16. Non insegnano niente i film?

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Passa una settimana dal primo allenamento di Emma e Stephen e sempre, in tutte e due le ore, non hanno fatto altro che preparare l'infermiera ad essere più flessibile. Nessun progresso, nessun nuovo esercizio che potesse in qualche modo interessarla di più.
Certo, ora i movimenti le vengono più naturali e semplici da effetturare, sebbene i suoi muscoli - i primi giorni - ne abbiano risentito parecchio. Non riusciva persino ad alzarsi dal letto senza sentire le membra esauste e il dolore intramuscolare limitare ogni azione, una cosa che un'infermiera non potrebbe mai permettersi. Ma ha stretto i denti e, ogni due giorni, si è recata al primo fosso sulla strada fuori l'accampamento, raggiungendo Stephen con la bottiglietta in mano, i capelli legati e gli indumenti morbidi che ogni giorno mette a lavare.
Alle due, quel pomeriggio, esce dall'ospedale con i capelli sfatti e il camice sbottonato, con i lembi che le svolazzano intorno alle gambe. Incontra Martha che sta per iniziare il suo turno, sorridendole di fretta. "Ma dov'è che vai così, correndo?" chiede l'amica con il caschetto mentre infila l'ultimo bottone nell'asola corrispondente.
Emma le fa un rapido gesto con la mano. "Ti spiego più tardi, buon lavoro!" dice, correndo verso il dormitorio.
Si lava la faccia, si sistema i capelli e si cambia maglietta. Al passaggio afferra al volo la bottiglietta d'acqua e si richiude la porta alle spalle. Corre lungo il sentiero, attraversando il cancello e avviandosi verso il primo fosso.
Trova Stephen seduto per terra su un tappetino verde scuro con le gambe incrociate, le mani appoggiate alle ginocchia e gli occhi chiusi. Emma gli si avvicina, spostando le pietroline sotto le scarpe. Stephen apre un occhio, mettendosi in piedi mentre l'infermiera appoggia la bottiglietta per terra.
"Buongiorno" saluta Emma, torcendo già il busto per prepararsi. Ha le sopracciglia aggrottate e gli occhi semichiusi a causa del sole già basso. "Solito allenamento?" chiede, vedendo poi il soldato mettersi in piedi e fare dei piegamenti rapidi.
"Oggi no" risponde lui, facendo poi schioccare le dita delle mani. "Faremo qualche passo in avanti" dice.
Emma solleva un sopracciglio mentre stiracchia le braccia e saltella sul posto. "Bene, sono pronta."
"Ehi, ehi" dice Stephen, bloccandola per le spalle. Emma lo guarda dritto negli occhi, inclinando leggermente la testa. "Oggi combatteremo."
Si toglie le mani del soldato di dosso e incrocia le braccia al petto. "Suppongo che ci sia un po' di teoria, prima."
"Esattamente" dice Stephen, allontanandosi da lei. "Prima di tutto, partiamo dai dati di fatto. Ovvero, che le tecniche che ti insegnerò riguarderanno solo ed esclusivamente il corpo a corpo in via del tutto disarmata. Se il nemico in questione avrà delle armi, ovviamente è tutta un'altra questione che - prometto - non lascerò in sospeso. Tre sono le zone sensibili che è preferibile colpire per mettere fuori gioco - seppur momentaneamente - l'aggressore: occhi, carotide e genitali." Stephen le da le spalle e recupera il suo tappetino, stendendolo tra sè ed Emma. E' più lungo di quanto le sia sembrato all'inizio. "Per difesa, è necessario usufruire delle mani e delle gambe, sebbene i calci siano preferiti ai pugni perché permettono di mettere più distanza tra l'aggressore e colui che si difende. I pugni devono cogliere di sorpresa. Mai farsi notare quando stringi le mani o ti prepari a lanciarti contro. Ma soprattutto mai guardare la zona che intendi effettivamente colpire. E' tutto un gioco di sorpresa e attacco anticipato, signorina Jensen." Emma annuisce, vedendo poi Stephen mettersi in piedi esattamente alla fine del tappetino mentre con la mano la invita a mettersi dall'altra parte, rimenendo uno di fronte all'altro. "Ovviamente, prima di passare all'azione, si deve cercare di evitare lo scontro, fuggendo e gridando aiuto, così da intimorire l'aggressore di fronte la possibilità che sopraggiunga qualche esterno a bloccarlo. Se la situazione, invece, dovesse precipitare, allora si adoperi immediatamente. Facciamo una prova" dice, mentre si stiracchia le braccia. "Venga più avanti e fingeremo un attacco. Voglio vedere come, a primo impatto, si scontrebbe con il nemico."
Emma si lecca le labbra mentre fa qualche passo in avanti. Prima ancora che se ne accorga Stephen le è addosso, la fa girare di soprassalto e la paralizza, tenendole forte le braccia e il collo contro il suo petto. La prima cosa che Emma fa è quella di tentare di fargli smorzare la presa, ma non riuscendoci inizia a scalciare e le sue parole la colpiscono in fretta. Fa scattare una gamba all'indietro e gli colpisce l'inguine, sentendo la sua presa affievolirsi intorno al suo collo, dopodiché si libera con uno strattone e prepara il braccio per dargli un pugno ma il suo polso viene bloccato da Stephen che lo tiene in alto e le immobilizza l'altro braccio dietro la schiena. Con uno sgambetto la fa scivolare per terra, girandosi affinché le potesse cadere sopra. Poi si muove di nuovo e la stende di schiena sul tappetino, tenendola inchiodata con un braccio al collo e il suo corpo steso sul suo. Emma ha il fiatone e quando incontra gli occhi infervorati di Stephen un brivido le corre lungo la spina dorsale. Le viene in mente una cosa che le disse in una delle prime - e uniche - conversazioni lì in Pakistan, quando Stephen le chiese se lei pensasse fosse una persona cattiva. Dati i suoi movimenti, potrebbe benissimo esserlo, si ritrova a pensare mentre i loro petti si scontrano e i loro fiati si mescolano. Stephen distende la fronte e stringe le labbra in un abbozzo di sorriso, prima di mettersi in ginocchio e sollevarsi da lei. "Troppo lenta" dice solamente, stendendole poi una mano per aiutarla a rialzarsi. Emma la stringe e una volta in piedi prende un grosso respiro. Si solleva un lato della maglietta per asciugarsi la fronte. "Ma miglioreremo sicuramente" dice Stephen, sfilandosi la maglietta e asciugandosi il torso nudo. Emma nota la cicatrice bassa che è finalmente libera dalla garza e si staglia più rosea contro il resto della sua pelle.
"Ha tolto i punti" dice a voce alta mentre il soldato si tampona la fronte. Stephen abbassa lo sguardo sulla ferita guarita e annuisce con il capo.
"Sì, ieri pomeriggio. Me li ha tolti la sua amica, Martha se non sbaglio." Emma si ritrova un attimo a pensare al fatto che avrebbe tanto voluto toglierli lei quei punti, dato l'ottimo lavoro eseguito, ma non ha avuto questo piacere. "Finalmente posso muovermi come voglio" dice lui, stiracchiando di nuovo le braccia, questa volta verso l'alto. Curvando la schiena all'indietro i suoi addominali affiorano sulla sua pelle ed Emma si lecca le labbra - non maliziosamente, ovvio - e osserva la pelle deturpata del soldato, le cicatrici sparse sui pettorali e il resto dell'addome. Si siede per terra e beve un po' d'acqua, riposandosi un po'. Quando riavvita il tappo, prende un ampio respiro mentre il soldato si siede davanti a lei. "Come se l'è procurate, tutte le altre?" chiede, incuriosita.
Stephen abbassa lo sguardo, sfiorandosi con le dita le cicatrici sul petto, poi scuote le spalle. "Un po' in battaglia, un po' quando ero piccolo. Si sa, quando si è bambini se ne combinano di tutti i colori. " Se ne tocca una appena sopra il gomito. "Questa qui, ad esempio, me la sono procurata a quattro anni cadendo dalla bicicletta quando ancora ero alla prime armi e, atterrando al suolo, c'erano frammenti di una bottiglia di vetro." Se ne tocca un'altra, all'altezza del polso. Da quella distanza, però, Emma non riesce a vederla bene. "Questa qui quando mi sono rotto il braccio a dieci anni e hanno dovuto risistemare l'osso. Non me ne facevo mancare una" scherza, sorridendo. Ed Emma la nota, nota quella leggera nostalgia nei suoi occhi ricordando le cose del passato. "Vedevo più l'ospedale che la mia stessa casa" scherza.
Emma sorride, sollevando poi il mento. "Qui" dice lei, sfiorandosi una piccola cicatrice, "ho sbattuto il mento cadendo dalla bicicletta." Poi si solleva il pantalone, scoprendo una caviglia e una cicatrice verticale. "Qui invece, durante un viaggio di famiglia lungo la Florida quando avevo più o meno otto anni, sono caduta sulla spiaggia a Miami e, guarda caso, l'unica pietra in tutta la distesa sabbiosa l'ha beccata la mia caviglia."
"Tipico" dice Stephen, sorridendo con i suoi denti. Vedendolo, Emma non può fare a meno di appuntare quanto il soldato sia bello senza il suo solito broncio. I suoi denti bianchi sono ordinati e smaglianti sul suo viso. "E così è andata a Miami" dice, guardandosi poi le mani.
"Penso che chiunque ne abbia la possibilità debba andarci almeno una volta. E' una delle città più belle che abbia avuto il piacere di visitare."
"Oh no, no.  Anche se avessi la possibilità di andare in Florida, non penso ci andrei. Non mi lamento dell'andare nella mia cara e vecchia spiaggia di Weymouth, nel Dorset. Ho la casa vicino al mare lì, ci vado ogni anno. O meglio, fino a quattro anni fa, prima di essere mandato qui. Non ho mai pensato di spostarmi da lì, sinceramente."
Emma sgrana gli occhi. "Sei in Pakistan da quattro anni?"
Stephen annuisce. "Sì, anche se veniamo congedati per le festività, tipo il Natale e la Pasqua."
Cade un silenzio imbarazzante tra loro in quanto non sanno che argomento tirare fuori durante la pausa. Così è Emma a schiarirsi la gola per prima. "Quindi sei inglese" dice a voce alta. "Di dove precisamente?"
"Londra" dice lui, "e fortunatamente non sono l'unico. Sono circondato da americani, senza offesa eh" conclude, sollevando le mani in segno di resa.
Emma sorride, scuotendo la testa. "Mi piacerebbe un giorno andarci, non l'ho mai visitata. O meglio ancora, non sono mai uscita dall'America tranne che per venire qui."
"Perché ha scelto il Pakistan?" chiede all'improvviso Stephen, infilandosi la maglietta. "Perché ha voluto venire in terreno di guerra?"
Emma si lecca le labbra e inizia a torcersi le mani. "Perché credo che sia stata la giusta svolta nella mia vita. A Phoenix vivevo con i miei genitori, con la presenza ingombrante di mia nonna che non sopporta il fatto che io preferisca lavorare piuttosto che metter su famiglia. Non ha ancora capito che, prima o poi, troverò qualcuno con cui iniziare a condurre vita insieme, ma non è quello che mi serve adesso a soli ventidue anni. Voglio diventare indipendente, aiutare gli altri, mettere risparmi da parte e costruirmi da sola il mio castello, senza che nessuno osi alzare un dito al riguardo per poi, in futuro, sentirmi dire ''è stato anche merito mio''. Voglio sudare ogni singola cosa e credo che questa esperienza mi formerà non solo dal punto di vista professionale, ma come persona. Qui è dove c'è più bisogno di me e, come ogni soldato che si rispetti, alla chiamata ho risposto di sì, senza dubitarne neanche un istante."
Stephen annuisce, sorridendole. "Non credevo avesse il discorso preparato" scherza.
Emma scuote le spalle. "Mi viene spontaneo dire queste cose. Può sembrare costruito, ma per me non lo è, affatto."
"E' ammirevole." Stephen stringe le labbra, poi si mette in piedi, ruotando lentamente le spalle. "Okay, pausa finita. Riprendiamo." Emma sorride, poi si mette in piedi lasciando la bottiglia per terra. Si sistema i capelli e si arrotola le maniche sulle spalle magre. Si posiziona nuovamente sul tappetino e guarda il soldato negli occhi, cercando di capire il momento giusto per attaccare. Quando lo vede, di nuovo, avventarsi su di lei, in un gesto spontaneo gli sferra un colpo al collo, ma il braccio le viene nuovamente bloccato e girato dietro la schiena - senza, ovviamente, che Stephen le potesse fare davvero del male. Tira su un ginocchio per colpirlo alle parti basse e distrarlo, così gli da un colpo in fronte e con il piede gli tocca il retro della coscia, sperando che potesse perdere l'equilibrio. Ma Stephen le blocca la mano e, soprattutto, rimane ben saldo in piedi. I loro petti sono vicinissimi ed Emma sente il fiato del soldato solleticarle la fronte. Solleva la testa per guardarlo e i loro occhi si incrociano. Stephen guarda il colore chiaro che hanno assunto quelli della ragazza, con le ciglia lunghe che le decorano quello sguardo dolce e piacevole alla vista di chiunque. "Deve dimostrarmi che sa fare di meglio, signorina -"
"Emma" conclude lei al suo posto. "Solo Emma, per favore" dice.
Stephen non osa lasciarle i polsi, nè l'infermiera tenta di liberarsi. "Piacere mio" dice il soldato, sorridendole. "Solo Stephen, grazie." E solo dopo le libera le mani, vedendo Emma massaggiarsi i polsi e stringere le labbra.

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