ᴄαᴘɪᴛᴏƖᴏ 13

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C A P I T O L O 13

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C A P I T O L O 13

Stavamo consumando la cena tutti insieme, quella sera

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Stavamo consumando la cena tutti insieme, quella sera. 

A tavola mancava soltanto Michael e i suoi due bodyguards, e la sua lontananza mi lasciava un vuoto inconsueto dentro al mio fragile corpo.

Glenda sedeva alla mia destra e consumava il suo piatto colmo di pesce e riso con massima calma, masticando serena quei grandi bocconi che portava in bocca.
Erano tutti così vivaci, allegri, come se la mancanza di Michael influenzasse solo me.

"Imparerai a farci l'abitudine, con la sua assenza", mi disse Leticia, quella mattina, mentre eravamo impegnate a spazzare via tutte quelle foglie che mi ero offerta di raccogliere dentro ad un grande sacchetto azzurro, per poi buttarlo nel grande contenitore dietro casa.

Ma già da lì mi era difficile.
Chissà, magari un giorno sarà anche facile per me consumare un pasto con tanta allegria e pace.
Ma quella sera, portare un semplice boccone in bocca, mi risultava impossibile.
Sentivo la mancanza di qualcuno, di qualcosa.
Erano già le dieci di sera e fuori era già calato il buio.

« E poi Leticia è corsa, e senza volere è scivolata davanti a Michael! Ahaha! Eri tutta rossa quel giorno! » urlava James il giardiniere, battendo due volte il pugno sul tavolo, mentre rideva come un matto.

Non sapevo cosa ci fosse di così tanto divertente in quelle conversazioni ormai diventate un eco alle mie orecchie, ma di certo non erano interessanti.
Avevano parlato per tutto il tempo della loro vita privata, accennando il più delle volte, il suo nome.

Michael  aveva avuto un grande impatto nella loro vita quotidiana e ogni volta che si soffermavano a raccontare di lui, il loro atteggiamento si tramutava radicalmente, passando dall'essere allegro, all'essere malinconico.
Non ne capivo il motivo.
Dopotutto Michael li aveva aiutati. Perché raccontare di quei momenti con la voce mascherata dalla tristezza?
Sospirai leggermente, e rigirai varie volte la forchetta nel piatto ancora colmo di pietanze squisite.

**

« Certo Lily, verrò a trovarvi appena avrò tempo, te lo prometto. »

Dopo cena, avevamo pulito il resto delle posate, rinchiudendoci verso le undici e mezza nelle proprie camere.
Ero troppo stanca per potermi reggere in piedi, nonostante avessi da poco cominciato a lavorare in quel modo stremato.
E proprio quando mi decisi a chiudere occhio, per non pensare a Michael che non era ancora rientrato a casa, avevo ricevuto una chiamata da Angie, dicendomi che Lily avesse uno disperato bisogno di parlarmi.

Subito pensai le fosse successo qualcosa, perché la maggior parte delle sue cose, le raccontava a me.
Ma quando, con la sua vocina interrotta dai singhiozzi, mi disse che sentiva la mia mancanza, non ero riuscita a trattenere un sospiro splenico.
Mi mancavano anche loro, eccome.
Ma non potevo lasciare tutto e correr via, anche se lo avrei fatto all'istante.
Le avevo promesso tante volte che sarei andata a trovarla quella sera, giurandole che avrei portato Michael con me, anche se forse mi sarebbe risultato difficile.

Ma i bambini avevano una gran voglia di vedere pure lui.
Di poterlo incontrare ancora e passare un'altra giornata indimenticabile, come dei normali bambini con una casa e un bellissimo giardino colmo di giochi.
Volevano rivivere un'altra volta, il gusto di assaporare l'infanzia che solo Michael era in grado di donare loro.

La ricerca della felicità. Ecco cosa cercavano. Proprio come me.

« E mi porterai un'altra amica? Sai, Lucy non vuole restare da sola? »

Aggrottai la fronte e incrociai le gambe, dopo essermi seduta in quel grande letto comodo.

« Lucy? » mormorai.

« Sì. Lucy, la bambola. È mia amica quando non ci sei tu » rispose, con la sua vocina dolce ed acuta.

Ridacchiai divertita, portandomi una ciocca di capelli dietro all'orecchio.

« Certo. Te ne porterò quante ne vorrai » esclamai appena, sorridendo intenerita dalla sua affermazione fatta poco prima.

La udii strozzare un urlo di felicità e potei subito vederla, intenta a portarsi la piccola mano, davanti a quelle labbra rosee e candide.

« Grazie Kara! Spero che mia mamma sia uguale a te » disse, leggermente euforica.

A quella frase, il mio cuore perse un battito.
Non si era del tutto arresa all'idea che sua madre non ritornerà mai più a prenderla, anzi, aveva sempre parlato di lei come a una donna forte, coraggiosa ma anche gentile, nonostante non l'abbia mai incontrata.
E forse lo faceva per il semplice fatto che ricordarla in quel modo, la faceva stare bene.

« Lo è » sussurrai con un groppo in gola.

Non avevo voglia di dirle la verità, ma sapevo benissimo che quel giorno sarebbe presto arrivato.
Non si rimane bambini per sempre.

E certe cose nella vita vanno ricercate, come la verità, ad esempio.

Avevamo passato un paio di minuti a parlarle, raccomandandole di ubbidire ad Angie e di stare sempre in compagnia degli altri bambini.
E, per mia grande sorpresa, dopo alla mia partenza, aveva cominciato ad avvicinarsi a loro, passando giornate intere in loro compagnia.

Chiusi la chiamata subito dopo, alzandomi per avanzare verso alla finestra che si affacciava sul paesaggio ormai tetro.
Mi ricordai quando da piccola, dopo aver passato ore a studiare e a risolvere un semplice compito di matematica, uscivo correndo per il grande prato che la nostra piccola e allegra villetta ospitava, tenendo per mano mia sorella.
Avevo passato un'infanzia molto bella, con ricordi permanenti che faticavano a cancellarsi, ma la mia adolescenza, l'avevo vissuta perdendo una persona a me cara.
Si era allontana da me di punto in bianco, lasciandomi come ricordo, un ciondolino che portavo al collo.

Poggiai la fronte sulla vetrata e sospirai abbattuta.
Non era stato facile per me e per i miei genitori, affrontare la sua scomparsa e nonostante avessero fatto di tutto pur di ritrovarla, lei sembrava non voler ritornare.
E così il tempo passava e gli anni erano aumentati, fino ad arrivare ad oggi.

Mi sentii leggermente frustata all'idea di non essere stata in grado di aiutare i miei genitori, ma mai potevo sapere che la decisione di non ritornare fosse la sua. Quella di mia sorella.

Non mi era accorta del lasso di tempo che avevo trascorso dinanzi alla finestra a pensare e, quando udii un leggero battito alla porta, come qualcuno bussare, sussultai, voltandomi verso ad essa.
Restai un minuto in attesa, pensando di aver sentito male, ma poi, dopo che ebbi udito un altro suono, avanzai verso all'uscio, aprendola piano.

Mi affacciai, non scorgendo nessuno, poi, una figura alta ed avvolta attorno ad un cappotto nero, sovrastò la mia, facendomi sobbalzare per la paura.

Cacciai un urlo, ma esso venne subito represso da una mano morbida e dalle dita affusolate.
Spalancai leggermente gli occhi, paralizzandomi e, solo quando incrociai quei occhi color pece, il mio cuore perse un battito.

Michael.

{Revisionato il 24.07.22}

HeartbreakerWhere stories live. Discover now