Chapter 7: Blankness

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Ashton

«Ashton, puoi dare il frullato a tuo fratello?» mia madre si affaccia dalla cucina con alcuni piatti tra le mani. Poggio le chiavi del bar sopra il mobile all'ingresso e lascio un bacio sulla sua tempia, togliendole le stoviglie dalle mani. Le sistemo sulla mensola apposita e annuisco.

Quando entro nella camera di mio fratello, il suo frullato speciale tra le mani e un falso sorriso in volto, trovo mia sorella Lauren intenta a cercare qualcosa sulla mensola, mentre Har ridacchia.
«Ciao, campioni» li saluto, lasciando il frullato tra le mani del mio fratellino. Ha dieci anni ed è allergico alla maggior parte dei cibi da quando ne aveva due e non faceva altro che piangere, quindi ora deve prendere questi frullati fatti in polvere o vitamine o qualcosa del genere per nutrire il suo corpo. Dice che siano buoni, ma una volta me ne sono fatto uno e aveva lo stesso sapore dell'erba.

«Com'è andato quel progetto di scienze, Lau?» chiedo. Mia sorella sembra illuminarsi e punta i suoi occhi nei miei. «Diciamo che il mini-vulcano ha eruttato prima del previsto e la professoressa si è ritrovata con un chilo di ketchup in faccia. Ma ho avuto una B, quindi non mi lamento.»

Fingo un colpo di tosse e «Favoritismi» borbotto. Lei assottiglia gli occhi e mi lancia un libro. Lauren ha sedici anni e non mi parla quasi mai di ció che comprende la sua vita privata. Il liceo puó essere uno schifo e lo sappiamo entrambi, specialmente se si frequenta la stessa scuola di Calum Hood. È comprensibile che non mi voglia dire nulla a riguardo.

«Domani ho il pomeriggio libero, vi va di andare da qualche parte?»
Gli occhi di Harry si illuminano. «Tipo?»
«Non ne ho idea... proposte?»

Mentre lui e Lauren discutono sulle possibili opzioni, mi arriva un messaggio da parte di Calum ma lo ignoro. Solo ora ricordo della rimpatriata e mi alzo di scatto dal letto.
«Va bene, ora devo andare via un attimo. Torno subito, nel frattempo decidete dove volete andare domani.»
Loro annuiscono, poi saluto mia madre con uno "scusa" e metto in moto l'auto.





Salgo le scale del palazzo saltando due scalini alla volta, sempre più convinto che quest'idea si rivelerà un fallimento totale. Ogni cosa ideata da Calum Hood si rivela sempre un fallimento totale.

Il mio odio per lui cresce ogni giorno di più e, il solo sapere che ora sto salendo sul palazzo dal quale volevo buttarmi di sotto una settimana fa, mi costringe a insultarmi da solo.

«Riccioli d'oro, da quanto tempo!» Michael è fermo davanti alla porta che conduce al tetto. I suoi capelli sono blu.
«Hey, Puffetta, perchè sei qui?»

Lui si stringe nelle spalle. «Il messaggio di Calum, ricordi? Oh, non dirmi che te ne sei dimenticato e sei venuto qui per suicidarti!»
«No, no, intendevo: perchè sei fermo davanti alla porta?»
«Per far pensare a quel pallone gonfiato di Hood che nessuno verrà.»
«Eppure sei qui.»
«Colpa del Karma.»

Rimaniamo in silenzio.

«Allora?» faccio, inarcando le sopracciglia. Lui spalanca le braccia. «Allora cosa?»
«Vuoi aprire quella porta o no?»
«Okay, come vuoi».
Il lucchetto e la catena che serravano la porta sono già a terra, quindi Michael la apre senza alcuno sforzo e mi lascia passare.

Calum Hood è seduto sul parapetto. Le gambe a penzoloni, lo sguardo rivolto verso il tramonto e un pezzo di carta ripiegato nella mano destra. Appena sente la porta aprirsi infila il foglio nella tasca del giacchetto in pelle.
«Finalmente», sbraita. Clifford gli rivolge il dito medio e si siede al suo fianco, con le gambe sospese nel vuoto che si dondolano come se si trovasse su un'altalena.

«Di cosa volevi parlarci di così tanto importante?» domando.
Il moro ridacchia. «Lo diró quando saremo al completo; non mi piace ripetere le cose. Approposito,» si volta a guardarmi e punta i suoi occhi sul mio volto. Sembra voglia analizzarmi come gli scienziati fanno nei film. Poi borbotta tra se e se qualcosa, tornando a sembrare vagamente normale. «Hemmings e Smiths dove sono?»

«Hemmings aveva gli allenamenti. Aurora non ne ho idea.» Risponde Michael.
In pochi istanti, la porta si spalanca e Aurora vi si appoggia per prendere fiato. «Domandina veloce: per la prossima rimpatriata non potremmo scegliere un grattacielo con un ascensore che porta fino all'ultimo piano? Perchè ho le mestruazioni miei cari e, nonostante io non abbia mai voglia di fare attività fisica in generale, sento che la prossima volta non riusciró ad arrivare fin quassù sana e salva.»

Ha una mano sul fianco e l'espressione visibilmente provata. Annaspa fino al parapetto, poi si mette seduta anche lei poco distante da Michael e Calum.
«Tecnicamente un ascensore che porta fin quassù c'è,» asserisce Clifford. «Affianco alla porta dell'ufficio, dietro a una pianta. Passi per il sottoscala e ci sono gli ascensori che utilizzano gli addetti a non so cosa per fare non so che. Peró la prossima volta potresti arrivare qui sana e salva.»

Calum ghigna. «Ma non se il gancio si rompe e l'ascensore precipita».
«Divertente», lo scimmiotta Aurora.
Io nel frattempo me ne rimango da parte.
«Comunque come fai a saperlo?»
«Cosa?»
«Dell'ascensore».
«Oh, ehm... Prima della notte di Capodanno venivo qui spesso. Molto spesso, in realtà.»
«Perchè?» Aurora si sposta una ciocca di capelli dietro l'orecchio.
«Perchè il mio patrigno è il proprietario di quest'edificio».

Calum Hood scoppia a ridere.

𝐂𝐎𝐔𝐍𝐓𝐃𝐎𝐖𝐍Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora