6. "Ed io, signore?"

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N/A pt.1
Secondo aggiornamento! Buona lettura :)

Un allarme getta tutte le ragazze a terra all'alba del terzo giorno in Pakistan. Risuona per tutto l'accampamento, facendo accorrere tutti nel mezzo. I capitani delle truppe fanno aprire subito i cancelli e dei camion pieni di feriti irrompono nell'accampamento con delle sirene accese per destare l'attenzione e la fretta in tutti i presenti. Emma infila il suo camice al di sopra del pigiama di cotone, uscendo dal dormitorio insieme a tutte le altre infermiere. Non aspettano nemmeno che i loro soldati le accompagnino, corrono tutte verso l'ospedale, inoltrandosi verso il pronto soccorso. Le barelle vengono portate correndo all'interno dell'edificio, con i pazienti moribondi e feriti sui lettini rapidi. Non sono solo i guerriglieri, ma tra i feriti si registrano soldati di varia provenienza che li supportano nella loro guerriglia. Le infermiere si smistano. Emma si affianca ad una barella dove un uomo si mantiene la gamba ferita, urlando e scalciando l'altro ginocchio, in preda al dolore. Per prima cosa Emma strappa il pantalone e glielo stringe al di sopra del taglio per fermare l'emorragia, mentre i paramedici urlano a destra e manca quanto la situazione sia critica per tutti a causa di un'esplosione. Emma si gira un attimo e vede un uomo tenersi una mano premuta contro un occhio, un anziano signore che si sposta sulle stampelle con la testa fasciata, un altro senza un braccio che si dispera mentre viene portato via. Le porte all'ingresso vengono chiuse e attraverso il vetro Emma scorge le guardie che le osservano attentamente, controllandole. Spinge la barella dell'uomo e lo porta in una sala, chiedendo di un dottore. Ma non arriva nessuno. "Non riesco-" tenta di dire l'uomo, urlando. "Non riesco a muoverla" dice.
Emma continua a non vedere nessuno, così si accosta all'uomo ed esamina la ferita. "Stia fermo, devo controllarla!" dice, premendogli una mano contro la coscia. Ovviamente, in un primo momento, cercando di ridurre l'emorragia, non si è resa conto di quanto quell'uomo fosse grave. O meglio, non si è accorta che l'osso del ginocchio si è praticamente spostato. Si maledice per la sua lentezza, prima di appoggiare le mani sulla zona circostante. "La prego, stia calmo" dice, vedendo il viso dell'uomo sporco e annerito dalla fuliggine. I suoi occhi neri sono stretti e scorge una lacrima scivolargli sullo zigomo tagliato. Emma ingoia a vuoto e prende un ampio respiro, appoggiando le mani vicino al ginocchio. Con un gesto rapidissimo del polso rimette l'osso in posizione, lasciando l'uomo urlare come se gli avessero strappato un arto. Il suo petto si alza e abbassa rapidamente, in preda agli spasmi. Con le mani sporche di sangue Emma si avvia verso la vetrina e prende una flebo, sistemandogliela all'interno del braccio. L'uomo piange più forte, portandosi una mano sugli occhi per coprirsi. Emma stringe le labbra, per poi procurarsi delle bende per pulire la zona. Prima di tutto deve ripulire la ferita, disinfettarla e ricucirla, per poi ingessare la gamba dell'uomo. Non c'è tempo da perdere.
Dopo circa un'ora, si siede esausta contro la sedia nella stanza, vedendo l'uomo con la testa appoggiata sul cuscino e il respiro rapido. Emma si passa una mano sulla fronte madida di sudore, prima di alzarsi e andare nel bagno della stanza. Si sciacqua le mani, le braccia e il viso, passandosi le dita tra i capelli sfatti. Si guarda nello specchio appeso al muro, prima di sentire la porta aprirsi. Un dottore entra nella stanza, guardando la situazione. "Che è successo qui?" dice.
Emma prende un ampio respiro e gli spiega tutta la procedura, guardando l'uomo negli occhi scuri coperti da una spessa montatura degli occhiali. "Bene, signorina..?"
"Jensen" risponde lei, infilando le mani nel camice.
"Visiteremo quest'uomo, ma vedo che comunque ha fatto un ottimo lavoro, considerando quanto oggi la giornata sia impegnativa. Può andare" la liquida, avvicinandosi al letto dell'uomo che, quasi sicuramente, si è addormentato grazie agli antidolorifici.

Micheal le passa accanto lungo il corridoio con il camice pulito e la mascherina al viso. I suoi occhi azzurri le perlustrano il viso umido, sollevando un sopracciglio. "Brutta giornata?"
"Sì, considerato il fatto che i pazienti possano morire e non ci sono dottori disponibili" ammette Emma, appoggiandosi contro il muro alle sue spalle. Scorge Martha correre dall'altra parte del corridoio, spingendo una barella e una flebo attaccata ad essa. Micheal segue la traiettoria del suo sguardo, poi le sorride, abbassandosi con un gesto secco della mano la mascherina dalla bocca.
"Io mi sento un po' rincoglionito, a dirla tutta" dice, mettendosi accanto ad Emma e appoggiandosi a sua volta al muro. "Mi hanno spostato da una sala operatoria all'altra e sono arrivato ad un punto in cui confondevo un paziente per un altro. Terribile."
"Ma cosa è successo?" chiede Emma. "Per aver così tanti feriti tragici, intendo."
"Un'esplosione. Un contrattacco della RDA."
Emma si morde l'interno di una guancia prima di vedere arrivare Joe, un suo collega di Phoenix che opera in pediatria la maggior parte delle volte. "Giornataccia, eh?"
Gli altri due annuiscono, prima che la porta d'ingresso venga riaperta con altre barelle. Ed è lì che Emma incontra il viso di John e Stephen al di là del corridoio che parlano con dei loro colleghi. Subito si sente il viso infiammare, ripensando agli avvenimenti della sera prima e al fatto che il soldato Stephen Lodge l'abbia vista lì al falò contro ogni regolamento. Come avrebbe fatto a camminargli affianco, quel giorno?

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