29. "Ogni volta che ci sei"

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Quel giorno di fine Aprile era stato terribile e così anche quelli a seguire fino alla metà di maggio.
Le bombe hanno iniziato ad essere sentite dal pomeriggio fino alle prime luci del tramonto e il cuore di tutti sobbalzava nel petto ad ogni esplosione.
Emma, nonostante fosse stata impegnata nel far guarire i pazienti di quella giornata, aveva la mente rivolta a Stephen, pregando che non gli succedesse niente.
I sovietici, già dai primi messi dell'84 si erano dimostrati più agguerriti e la quantità di guerriglieri giunti in ospedale era da capogiro, ognuno con ferite sempre diverse e peggiori.
Emma ricuciva tagli, soccorreva chi fosse svenuto, sostituiva flebo e medicinali per tutta la giornata, fin quando il sole non toccava la linea dell'orizzonte.
Sentiva dire dalle sue colleghe di turno quante persone avessero perso la vita in quei dieci giorni, quanti camion carichi di feriti avevano varcato i cancelli dell'entrata e quanto fosse stata disastrosa l'offensiva avuta dai sovietici nella valle del Panjshir.
Quanti bambini e quante donne ci erano andate anche di mezzo nelle distruzioni di interi villaggi nelle campagne sovietiche di terrore per chiunque appoggiasse i mujaheddin. Venivano saccheggiati e ridotti a vittime di soprusi, venivano effettuate esecuzioni sommarie e rappresaglie.
Emma ascoltava in silenzio, respirando lentamente.
Aveva anche già sentito parlare delle mutilazioni a cui diversi guerriglieri erano stati sottoposti solo per fungere da monito ai commilitoni. I sovietici non davano loro nemmeno il tempo di respirare, sebbene siano sempre stati pronti a contrattaccare, qualunque ne sarebbe stato il costo. Gli aerei sovietici, sorvolando i campi di battaglia, lanciavano ogni tipo di gas per annientarli, più o meno letali.
Emma aggrottava la fronte, serrando le labbra di fronte quei racconti, con il magone che si allargava sempre di più nel suo petto.
La prima settimana di maggio, però, la situazione precipita di botto.
Le porte del pronto soccorso vengono spalancate e le sirene azionate. Il rumore è così forte da chiamare a raccolta ogni infermiere, anche quelli fuori turno. I camion ritornano all'interno dell'accampamento alla velocità della luce. I dottori si preparano nelle sale operatorie, gli infermieri escono all'aria aperta e accolgono le diverse barelle. Emma aspetta nell'ingresso, vedendo sfrecciare pazienti di ogni età. Quando però vede alcuni soldati di quell'accampamento varcare la soglia dell'ospedale, il cuore le balza nel petto. Li guarda uno per uno.
Vede un certo soldato Jones zoppicare e la mano premuta contro la spalla opposta, vede il generale Reynolds superare la porta di ingresso con il braccio piegato contro il petto. Vede John, bianco un cencio, con un lato della giacca strappato e un taglio sulla guancia che gli sporca di sangue anche il collo. Sgrana gli occhi, avvicinandosi a lui. Vede le sue mani tremare, gli occhi contornati da occhiaie bluastre, il viso annerito dalla fuliggine e la divisa macchiata di fango, terra e sangue incrostato. Gli esamina la ferita, sentendo gli occhi chiari del soldato perlustrarle il viso. La sirena continua a riecheggiare sulle loro teste. John socchiude lo sguardo, stanco, così si siede per terra e tiene gli occhi fissi sulle gambe aperte.
Emma, con i guanti, gli tasta la ferita, ma John le blocca la mano. "Io sto bene" dice. "Occupati di qualcun altro." E l'occhiata stanca che le riserva fa capire tutto all'infermiera. Ma Emma stringe le labbra, sebbene il cuore le batta forte nel petto. "Sono un'infermiera. Devo occuparmi di chiunque, indistintamente e senza preferenze." Recupera dell'ovatto e delle garze, un disinfettate e un anestetico, poi un filo di nylon e un ago sterile dal mobiletto poco distante. Medica subito il taglio di John, pulendogli la ferita e chiudendogliela il più velocemente possibile. Il soldato la vede lavorare con precisione e cura, sebbene di tanto in tanto Emma sollevi lo sguardo verso l'ingresso, vedendo la molteplice quantità di soldati feriti varcare la soglia. Diverse barelle attraversano il pronto soccorso con i corpi coperti dai lenzuoli bianchi. Stringe i denti e ritorna con gli occhi sulla ferita.
"Chi è morto?" chiede, con un nodo in fondo alla gola. Con gli occhi cerca disperatamente di vedere se Stephen sia in piedi e attraversi da solo l'ingresso. Ma ancora non c'è e la paura prende possesso delle sue mani, facendole tremare un po' le dita. Si impone l'autocontrollo, stando attenta alla ferita di John.
Il soldato è pallido, stanco e dimagrito notevolmente. Si lecca le labbra secche. "Erano venuti alcuni medici insieme a noi, ma hanno potuto fare ben poco."
"Chi è morto?" richiede lei.
"Quindici soldati su trentacinque, in più il tenente Jacobson, il capitano Ferres e.. non ricordo" dice, scuotendo la testa e stringendo gli occhi. Emma gli lascia una carezza sul viso, mordendosi il labbro inferiore. "C'è stata un'imboscata" continua John, "e una pioggia di proiettili ci è finita addosso, indistintamente."
Emma sente gli occhi farsi lucidi, poi li solleva sull'ingresso, dove i soldati continuano ad entrare. Quando vede Stephen appoggiato ad un altro soldato, con il braccio sulle spalle del collega, le si smorza il respiro. John solleva la testa e punta gli occhi su Stephen. Si lecca di nuovo le labbra secche, poi prende la mano di Emma e le lascia un rapido bacio sul dorso, tenendo la sua mano delicata nelle proprie, tremanti. "Va' da lui, ora è il suo turno."
Emma stringe le labbra e abbassa il capo, sollevandosi in piedi. "Chiamami se hai bisogno di qualunque cosa." Si allontana, bloccando Martha al passaggio. La mantiene per il braccio, facendole girare il capo, impaurita. "Per favore, occupati del soldato Letterman, è debole e provato."
Martha lancia un'occhiata al soldato, poi annuisce in direzione di Emma. Si libera della sua presa mentre l'infermiera raggiunge correndo Stephen.
"Emma" dice lui, sollevando il capo e guardandola con i suoi occhi scuri contornati da macchie di fuliggine e fango. La ragazza gli si accosta, aiutando il soldato a sorreggere Stephen. "Sei qui."
"Sono sempre qui" dice lei, facendo segno al soldato di andare, che lei si sarebbe preoccupata per lui. Fa accomodare Stephen per terra dall'altra parte della stanza, ogni sedia è occupata e lui non ce la fa a stare in piedi. Appoggiato al muro, si lascia scivolare per terra, facendo una smorfia di dolore mentre si siede, tenendo il ginocchio sinistro piegato. "Sei vivo" dice Emma, inginocchiandosi al suo fianco. Si sporge su di lui, dandogli un lungo bacio sulle labbra. L'espressione sofferta di Stephen rimane sul suo viso. "Cos'hai?" gli chiede, dopo essersi staccata da lui con uno schiocco. Il soldato digrigna i denti.
"Una contusione, suppongo" dice, cercando di stendere il ginocchio. Ci riesce, sebbene il dolore sia fortissimo.
Emma gli solleva il pantalone, scoprendogli il ginocchio. Un grosso livido è all'altezza della rotula. Si morde l'interno della guancia, alzandosi e andando a prendere una fascia e del ghiaccio. Si inginocchia di nuovo di fronte il soldato. "Sarebbe preferibile fare una lastra per constatare quanto la ferita sia grave. Hai ragione, però. E' una contusione, in quanto se fosse stata una frattura, non avresti proprio dovuto muovere la gamba." Gli appoggia il ghiaccio sulla zona del livido, mantenendolo con una mano mentre con l'altra gli arrotola la fascia per tenerlo fermo. Fa un nodo stretto per evitare che la sacca di ghiaccio si muova. "Devi stare indubbiamente il più calmo possibile e non sottoporre la gamba a sforzi troppo grossi. Non potrai allenarti nè andare in battaglia. In più, per dormire, dovresti mettere qualche cuscino in più sotto il ginocchio per tenere sollevata questa gamba rispetto all'altra. Aspettiamo ventiquattro ore, dopodiché vedremo come procedere." Gli passa una mano sul viso, notando la sua espressione sofferta. "Ho parlato con John." Stephen annuisce, con la mascella serrata per il dolore. "Mi ha detto di quanti tuoi colleghi abbiano perso la vita" continua, vedendo le barelle con il lenzuolo bianco essere scortate all'interno. Stephen annuisce di nuovo, abbassando gli occhi sul suo ginocchio dolorante. "Mi dispiace."
"Anche a me."
Dei passi pesanti colgono la loro attenzione e notano il dottor Rule procedere pallido lungo l'ingresso, fermandosi di fronte la signora Smith che si porta una mano al petto, all'altezza del cuore. Le sue guance rosee perdono il loro colorito.
Emma aggrotta la fronte, sollevando un sopracciglio. Il dottor Rule si sfila il cappello dalla testa, accarezzandosi i baffi. "E' terribile" lo sente dire, scuotendo la testa. Una barella viene portata via e il corpo coperto dal lenzuolo viene scortato in obitorio. Lungo la via, Emma nota John seduto ancora per terra, con Martha che finisce di pulirgli la ferita al viso e gli parla a bassa voce. John, però, ha gli occhi fissi sulla barella che gli passa avanti e i suoi occhi esausti. Martha appoggia una mano su quella tremante del soldato, tentando di calmarlo con il proprio calore.
Emma si gira a guardare Stephen che, in quel preciso istante, ha gli occhi fissi sul dottor Rule.
L'uomo dai baffi curati ha lo sguardo sul soldato e si lecca il labbro inferiore. "Dobbiamo parlare, Lodge."
"Sissignore" dice Stephen, annuendo con il capo. Emma fa per alzarsi, ma il soldato le prende il polso. "No. Non mi parlerà adesso. Puoi restare."
Emma gli si sporge, lasciandogli un bacio sulla guancia sporca di fuliggine. "Rimarrei con te, ma ho del lavoro da fare." Si mette in piedi. "Provvederò a trovare qualche barella con cui farti tornare in dormitorio."
Stephen annuisce, rimanendo seduto lì mentre Emma se ne va proprio quando la sirena, finalmente, smette di risuonare per tutto l'accampamento.

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