Capitolo 17

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Le settimane zoppicavano l'una dietro l'altra, tra le verifiche a scuola e le prove in conservatorio. Avevo ripreso le lezioni in entrambe le attività e cercavo di riempire ogni minuto della mia vita per non pensare; per non cadere di nuovo in un oscuro pozzo senza fondo. Avevo ricominciato a mangiare dopo giorni di digiuno, in cui il mio stomaco non voleva saperne di aprirsi; e avevo perso totalmente il senso di nausea che mi veniva ogni volta, dopo aver messo in bocca qualcosa, solo da poco. 

Nathan c'era e non c'era, incastrato nella ragnatela ben tesa di Cayenne. Aveva ancora il brutto vizio di sparire senza avvertirmi, ma l'amore che ci legava superava ogni cosa. Superava la situazione complicata che stavamo affrontando, la preoccupazione per Arianna e per i miei genitori, ma anche i nostri caratteri opposti, apparentemente incompatibili. Erano proprio le nostre estremità che ci facevano rimanere in equilibrio.

Camminavo a testa bassa lungo il corridoio, ascoltando il rumore dei miei passi che riecheggiava triste, ripassando l'organizzazione della mia giornata. Quando alzai gli occhi per aprire la porta che dava sul piccolo chiostro del conservatorio, rimasi incantata dal paesaggio solitario cui mi stavo affacciando. Amavo l'inverno, la nebbia, quell'atmosfera di malinconia che era diventata ormai parte di me. Il sempreverde al centro del chiostro si alzava su un cielo grigio, chiaro, macchiato di qualche nuvola qua e là. Non aveva ancora nevicato, ma l'aria ci stava avvertendo, c'era quel profumo, quella magica tensione che si sente prima di ogni nevicata.

Silenziosa, mi sedetti sul muretto grigio come il cielo, gambe incrociate e naso nascosto nella sciarpa azzurra che avevo legato al collo.

- Si intona con i tuoi occhi - riconobbi subito la voce che mi aveva distolto dai miei pensieri. Rivivendo la sera dell'incidente milioni di volte, avevo impresso nella memoria anche lui. Devis stava venendo verso di me, mani in tasca e camminata elegante, indicava la mia sciarpa col mento, con un sorriso sincero stampato sul viso. Non l'avevo più visto da quella sera e la sua felpa era ancora nel bagagliaio della macchina di Claudia.

- Ciao - dissi, ignorando ciò che mi aveva detto. Non avevo voglia di smancerie. Ero sorpresa, non sapevo frequentasse il conservatorio. - È strano vederti qui - aggiunsi, cercando di nascondere i miei sospetti su di lui. Chi era alla fine? Io ancora non ti conosco, pensai.

- Sono entrato quest'anno. Sai, non credevo di passare l'esame di ammissione! -. Sorrisi. Nemmeno io, dissi a me stessa, ricordando l'evento di quattro anni prima.

- Che cosa suoni?

- La chitarra. Tu?

- Flauto traverso -. Si sedette accanto a me, gli occhi al cielo. Notai la linea sicura, e morbida allo stesso tempo, della sua mandibola e ritrovai quelle somiglianze con Nathan che tanto mi avevano colpito la prima volta che l'avevo visto. Accantonai il pensiero non appena intravidi il taglio di testa di un libro uscire dal suo zainetto. Le pagine ingiallite e spesse, la copertina marrone screpolata.

- Ti piace leggere? - cercai di animare il mio tono, in modo che si aprisse con me. Quel libro mi ricordava qualcosa, ma non volevo (o meglio, non dovevo) saltare a conclusioni affrettate.

- Sì, molto - mi rispose, un po' incerto.

- Anche a me. Stai leggendo qualcosa al momento? - insistei, sporgendomi verso di lui per guardarlo negli occhi. Qualcosa non quadrava, cattive vibrazioni mi avevano messa in allerta.

- No - disse, piuttosto freddamente. Si alzò, ancorando lo zaino sulle spalle magre. Il suo sguardo aveva perso la trasparenza che lo caratterizzava. Sembrava avesse fretta di andarsene.

- Jade, è una vita che non ci si vede! - una ragazza mi avvolse le spalle con le sue braccia deboli, interrompendo lo sguardo sospettoso che ci stavamo scambiando io e Devis.

ADULARIA - La LeggendaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora