Capitolo 23

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C A P I T O L O 23

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C A P I T O L O 23

Mi ero domandata molte volte nella vita, quale fossero veramente i desideri di una donna e spesso cercavo di mettermi nei panni di mia madre, una donna dall'animo forte, seppur scosso da avvenimenti orribili

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Mi ero domandata molte volte nella vita, quale fossero veramente i desideri di una donna e spesso cercavo di mettermi nei panni di mia madre, una donna dall'animo forte, seppur scosso da avvenimenti orribili.
Ed ora, essendo adulta, avevo trovato da sola il mio percorso, la risposta a quella domanda tormentosa che portavo sulle spalle da un lasso di tempo ormai concluso.
Una donna cercava la felicità e l'amore.
Cercavo la felicità nelle cose dove trovarla sarebbe stata impossibile, l'amore in una persona che neanche si accorgeva dei miei sentimenti.
Ed era questo il brutto nella mia tortura ricerca.
Puntavo occhio e cuore in cose che non sarebbero mai potuto essere mie e, nonostante avessi meditato giorno e notte sulla triste realtà, la mia mente mi riportava sempre al punto di partenza, giocandomi brutti scherzi.
Avevo una vita, cui sentiero era tortuoso.
Ero stata scelta come compagna di giochi per i bambini, dalla persona più famosa del pianeta, il più umile e sincero che abbia mai conosciuta, e non potevo chiedere di meglio.
Ma la mia vita non era al completo. Non mi sentivo completa, sapevo che mi mancava qualcosa o più di una cosa fondamentale che non avrei mai e poi mai potuto trovare davanti al grande cancello di Neverland.
Le avrei dovute cercare.
Ma se cercare avrebbe nuocito alla mia salute, alla mia felicità? Se avrebbe scosso non solo la mia vita, ma anche delle persone che mi circondavano? Sarebbe sempre stata una buona idea?
Ed ora, era quello il mio problema. Un'altra domanda lasciata in sospeso.
Pensavo alla risposta, pulendo i grandi vetri di quella lussuosa dimora.
Leticia era al mio fianco, e anche lei, come me, era in sovrappensiero.

« A cosa stai pensando? » domandai dolcemente, lanciandole uno sguardo veloce per poi ritornare a poggiarlo sulla pezza bagnata che tenevo nella mano, appiccicata al vetro.

Ella sospirò leggermente, accennandomi un lieve sorriso.

« Sto pensando a come sarebbe stata la mia vita se ora Michael non mi avrebbe aiutata » rispose.

Michael. Michael. Michael.
Ogni volta che cercavo di trarre fuori un argomento, con qualsiasi dipendente, il suo nome veniva allo scoperto in tutti i modi possibili. E più lo cercavo di dimenticare, più lui si faceva vicino.
Mi sembrava uno stupido gioco di ruolo, di un cerchio senza fine. Ogni passo o argomento toccava il suo tasto.
Un tasto debole e dolorante.
Smorzai un sorriso forzato, ritornando a puntare lo sguardo sulla pezza che tenevo in mano.

« Da quanto tempo lavori qui? » le chiesi, cercando di cambiare argomento.

« Da un paio di anni ormai! Sono venuta qui quando Michael aveva comprato Neverland. Una settimana dopo » rispose, ora con un largo sorriso sulle labbra.

Ricambiai, inumidendomi il labbro inferiore con quello superiore.

« E tu cara? Come mai hai deciso di lavorare qui a Neverland? »

Proprio in quel momento Michael fece il suo ingresso, indossando una camicia viola ed i suoi soliti pantaloni neri.
Ai piedi portava i suoi famosi mocassini, ma non con delle calze bianche, bensì con un paio rossi.
I suoi ricciolini confusionali erano allo scoperto e legati in una bassa codina.
Era bellissimo ed i suoi tratti erano marcati dalla luce del sole che attraversava la finestra.
Leticia appena lo notò, gli rivolse un allegro e cordiale sorriso che lui ricambiò con uno dilettato.
Poi egli prese posto in una sedia poco distante da noi, sedendosi con le braccia incrociate al petto.
Leticia invece, ritornò a puntare la sua attenzione sulla mia figura di fianco alla sua, attendendo una mia risposta.

« Amo stare in compagnia di bambini. Penso che lavorare qui sia anche una grande opportunità per me e per la mia famiglia » replicai, sorridendole.

Famiglia. Era da tempo che non pronunciavo quel nome con così tanta sicurezza.
E con famiglia intendevo anche Angie ed i bambini che in quel momento mi mancavano un sacco.
Avrei rivoluto vedere i sorrisi di quei mocciosetti correre per tutta la casa, il giardino, per poi rifugiarsi sotto al tavolo quando giocavano a nascondino.
Avrei tanto rivoluto vivere la sensazione di prendermi cura di qualcuno.
Leticia mi rivolse uno sguardo comprensivo, sorridendomi dolcemente.

« Opportunità? Che tipo di opportunità? »

Un mormorio alle mie spalle mi fece sussultare.
Mi voltai, incontrando la figura di Michael, intento ad alzarsi dalla comodissima sedia per avvicinarsi a me.
I suoi passi erano leggeri, lenti e felpati.
Deglutii piano, poggiando la mia attenzione sul secchio d'acqua vicino ai miei piedi.
Non volevo avere una conversazione con lui, perché mi faceva solo del male, ma non riuscivo ad evitare quei occhi profondi e scuri.
Si fermò dietro di me, con le mani in tasca e lo sguardo fisso sulla mia figura. La mia pelle bruciava solo ad una sua occhiata.
Leticia sorrise, mordendosi il labbro inferiore, poi, dopo aver trovato una scusa non credibile, si allontanò, uscendo dalla cucina.
Ancora non capivano che tra me e Michael non c'era nulla e, facendo così, avrebbero soltanto provocato nuove cicatrici al mio cuore ormai andato.
Il tessuto della sua camicia mi sfiorava i gomiti, e i suoi pantaloni la mia gonna poco ampia.

« Un'opportunità per una vita migliore, Michael » mormorai, riprendendo a pulire i vetri che ormai brillavano alla luce del sole.

Lui rimase in silenzio, restando dritto al mio fianco, senza muoversi di un passo.
I miei movimenti cominciarono a farsi più veloci, nervosi.
Non sapevo cosa dirgli, di che parlargli. Volevo soltanto scappare da lui, non incontrarlo e magari fingere che non sia successo nulla, ma quella conversazione mi ritornava in mente come un treno ad alta velocità; diretto e senza pietà.
Intravidi Glenda dalla finestra, intenta a camminare verso al grande portone principale.
Mi sentii terrorizzata, perché non volevo che ci vedesse insieme.
Quella donna giocava brutti scherzi.

« Dovresti andartene » mormorai, lanciandogli una veloce occhiata, per poi ritornare a controllare fuori dalla finestra.

« Perché? » domandò con voce genuina, aggrottando leggermente la fronte.

Non potevo di certo dirgli che la sua ex ragazza stesse per arrivare. Non volevo coinvolgerlo nei nostri problemi e non volevo neanche che lui si accorgesse della tensione che vi era fra noi due.

« Devo finire di pulire il resto delle finestre e poi potrò occuparmi di sistemare la sala. Non ho tanto tempo » replicai, non degnandolo di uno sguardo.

Lui sospirò leggermente e potei perfettamente notare attraverso il riflesso del vetro, che scosse la testa arreso, inumidendosi le labbra prima di voltarsi ed uscire con eleganza dalla stanza.
Mi morsi il labbro inferiore con sguardo perso e malinconico, fermando ciò che stavo facendo.
Se solo ci fosse stato un modo per cambiare il passato, avrei preso la decisione di non aver accettato quel lavoro. Ma il mio cuore non lo prendeva come una sconfitta. Anzi, mi incitava ad agire, come se tutto questo incubo un giorno sarebbe finito. Se solo quel giorno arrivasse in fretta!

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