Chapter 22: Bullshit

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Ashton

"Alle cinque nel solito posto. Devo parlarvi."

È con questo messaggio che Calum mi ha costretto ad afferrare le chiavi della macchina, mettere in moto e guidare fino al solito palazzo, meta delle solite rimpatriate suicide per confrontarci e scegliere in comune accordo quali delle vite dei presenti sia la più penosa.
Abbasso il finestrino mentre una di quelle canzoni sentite e risentite fuoriesce dalla radio e si disperde nell'abitacolo, subito decido di inserire un CD dei Nirvana per conciliarmi e trovare un po' di pace interiore.

Non volevo partire; starmene sul divano e riposarmi, per quel poco tempo che mi è concesso dal lavoro, sembrava ed è ancora una prospettiva davvero più allettante che stare faccia a faccia con Calum Hood, ad ascoltare le sue solite cazzate mentre Clifford da un momento all'altro potrebbe buttarsi di sotto.
Certe volte mi chiedo perché non sono rimasto a casa pure la notte del 31 dicembre.

Comunque sia Hood sembrava serio, a giudicare dai punti che ha messo alla fine della frase. Lui non utilizza mai una punteggiatura corretta, e la cosa mi ha mandato in allerta. Peró una vocina, il sesto senso, la ghiandola pineale o chi per lei, mi ricorda che l'ultima volte che è successo ha iniziato a sparare quelle cazzate sui desideri. Che poi non sarebbe neanche una brutta idea, ma il fatto che la abbia ideata Calum la rende davvero pessima.

Sono fermo davanti ad un semaforo rosso quando vedo Michael Clifford camminare sul marciapiede, probabilmente dirigendosi nel mio stesso luogo. Le mani nelle tasche, la testa bassa e gli anfibi rovinati che strusciano sul cemento. Ha l'aria più trasandata del solito e, appena scatta il verde, mi affretto ad accostare sul ciglio della strada.

«Michael» lo chiamo. Non risponde; continua a tirare dritto, quindi avanzo anch'io di alcuni metri. «Clifford!» urlo. Ancora nulla.
Alcune macchine si raggruppano dietro di me e i conducenti iniziano a maledirmi, agitando le braccia fuori dal finestrino.
Suono il clacson e «Michael Clifford, muovi il culo e vieni qui!»

D'un tratto, come colto alla sprovvista, il tinto si volta con un'espressione confusa in volto mentre si toglie le cuffiette dalle orecchie. Mi rivolge un accenno di sorriso, che pare più una smorfia. «Hey, ciao Ash!»

Alcuni minuti dopo è seduto sul posto del passeggero e guarda distrattamente la strada, assorto nei suoi pensieri.
«Sembrano fare male» accenno al suo volto, ora corrucciato.
«Cosa?»
«Quei lividi. Come te li sei procurati?» 
«Regola numero uno del Fight Club: non parlare mai del Fight Club.»

Scuoto il capo con una risata, svoltando verso destra. Parcheggio affianco all'auto di Hood e concentro tutta la mia attenzione sul ragazzo al mio fianco.
Due profonde occhiaie circondano i suoi occhi: paiono quelli di un cocainomane.
«Un uccellino mi ha detto che è da un po' che non ti fai una bella dormita.»

«Adesso parli con gli uccelli?»
«Ognuno ha i propri rimedi alla solitudine.»

Michael sbuffa una risata. «Allora dovrei iniziare a farlo anch'io.»

Poi rimaniamo entrambi in silenzio. Nessuno dei sue scende dall'abitacolo, rimaniamo semplicemente ad osservare lo squarcio di tramonto che si scorge tra gli alberi.

«Sono gay.»
Annuisco. «Okay.»
«Okay?»
Ridacchio. «Cos'altro dovrei dirti? Me lo hai confessato aspettandoti che dicessi qualcosa, ma non l'ho fatto. È okay. Il mio giudizio non importa; ció davvero importante è quello che senti tu. Ora che me lo hai detto il mio parere su di te non è cambiato. Rimani Michael Clifford e un'etichetta che definisce i tuoi gusti sessuali non ti rende una persona diversa da ció che eri prima che me lo dicessi.»
Sorride quasi sinceramente.

𝐂𝐎𝐔𝐍𝐓𝐃𝐎𝐖𝐍Where stories live. Discover now