Capitolo 19

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C A P I T O L O 19

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C A P I T O L O 19

Spalancai gli occhi all'improvviso, come se avessi appena ricevuto uno schiaffo

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Spalancai gli occhi all'improvviso, come se avessi appena ricevuto uno schiaffo.
La donna di cui ho perso la testa.
Il mio cuore aveva perso tanti battiti e le mie gambe, che fino a poco fa tremavano per l'emozione, ora erano diventate molle, senza forze.
Udii le mie iridi pizzicarmi, bruciare.
Quindi lui era già innamorato. Ed è per questo che aveva lasciato Glenda? Le aveva mentito?
Lui non si accorse della mia reazione e, con aria affranta, come se avesse appena perso qualcosa o qualcuno di importante, accarezzava la foto, come se fosse il suo più bel ricordo di quella donna a me sconosciuta.

« Ci conoscemmo per la prima volta nel 1975. Era solita venire nel concerto dei Jackson Five con suo padre, Elvis, ormai deceduto.
Ricordavo chiaramente come da bambina timida, si sedeva in prima fila con una marea di bodyguards. Era così carina che al primo colpo, avevo avuto un certo interesse nei suoi riguardi. Ma poi ci siamo allontanati e l'ho persa di vista. Dopo un paio di anni, ricordo di aver visto in una rivista, la sua foto con affianco un uomo che non conoscevo. Si era sposata, mentre io ero rimasto ad aspettarla. Oh, quanto avrei voluto essere io suo marito » mormorò, mordicchiandosi il labbro inferiore.

Sentii il mio piccolo cuore sgretolarsi, andare in frantumi.
Avevo appena cominciato ad acquistare un po' di felicità, di benessere, ed ora, come un vento d'inverno in pieno estate, aveva spazzato tutte le speranze che mi ero costruita, le emozioni che stavo cominciando ad avere, sentire.

« Tu pensi che potrebbe mai esserci un futuro insieme? » chiese infine, voltandosi verso di me.

La sua domanda parve più ad una supplica.
Aveva perso la persona che amava, che aveva aspettato a lungo e mai si era fatta avanti, anzi, si era addirittura sposata, senza accorgersi dei suoi sentimenti.
Appena si accorse dei miei occhi lucidi e spalancati, lui ridacchiò con una punta di tristezza e sarcasmo.

« Voi donne siete tutti così sentimentali! Ma non ti preoccupare, io me la sto cavando, ci sono passato su » disse, osservandomi con un sorriso falso.

Restai in silenzio, tirando su col naso, mentre abbassavo lo sguardo, puntandolo sulle mie mani.
La mia vista si era appannata, e, nonostante cercassi in tutti i modi di reprimere le lacrime, essi continuavano a scendere, bagnando le mie goti leggermente arrossate per la tensione.

« E tu Kara? Ti sei mai innamorata di qualcuno? » domandò, poggiando l'album sul letto, dietro di noi.

Si voltò di corpo verso al mio, poggiando una gamba sopra al materasso.
Mi aveva porso una domanda a cui non sapevo rispondere e lui, genuino, attendeva la mia risposta, inclinando la testa leggermente di lato.
Ero innamorata? O almeno, lo ero mai stata?
Avevo cominciato a provare emozioni contrastanti che mai avevo provato nel percorso della mia vita, almeno fino a quel momento.
Stare vicino a Michael mi aveva aiutato a far sbocciare la felicità che avevo represso dentro di me per lungo tempo.
Mi aveva aiutato a portare in vita, tutti i sentimenti che avevo sotterrato in una parte del mio piccolo corpo indifeso.
Ma ora, quel piccolo muro di felicità che mi ero costruita, era stato sgretolato con una semplice frase dettata dal cuore.
Era innamorato. E io lo ero?
Non volevo mentirgli, perché volevo che sapesse che anch'io pensavo a qualcuno, che nei miei pensieri vi era sempre il suo volto angelico e la sua risata genuina, candida.
Volevo che sapesse che di notte, i suoi occhi erano l'ultima immagine che il mio cervello elaborava, prima di concedersi una pausa notturna.
Volevo che lo sapesse, ma non potevo fargli capire che era lui. Non volevo. Lui pensava già a qualcuno, aveva già qualcuno impresso nei suoi pensieri, nonostante ella lo abbia dimenticato.
Scossi la testa stringendo, in una mano, il tessuto del mio abito.
Lui si allungò con il busto verso al mio viso, cercando di catturare le mie iridi con quelle sue profonde.

« Kara, ti senti bene? » domandò, questa volta serio.

Sforzai un sorriso rassicurante ma falso al contempo.
Non stavo bene. Non stavo per niente bene.

« Sì, scusami. Mi sono soltanto emozionata... La tua storia mi ha emozionata » mentii, asciugando le calde lacrime con il dorso della mano.

Lui invece non ricambiò il mio sorriso.
Mi fissava in silenzio. La serietà alleggiava sul suo viso privo di imperfezioni e i suoi occhi studiavano ogni mio movimento con maestria, posando infine l'attenzione nelle mie iridi brune.

« Sicura che sia stata la mia storia? » chiese, avvicinandosi leggermente.

Avrei voluto respingerlo, allontanarlo da me o magari pregargli di smetterla di preoccuparsi di me.
Non volevo attenzioni da uno che era già innamorato, sopratutto quando questo mi causava emozioni e sentimenti che spesso mi tradivano. Come in quel caso.
Ma invece, come una povera donna dal cuore affranto, avevo accettato la sua vicinanza.
Perché solo in quel modo mi sentivo realmente bene, mi sentivo viva.

« Sì. Sei una persona molto forte e coraggiosa. Ti ammiro per questo » mormorai, sorridendogli lievemente.

Lui ricambiò il sorriso, allungando una mano per asciugare una lacrime che andò a depositarsi all'angolo della mia bocca.
Il contatto della sua pelle contro alla mia, risvegliò in me una miriade di emozioni che mi fecero sussultare appena, malgrado fossi scossa ed abbattuta.
E, come per istinto, un impulso che non ero riuscita a fermare, mi allontanai dal suo tocco, scattando in piedi.
Lui mi guardò, facendo lo stesso ma con massima calma e lentezza.
Aggrottò la fronte, inumidendosi il labbro inferiore con la lingua.

« Qualcosa non va? » domandò, preoccupato.

Sì, c'era qualcosa che non andava. Era lui il mio problema.

« Io... Io devo andare ad apparecchiare il tavolo.
Scusami » balbettai con voce bassa, stringendo il tessuto nella parte dei fianchi, dove la gonna si allargava leggermente.

Lui guardò l'orologio, ritornando poi a guardare me, confuso.

« Sono le otto. Siamo abituati a mangiare alle nove » replicò.

« Io ho fame. Ho voglia di mangiare presto oggi, se è possibile » mormorai, tenendo lo sguardo basso.

Lui sospirò leggermente, annuendo.
Prese l'album nelle mani, chiudendolo. Mi guardò e io lo guardai. Mi rivolse un sorriso timido, lieve.

« Grazie per avermi ascoltato Kara. Non sai quanto mi sia sentito bene nell'avermi aperto con te » disse.

Oh Michael, non dirlo, per favore. Mi faresti solo del male.

« Sarò sempre pronta ad ascoltarti, Michael » risposi, respirando infine a pieni polmoni.

Lui non rispose, anzi, dopo avermi scrutata per un'ultima volta, mi oltrepassò, uscendo dalla porta che richiuse dietro alle sue spalle.
A quel punto, scoppiai in lacrime, abbandonandomi per terra, vicino al letto che poco fa aveva ospitato il suo corpo. Il nostro.
Non sapevo del perché avevo reagito in quel modo, ma la sua frase mi aveva colpito a pieno, mandando a fumo, tutto ciò che in quelle due settimane mi ero costruita.
Pensavo che, tutte quelle attenzioni, me le rivolgeva per un certo senso. Che, come disse Glenda, mi trattava in modo diverso. Che lo facesse per pietà? Io non volevo la sua pietà. Volevo soltanto qualcuno che fosse in grado di preoccuparsi di me. Volevo essere il pensiero e la voglia di qualcuno.
Ma il problema era che volevo che lui fosse quel qualcuno.
Michael.

HeartbreakerWhere stories live. Discover now