastati ovunque. Il loro odore rendeva l'aria irrespirabile. Mi portai la maglia al viso, coprendomi naso e bocca. Il grigio del cielo si confondeva con quello dell'asfalto. Una quiete disumana regnava in quella che sembrava la zona periferica di una città. D'istinto, mi mossi lentamente verso la porta di un edificio alto e vecchio, cercando di non fare rumore. Avanzai per afferrare la maniglia, ma vidi la mia mano passarci attraverso. La ritrassi di scatto e respirai affannosamente, ricordando quando ero entrata nei ricordi di Nathan. Anche questo posto faceva parte dei suoi ricordi?

Mi sentii come gelatina nell'oltrepassare la porta. All'interno, un vecchio balcone da bar era appoggiato ad un muro scrostato, guardava solitario i tavolini disposti malamente davanti a lui. Sedie rovesciate, vetri di bottiglie e carte di ogni genere tappezzavano il pavimento. 

Sussultai quando un topo corse svelto da lato a lato dell'edificio, a pochi centimetri dai miei piedi. Era uscito da un angolo buio, dove sembrava esserci qualcosa. Le finestre erano ricoperte con giornali, per lo più strappati e logorati dal tempo. Lasciavano filtrare una pallida luce bianca, unica illuminazione nella stanza. Non potendo tirarli via, in modo da avere un po' più di luce sull'angolo che aveva catturato la mia attenzione, decisi di avvicinarmi. Improvvisamente, un grido riecheggiò da quelle che sembravano delle scale. Era così forte da farmi coprire le orecchie con le mani. Dopo qualche secondo si esaurì nell'eco di quel luogo sperduto.

Salii svelta la scalinata e rallentai appena prima di mettere piede al piano superiore, spaventata da quello che avrei potuto trovare. 

Ricorda che non sei reale qui, mi dissi. Ma non potei evitare di trattenere il respiro quando vidi Nathan, in piedi, in tutta la sua forza e bellezza, tra due cerchi di fuoco, alti una decina di centimetri da terra. Portai una mano alla bocca e sentii brucianti lacrime scivolarmi sulle guance. Mio padre era sospeso in mezzo a un cerchio. Nell'altro, sulla destra, una pietra rossa brillava intensamente, più luminosa delle fiamme che la circondavano. Dietro Nathan, Cayenne e Jennifer osservavano la scena con aria soddisfatta.

Corsi verso mio padre e urlai quando il mio tentativo di salvarlo fu inutile. I suoi lamenti erano spaventosi. Mi avvicinai a Nathan, aveva gli occhi chiusi e le mani proiettate in avanti, come se stesse controllando i cerchi. La sua mandibola scattava nel movimento di nervosismo che faceva troppo spesso. 

Tentai inutilmente di colpirlo, di parlargli, di afferrare gli oggetti che mi circondavano per lanciarglieli contro. Fu tutto inutile, il mio corpo era come quello di un fantasma. Il senso di impotenza mi dilaniò, la cicatrice mi faceva talmente male che mi dovetti accasciare a terra. Disperata, urlai, chiamando il nome dell'amore della mia vita. Lo stesso che stava massacrando mio padre dentro un cerchio di fuoco.

°°°

Quando non sentii più gli urli, i lamenti e i gemiti, aprii gli occhi. Un'aria leggera, pulita, che sapeva di sempreverdi e terriccio umido si insinuò nelle mie narici. Mi alzai, sentendomi dispiaciuta di non poter entrare in contatto con quella terra così rigogliosa. Il mio tatto avrebbe trovato una dolce e piacevole sensazione, se l'avessi potuta prendere tra le mani. Davanti a me, due figure, una donna e un ragazzino, si tenevano per mano, gli occhi chiusi, i volti leggermente chinati. Dopo poco, lasciarono lentamente la presa.

- Lei avrà gli occhi come quelli di una volpe - disse il ragazzino. La donna aveva lunghi capelli neri, di un nero così intenso che mi ci sarei potuta perdere dentro. Le labbra sottili e morbide erano tirate in un piccolo sorriso, uguali a quelle del ragazzo. Insieme, accumunati dai movimenti eleganti e leggiadri, iniziarono a camminare.

- Sono occhi straordinari, Nathan. Sarai un grande guardiano. Compiti importanti ti aspettano, un destino speciale ti è stato assegnato.

- Come lo sai, mamma?

ADULARIA - La LeggendaWhere stories live. Discover now