3. Chiudetevi a chiave

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Una settimana dopo, Emma Jensen è seduta comodamente al suo posto sull'aereo di linea Boeing, le mani strette ai braccioli del suo sedile e lo sguardo perso al di là del finestrino, su quel Pacifico che veniva costantemente sorvolato da diverse compagnie aeree e teatro di battaglie. Quello stesso oceano su cui ha ormai volato per circa dieci ore, sospesa nel nulla e con la mente impegnata a pensare a qualsiasi cosa per non cadere nella paranoia e nei pensieri più catastrofici che le si possano formare.
Ripercorre a mente tutto quello che si sta portando appresso: dai documenti, vestiti, ai suoi medicinali personali, a delle - seppur minime - scorte di cibo da consumare durante il viaggio, kit di pronto soccorso, fotografie della propria famiglia.. Eppure, nonostante sappia di avere tutto con sè, sente di aver dimenticato qualcosa. Anche una stupidaggine.
Ha provato a dormire, ma i rumori dei motori, dei bambini che piangono, delle hostess che passano lungo i corridoi ogni tre per due le hanno dato filo da torcere.
Per non parlare del fuso orario.
E' partita alle ventitrè del cinque settembre, e l'arrivo è previsto per le due del pomeriggio del sei settembre. Sente la testa pesante e gli occhi bruciare. Tenta di chiuderli, quanto meno per riposarsi un po', ma poi le turbolenze la fanno saltare sul sedile, spaventandola. Non solo ha preso l'aereo per la prima volta da sola, ma sta percorrendo una distanza che mai avrebbe immaginato di percorrere lungo il corso della sua vita.
All'aeroporto ha salutato i suoi genitori, stringendo il padre per le spalle e asciugando le lacrime pesanti di Meredith che ha tremendamente paura di cosa il Pakistan possa procurare a sua figlia. Si è lasciata Phoenix alle spalle, imbarcandosi verso un nuovo inizio, completamente diverso dal futuro che aveva pianificato per sè.
Accanto a lei si sono seduti due ragazzi del suo stesso gruppo, Joe e Alec che parlano tra di loro e, di tanto in tanto, si addormentano. Li ha disturbati più volte durante questo viaggio infinito per poter sgranchirsi le gambe e andare al bagno. Non ha ancora conosciuto gli altri ragazzi che sono stati chiamati insieme a lei, ma solo i suoi stessi colleghi che sono sparsi un po' per tutta la lunghezza dell'aereo.
E' dopo un tempo infinitamente lungo che sente il microfono accendersi e la voce del capitano prorompere in quell'unico momento di silenzio che era caduto. Il sole entra dal suo finestrino e le riscalda la pelle del braccio, mentre il comandante annuncia l'imminente atterraggio. Emma si aggrappa ai braccioli e per sbaglio urta la mano del suo vicino che sta facendo esattamente la stessa cosa. "Scusa" dice, spostando immediatamente la sua e posizionandola sul bracciolo libero.
"Tranquilla" dice Joe, regalandole un sorriso teso, con le occhiaie sotto gli occhi neri e i capelli scuri stropicciati sulla nuca. "E' venuto spontaneo anche a me."
Emma gira la testa verso il finestrino, guardando la terra avvicinarsi sempre di più fin quando le ruote dell'aeroplano non toccano la pista, facendo sussultare tutti i passeggeri e decelerando. Il cuore inizia a batterle in maniera più regolare, fino a stabilizzarsi del tutto quando mette piede a terra e viene accompagnata all'interno dell'aeroporto. La temperatura è elevatissima, i vestiti le si appiccicano completamente addosso e la fronte inizia ad imperlarsi di sudore. Tutti i nuovi infermieri arruolati vengono accompagnati fino al nastro trasportatore per recuperare i bagagli. Vengono distribuiti in diversi sotto gruppi per facilitarne il trasporto, così attendono pazientemente che l'autobus arrivi e li porti a destinazione. Il sole è ancora alto nel cielo, la terra brucia e in lontananza si nota l'aria tremolare per la temperatura troppo alta. Il paesaggio è quasi deserto, con delle colline prorompenti all'orizzonte e ampie vallate desolate. Una ragazza si mette accanto ad Emma, lasciando la sua valigia ai suoi piedi e appoggiandosi ad essa. Si mette una mano sugli occhi a mo' di visiera, lasciando vagare i suoi occhi verdi sull'orizzonte sconfinato. Gli unici rumori che si sentono sono quelli dei passeggeri che trascinano i loro bagagli e gli aerei che partono.
"Dio, che caldo" dice la ragazza, passandosi poi la mano sulla fronte bagnata. Si gira a vedere Emma, strizzando gli occhi per la forte luce mentre i primi autobus arrivano e trasportano parte di loro. Ci sono circa cinquanta infermieri fermi lungo il marciapiede, assunti da diversi ospedali americani. Del St. Joseph's sono soltanto Emma, Joe, Alec e qualche ragazzo che ancora non ha avuto modo di conoscere. "A Seattle non abbiamo mai avuto temperature così alte, non sono preparata!" Stende una mano verso Emma, sorridendole. "Sono Martha, comunque."
L'altra ragazza ricambia la stretta, stringendo i suoi occhi cervoni e puntandoli in quelli verdi di Martha. "Emma."
"Sei del B-20?" chiede la ragazza con il caschetto scuro che le solletica le spalle.
Emma annuisce, guardando la strada nel caso l'autobus arrivi. Il capogruppo, colui che ha organizzato la partenza, controlla i documenti di tutti e di tanto in tanto sposta lo sguardo sul suo orologio da polso. "Anche tu?" chiede Emma.
Martha annuisce. "Di dove sei?"
"Phoenix" risponde subito e la ragazza con il caschetto la indica con il dito.
"Ci avrei scommesso fossi del Sud" ammette, sollevando poi entrambe le mani in segno di resa. "Tranquilla, non ho nulla da criticarti. E' solo che sei l'unica, tranne qualche altro tipo laggiù, a non esserti ancora lamentata del troppo caldo. Quindi ho subito dedotto fossi di giù. Per non parlare del tuo accento."
"Cos'ha che non va?"
"Assolutamente niente" dice Martha, sorridendole. "E' carino."
Un autobus imbocca la via e si ferma proprio di fronte loro. James, il capogruppo, solleva una mano per far avvicinare altri componenti del sottogruppo, spingendoli a salire sul mezzo. Martha sbatte la mano sul portellone, affinché l'autista l'ascolti e permetta loro di sistemare i bagagli. Quando salgono sul mezzo, Emma e Martha si siedono accanto. "Non conosco nessuno ancora" dice Emma, mettendosi sul sedile accanto al finestrino. "Mi fa piacere averti accanto."
Martha le sorride. "Lo stesso vale per me."

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