Capitolo 12

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Chiesi a mia madre se potevo rimanere a casa da scuola, quella mattina. Non servivano tante parole per convincerla che stavo poco bene, il mio viso parlava da sé. Le occhiaie di una notte tormentata erano state pennellate sul mio viso con un tenue rosso, misto a un davvero cattivo violaceo. La cicatrice si era di poco allargata, sotto alla frangia che aveva già iniziato a crescere. I suoi colori, diventanti più intensi, risaltavano l'azzurro dei miei occhi, particolarmente brillante a causa delle lacrime versate. 

Come ho fatto a finire in questa situazione, mi dissi, appoggiandomi al lavandino, dopo aver guardato mia madre andare via dalla finestra del bagno. 

Rassegnata, feci l'unica cosa che ogni ragazza, dopo essere stata delusa e ferita, trova la forza di fare: mi truccai, per dimostrare a me stessa che sarei riuscita a rialzarmi. Sciacquai il viso con dell'acqua fredda, dopo essermi tirata su la frangia con uno dei cerchietti che usavo da bambina. Presi il fondotinta e coprii tutte le prove della mia disfatta. Compresa la cicatrice. Contornai gli occhi con un ombretto nero, poi passai le ciglia con il mascara. Dovetti rinunciare al rossetto bordeaux che tanto mi piaceva, viste le labbra secche e screpolate, che non volevano risanarsi. Indossai i pantaloni di una tuta abbinati ad un top che mi aveva regalato una vecchia compagna di classe, i primi anni delle superiori. Allacciai con foga le scarpe da ginnastica e uscii, carica, pronta a non cadere più. 

Mi allenai per circa due ore, concentrandomi totalmente sull'energia di cui ora avevo il controllo. Risi quando mi accorsi che non stavo sudando. Mi ero resa conto dell'assurdità di truccarsi prima di un allenamento, ma vedendo come Claudia era rimasta perfetta, senza un capello fuori posto, dopo una corsa a tutta velocità, volevo a tutti i costi vedere se la cosa avrebbe funzionato anche per me. Chissà se ora riesco ad essere veloce come Claudia, pensai. La mia agilità e la mia forza si sviluppavano ogni ora sempre di più, rendendo più spiccia di quanto pensassi quella che io ormai chiamavo la mia "trasformazione".

Quando l'adrenalina mi abbandonò, tornai sui miei passi, rifiutandomi, senza successo, di pensare a quello che avevo visto il giorno prima e a come sarebbero andate le cose con Nathan. Avevo perso fiducia in lui, chiudendomi in me stessa, alzando quelle barriere che era inizialmente riuscito a superare. Non gli avrei più permesso di ferirmi. 

Una piccola vocina dentro di me diceva di non saltare a conclusioni affrettate. Arianna. Era lei quella che mi consigliava sempre di parlargli, prima di supporre cose che mi avrebbero fatto star male inutilmente. Ma come sarei riuscita ad entrare in aula, a sedermi in mezzo a Jennifer e Nathan fingendo che tutto fosse a posto, e aspettare il momento giusto per parlargli? Ci sarebbe mai stato un momento giusto, poi? Non sarebbe dovuto essere lui, a parlare a me? Sospirai, ricordando il cellulare che giaceva spento sul mio letto. Non l'avevo più acceso dal giorno prima. Forse perché sarebbe stato più doloroso rimanere a fissare lo schermo in attesa di una sua chiamata, un suo messaggio, invece che mentire a me stessa incolpando il cellulare spento per la mancata ricezione, come appunto avevo fatto.

Arianna, invece, mi aveva sicuramente scritto; lo faceva sempre quando eravamo d'accordo di sentirci, e anche quando non lo eravamo, in realtà. Speravo solo capisse che non avevo risposto perché avevo bisogno di un po' di tempo da sola. Cose di questo tipo aggravavano pesantemente la mia tendenza all'isolamento. Quella notte non ero riuscita ad entrare in contatto nemmeno con me stessa, la mia mente si era spenta, il vuoto se ne era impossessato, offuscando ogni mio pensiero. Alcune questioni, però, andavano risolte al più presto, non potevo più lasciare che i miei muri eliminassero certi pensieri come se fossero spam. A quanto pareva, non dipendevo più dalla pietra di luna; non dovevo più tenerla al collo per paura di essere sopraffatta dall'Akasha.

Decisi che, per il momento, nessuno avrebbe dovuto sapere del mio distacco dalla pietra. Nessuno avrebbe dovuto sapere ciò che era accaduto alla fermata dell'autobus. Ragionavo, mentre camminavo lentamente verso casa, osservando il fiume che scorreva agitato a fianco a me.

ADULARIA - La LeggendaWhere stories live. Discover now