Chapter 26: Maybe, I'm afraid

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Michael

Le persone hanno la capacità di riflettere e trasmettere emozioni dalle loro espressioni facciali. Sopracciglia inarcate, angoli della bocca rivolti all'insù, naso arricciato o fronte corrugata.
Sono i dettagli quelli che ci fanno capire cosa sta provando un individuo, le sue sensazioni, le sue emozioni.

Mi è sempre risultato difficile leggere il volto di Luke Hemmings. Ha sempre quell'espressione impassibile, quasi apatica. Di qualcuno che è sempre troppo immerso nel suo mondo per poter prestare attenzione a ció che lo circonda. Come uno spiritato, che si limita a esistere e ignorare tutto e tutti.
Qualcuno di andato, fottuto.

Eppure quando apro la porta, dopo circa mezz'ora passata a osservare dalla finestra il biondo seduto fuori da casa mia, la sua espressione sembra quella di un bambino. Occhi che si illuminano, fossette sulle guance e i movimenti impacciati, forse nervosi.

Mi raggiunge con passo veloce all'uscio della porta su cui sono poggiato, fermandosi a pochi centimetri dal mio volto. Non gli devo neanche dire di parlare; sa che lo sto ascoltando.

«Punto uno: ti capisco se inizierai a prendermi a pugni. Punto due: volevo solo dirti che è colpa mia. Punto tre: me ne andró solo quando mi guarderai negli occhi e mi sputerai addosso tutto l'odio che provi nei miei confronti. E devi ordinarmi di andarmene dalla tua vita, dirmi che non vuoi più vedere la mia faccia da cazzo, altrimenti non mi muoverò da qui. Dormiró fuori per tutta la notte, se necessario. E pure domani. Finchè non mi guarderai e mi manderai a fare in culo. Okay?»

Trattengo una risata.
«Hai davvero rischiato di finire in coma etilico?»
Le sue spalle si rilassano e «una specie», asserisce, guardandosi i piedi per un paio di secondi. «Ma adesso sono qui, Michael. E ti prego, ti prego ti prego ti prego, permettimi di sistemare le cose.»

«Non c'è nulla da sistemare, Luke.»
Per quanto ci provi, non riesco ad essere arrabbiato con lui. Lo odio e basta. Perchè continuo a stare costantemente ai suoi giochetti. «Non è a me che stai mentendo.»

«Parleró anche con Aurora, te lo promet–»
«Non c'entra niente Aurora. Stai mentendo a te stesso, Luke. Solo a te stesso. E ora quelle bugie stanno coinvolgendo troppe persone.»

Lui mi guarda. Riesco quasi a intravedere degli accenni di lacrime, ai bordi dei suoi occhi. È tutto un groviglio di stress, alcool, tristezza, paura, sconforto. Per un istante credo di star guardando il mio riflesso.
E allungo una mano, faccio per poggiare il palmo sulla sua guancia in modo così lento che, alla fine, è lui ad avvicinarsi. Chiude gli occhi e lascia che il mio pollice gli asciughi una lacrima che ha iniziato a tracciare un sentiero sulla sua pelle diafana. Gli scosto una ciocca di capelli dagli occhi e avvicino il mio volto al suo.

«Non puoi soffocare i tuoi sentimenti. Perchè prima o poi quelli inizieranno a urlare più forte di prima e per te non ci sarà scampo.»
Tira su col naso, poi annuisce. Allunga la mano sinistra e afferra il mio polso, allontanandolo dal suo volto. Poi incastra le nostre dita e si nasconde nell'incavo del mio collo.
«Posso entrare?»

«Certo, coglione.» Rido, trascinandolo dentro. Lui non dice nulla, mi segue fino alla mia camera in silenzio, con passo felpato.
«I tuoi genitori?»

«Mia madre credo stia dormendo. Quel deficiente di Walter è partito stamattina per Adelaide. Un suo parente alla lontana è morto e domani ci saranno i funerali. Avró un po' di pace, finalmente.»

𝐂𝐎𝐔𝐍𝐓𝐃𝐎𝐖𝐍Where stories live. Discover now