Chapter 39: 28/02/2011

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Calum
Un mese dopo

«I miei non mi lasciano uscire. Hanno paura che io mi impasticchi di nuovo, o roba del genere.»

«Diamine amico, non voglio darti filo da torcere, ma avrei fatto lo stesso se fossi stato mio figlio. E forse anche tu.»

«Per fortuna che non sono mio figlio, allora» rido per sdrammatizzare, perché Ashton sta tamburellando il piede a terra da circa quindici minuti e mi sta facendo agitare. Sospiro. Forse non è il momento adatto. Osservo il portone in quercia della sala delle udienze, ancora chiuso. Mia madre sta parlando con l'avvocato a pochi metri da me. Riesco quasi a distinguere le parole prigione, fallimento e almeno quattro anni. Decido di distogliere le attenzioni dalla loro conversazione, per non caricarmi troppo di preoccupazioni, altrimenti finirei per scoppiare.

«In più adesso mia madre e Mali sanno della Prosopagnosia. L'avvocato mi ha fatto fare una diagnosi definitiva, dice che potrebbe tornare utile per il processo.
Prima mia madre non ci voleva credere, diceva che non potevo essere certo di averla fin quando mi sarebbe stata diagnosticata. Cristo santo, riesco a capire da solo quando non riconosco i volti delle persone che mi stanno attorno, no? Credeva che solo una diagnosi ufficiale potesse rendermi davvero affetto da questa merda. Davvero non la capisco» senza accorgermene, comincio anche io a picchiettare il piede sul pavimento. Ashton me lo fa notare, allora io gli faccio notare che lo sta facendo anche lui e insieme smettiamo di farlo.
«Ma non avevi mai provato a fare dei test online?»

«Certo che sì, fratello! L'ho persino completato davanti ai suoi occhi, ma niente da fare. Pure adesso che è ufficiale, pare stenti a crederci. Forse si incolpa per non essersene accorta prima. E Harry è nei casini. Dopo quel giorno mia madre aveva intenzione di denunciarlo, l'ho convinta in tutti i modi per evitare di rovinargli la carriera per sempre. Dio, non volevo che venisse coinvolto anche Harry.»

«Chi è Harry?» Ashton infila le mani nelle tasche dei pantaloni. Corruga un sopracciglio. Sa muovere in modo strano le sopracciglia, a volte sembra un attore di teatro.
«Il mio psicologo», dico. «Ci vado da un paio di anni, ormai. Da quando io e te avevamo chiuso i rapporti.»
Annuisce. Non dice nulla. Passano alcuni secondi, mi metto seduto sulla panca in legno lungo il muro e chiudo gli occhi.

«Avresti dovuto pensarci, Cal. Il suicidio non coinvolge solo te, ma anche chi ti sta intorno.» Ashton mi guarda. In piedi, con le mani nelle tasche e l'espressione saccente con il tono da vecchio saggio del villaggio. A volte mi da fastidio quando interpreta la parte della mia coscienza. Incredibilmente anti-autonomo.
«Non chiamarlo in quel modo. Non mi piace quel nome.»
«Suicidio? Fattelo piacere amico, perché sarà segnato per sempre nella tua cartella.»
«Sta' zitto.»
«Avresti dovuto pensarci prima. Calum Hood, il tuo nome risuonerà per i corridoi fino alla fine dell'anno. Hanno persino lasciato dei biglietti sul tuo armadietto, quando sei tornato dall'ospedale li hai visti. E Aurora ha pianto e io pure e anche Michael e Luke. E i tuoi genitori, Mali, mia sorella. Io sono rimasto una notte intera affianco al tuo letto, a sperare che ti risvegliassi dal coma. Ho quasi minacciato degli infermieri che volevano sloggiarmi, e non dormo tranquillo da quando ti ho trovato senza sensi sul tetto del palazzo. Ogni sera faccio il giro delle vostre case e controllo se state tutti bene, mando un messaggio a Mali e le chiedo di vedere se stai dormendo o non riesci a prendere sonno. La notte lascio il telefono sul comodino con la suoneria alta così, se mai dovessero chiamarmi per un'emergenza, mi sveglierei subito. E- non volevo dirti tutto questo, non volevo dirti nulla di tutto ciò, non voglio fartelo pesare, ma hai cercato di ucciderti, Calum. E di uccidere tutti noi, anche senza volerlo. Perciò prenditi le tue responsabilità, accettalo, chiamalo per quello che è. Il suicidio fallito non ti impedirà di riprendere in mano la tua vita, ma ti darà l'opportunità di ricominciarne un'altra. Migliore della precedente, senza dover nemmeno morire prima.»

𝐂𝐎𝐔𝐍𝐓𝐃𝐎𝐖𝐍Where stories live. Discover now