2. Squadra B-20

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Phoenix è una delle più grandi città dell'Arizona, nonché la capitale. Le temperature sono sempre indicativamente alte, il caldo può protrarsi anche fino ad ottobre e le precipitazioni sono irregolari la maggior parte del tempo. Capita persino che non versi una goccia di pioggia per più di tre mesi, con impennate dell'umidità soprattutto sul finire dell'estate.
Il problema è che se dovesse iniziare a piovere, tutta la città si affogherebbe sotto il peso dell'acqua accumulatasi, come se le nuvole volessero scaricarsi di botto, recuperando le mancate precipitazioni precedenti.
Appena apre gli occhi, Emma sa che è uno di quei giorni.
Dove il sole è scomparso, sostituito da nuvole nere che rendono ogni ambiente buio e ogni azione più difficoltosa. Ci sono i problemi di traffico, i mezzi che hanno poca possibilità di muoversi tra le strade dell'immensa città piegata dalla pioggia pesante.
Quando sbircia dalla finestra, sa già che quel giorno arriverà a lavoro con venti minuti di ritardo, Catherine non le darà nemmeno il tempo di lasciare la giacca, rimprovererà Lizzie perché - a causa della sua ossessione - pulirebbe ogni goccia che incontrerebbe lungo i corridoi, spronerebbe Eliane ad essere più veloce e spedirebbe Emma al pronto soccorso perché, quando piove, gli incidenti sono ovviamente più numerosi.
Scendendo le scale incontra il padre che esce dal suo studio con la ventiquattrore sotto il braccio e l'altra mano che stringe l'ombrello e le chiavi della macchina, la madre che chiude tutte le finestre della casa per evitare che l'acqua possa entrare e bagnare il pavimento e sua nonna seduta sul divano del soggiorno con una tazza di the in mano. E' consuetudine che sua nonna, siano anche le cinque di mattina, rendendosi conto delle nuvole in cielo corra a casa di sua figlia a ripararsi. Non tanto perché abbia paura dei temporali, quanto perché "Se mi dovesse succedere qualcosa, data la mia età, impieghereste una vita ad arrivare a casa mia e morirei da sola".
Emma si prepara la sua tazza di caffè, con sua madre che fa ritorno in cucina sbuffando. "La camera da letto si era già bagnata" dice, sedendosi accanto a sua madre sul divano. Emma stringe le labbra, sedendosi al tavolo e bevendo il caffè caldo. Meredith controlla l'orologio appeso alla parete, spostando poi i suoi occhi scuri in quelli di sua figlia simili ai suoi, se non leggermente più chiari. "A che ora prendi il pullman?"
"Alle sette" risponde la figlia, gettando il bicchiere di plastica e tornando al piano di sopra per vestirsi, sentendo comunque la voce gracchiante di sua nonna lamentarsi di quanto Emma non rispetti i valori della famiglia e non abbia portato ancora nessun uomo a casa.
Scarpe, borsa, camice e giacca. Prende tutto ed esce di casa, non prima di essersi accaparata l'ultimo ombrello posto nell'ingresso. "Torni per pranzo?" chiede sua madre.
"Sì, a meno che non ci sia niente che mi trattenga in ospedale più del previsto." Così dicendo esce di casa, riparandosi sotto l'ombrello blu e camminando lentamente per non inciampare nelle pozzanghere.
Come aveva, naturalmente, previsto arriva in ospedale venti minuti dopo perché l'autobus era rimasto imbottigliato nel traffico, Catherine sbraitava nell'ingresso, spediva le colleghe nelle diverse sezioni del St. Joseph's e si passava il braccio sulla fronte già madida di sudore. Appena vede Emma varcare l'ingresso le si accosta, controllando la cartellina che ha in mano. "Buongiorno. Dove saresti dovuta andare oggi?"
"Traumatologia?"
"No, okay, sei stata spostata al pronto soccorso."
Ovviamente.
"Ci sono stati tre incidenti nello stesso momento. Ci sono già Margaret e Lucinda sul posto."
Emma lascia la sua giacca e l'ombrello, si appende il cartellino nella tasca a sinistra in alto sul suo camice e va spedita verso il pronto soccorso. Si lega frettolosamente i capelli scuri e poi infila i guanti che il bancone all'ingresso distribuisce. Tre barelle vengono spinte verso le sale operatorie, mentre diversi giovani sono seduti sulla sedie in plastica, in attesa. Si accerta che le colleghe si stiano occupando dei casi più gravi, così si avvicina ad un bambino che piange da solo. Gli si inginocchia davanti. "Ehi, ehi, che succede?" chiede Emma, spostandogli il ciuffo biondo da sopra gli occhi. Il piccolo solleva la testa, rivelando solo un taglio sul sopracciglio. "Sei qui da solo?"
Il piccolo scuote la testa. "La mamma è in accettazione per richiedere le carte" dice, tirando su con il naso.
"Come ti chiami?"
"Matt Lewis."
"Bene, Matt" dice Emma prendendogli la mano e facendolo mettere in piedi. "Vieni con me e ti faccio passare questa brutta ferita, ok?"
Si mette in piedi a sua volta, fermando una sua collega. "Avvisate la signora Lewis che sto medicando il figlio" così si allontana e recupera del disinfettante, del nylon e un ago sottile. Il piccolo si immobilizza. "Tranquillo" lo rincuora, "ti prometto che non sentirai nulla."
Lo fa sedere su una barella vuota, appoggiandogli accanto al fianco l'occorrente. Gli tampona piano la ferita per ripulirla dal sangue. "Come te la sei procurata?"
"Sono caduto dal letto e ho sbattuto contro lo spigolo del comodino."
Emma annuisce, disinfettando la zona. "Quando avevo dieci anni" inizia a raccontare per distrarlo, "stavo andando in bicicletta e facevo una gara con una mia amica che, all'improvviso, mi è finita addosso con la sua bici e mi ha fatto cadere a terra sul terriccio." Solleva il mento per fargli vedere la cicatrice che le è rimasta. "Mi hanno messo tre punti per richiuderla."
"Ti fecero male?"
"Un poco, ma gli infermieri non erano bravi come invece lo sono io."
Prende una piccola siringa e la riempie di anestetizzante. "Questo brucerà solo un pochino, ma tu sei forte, vero?"
Matt annuisce, tirando su con il naso. Emma, lentamente, gli inietta il liquido sulla zona di interesse e si accorge del piccolo stringere forte gli occhi. "Ssh, ssh, è passato" dice, lasciando la siringa. "Il peggio è passato."
Cinque minuti dopo, attacca una benda sul sopracciglio del piccolo e viene raggiunta dalla signora Lewis che si informa su come continuare la medicazione a casa. Ringrazia Emma e il piccolo le stringe calorosamente una mano, prima di scomparire attraverso le porti scorrevoli dell'ingresso.
Stava andando tutto secondo i piani, quando all'improvviso Catherine la richiama, facendosi raggiungere nello studio del primo piano.
Ci sono diverse ragazze e ragazzi all'interno, tutti intorno alla scrivania dietro cui è seduta una donna sulla cinquantina, in divisa e con dei fogli in mano. Emma vede alcune sue colleghe tenersi per mano, poi Catherine chiude la porta alle sue spalle, appoggiandosi ad essa con la schiena.
"Buongiorno e scusatemi per l'interruzione delle vostre mansioni. Come ben sapete, la guerra in Afghanistan peggiora sempre di più e le guerriglie portano via un sacco di uomini. I medici non bastano nella spartizione dei lavori, per questo abbiamo bisogno di nuovi infermieri che possano occuparsi delle preoccupazioni - lasciatemelo passare- minori. Sono Justine Fox, la segretaria di Charlie Wilson, deputato al servizio dell'operazione Cyclone di cui tutti avete sentito parlare. Il mio capo chiede soccorsi in ambito medico e qui mi hanno dato un lista con infermieri qualificati affinché entrino a far parte della squadra B-20."
Emma sente il sangue gelarsi nelle vene all'improvviso. Sente il bisogno di stringere la mano a qualcuno, ma non ha mai avuto un certo grado di confidenza per poterlo fare. Così incrocia le braccia al petto e non riesce a tradurre il sentimento che la anima, se speranza, aspettativa o paura.
Rimane a corto di saliva per tutto il tempo in cui la signora Fox legge i nomi dei prescelti, appurando che ognuno di essi accettasse. Viene fatto il nome di Lizzie McDonald, la quale sgrana gli occhi e separa le labbra. Le palpebre le tremolano e stringe ancora di più la mano di Eliane. Il giorno prima avevano parlato di quanto lei avesse paura di essere mandata lì, quindi dovrebbe rifiutare il mandato. I suoi occhi si gonfiano e divengono lucidi di colpo. Si schiarisce la gola per parlare. "Mi dispiace, ma io rifiuto" dice. Emma gira la testa verso Catherine, la quale è appoggiata alla porta e controlla la sua dannata cartellina ad occhi bassi. La signora Fox stringe le labbra.
"Allora significa che dovrà essere assunto qualcun altro al posto della signorina."
Emma sente un formicolio pervaderle le dita della mano quando sente sussurrare il suo cognome dalla signora mentre scorre gli altri nomi in lista. "Chi di voi è Emma Jensen?"
Le si rizzano i peli sulle braccia mentre solleva una mano. "Sono io, signora Fox."
"Ma è parente di Richard Jensen?"
Al nome di suo fratello annuisce vistosamente. "Sono sua sorella" risponde.
"E' uno dei soldati delle squadre che, giornalmente, mi viene chiesto di organizzare nelle occupazioni dell'accampamento."
Tutti si girano a vedere Emma con tanto di occhi. "E' possibile sapere se sta bene?"
La signora Fox scuote la testa. "Non ci è dato divulgare informazioni a tal proposito. Vorrebbe entrare nel gruppo infermieristico B-20?"
"Per via di mio fratello?" chiede subito Emma, assottigliando lo sguardo.
La donna ricambia l'occhiata, stringendo i suoi piccoli occhi azzurro ghiaccio coperti dagli occhiali. "No, per il fatto che è la prossima in lista."

Il gelo provato durante la chiamata non è per niente paragonabile a quello che Emma sta provando di fronte i suoi genitori, dopo aver dato loro la notizia.
Suo padre Robert ha sfuriato, sbattendo le mani sul tavolo in un vano tentativo di far desistere sua figlia dall'intento, sua nonna Giselle si è lamentata non tanto del fatto che lei dovesse partire entro sette giorni in Pakistan ma perché non è ancora fidanzata quando - alla sua età - lei aveva già avuto un figlio, sua madre Meredith l'ha guardata scuotendo la testa e con gli occhi gonfi di lacrime.
"E' che già tuo fratello mi manca terribilmente, non voglio che te ne vada anche tu."
Emma sa perfettamente quanto dolore ci sia nell'animo della madre, dietro il quale si nasconde anche quello di suo padre Robert che tenta di celarlo dietro la sua rabbia.
"Lì hanno bisogno di me."
"Lì hanno bisogno di persone adulte e con più esperienza di te!" dice il padre a denti stretti. "Come vedrebbero, secondo te, una ragazza di ventidue anni da sola e con solo due anni di esperienza alle spalle?"
"Sono stata scelta perché sono tra i più qualificati! Posso davvero dare una mano e no, non sarei sola. Ci sarebbe Richard lì con me, lo vedrei più spesso di chiunque altro e avrei periodi di congedo più lunghi rispetto a quelli di un soldato. Starei tutto il tempo in ospedale, che rischio potrei correre?"
"Qualsiasi" dice Meredith con voce rotta. "Non pensare che l'ospedale sia un posto sicuro."
"Quello che voglio farvi capire è che non starei in un campo militare, mi dovrei preoccupare solo di salvare vite."
"Potrebbe andare qualcun altro al tuo posto" dice Robert, sedendosi pesantemente sulla sedia, stanco. "Potrei scrivere un documento e-"
"Ma io posso farlo."
"E non hai paura?" chiede Meredith.
Ma certo, certo che ce l'ha. Ogni essere umano l'avrebbe, sapendo di doversi momentaneamente trasferire in un Paese in guerra. Ma cosa le rimarrebbe, se rifiutasse? Solita vita, stesso lavoro altalenante senza turni fissi e prestabiliti. E naturalmente, vivrebbe con la costante domanda nella mente "Ma se invece fossi andata lì? Cosa avrei, di diverso? La mia vita sarebbe cambiata?"
Certo che Emma ha paura, eppure sente di dover fare la cosa giusta e a quel punto i suoi genitori non possono fare più nulla.

N/A
Ed ecco qui il secondo capitolo.
Emma viene scelta per andare in Pakistan e sappiate che dal prossimo capitolo entrano in gioco tanti nuovi personaggi :)

Lasciatemi qualche commento e votate!

Un bacio ❤

P.s l'operazione Cyclone è il termine chiave impiegato per indicare il programma di armamento dei guerriglieri afghani guidato dal membro democratico del Congresso Charlie Wilson durante l'invasione sovietica dell'Afghanistan.

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