Chapter 17: Baboi

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Ashton

«Quindi?» la voce di Michael Clifford rimbomba nel piccolo bar poco dopo che il suono del campanello della porta d'ingresso suona e io, dapprima alle prese con la macchina del caffè, mi volto asciugando le mani bagnate sul tessuto della divisa.

«Quindi cosa?»
Il tinto si appoggia a braccia incrociate sul marmo del bancone, poi si stringe nelle spalle. «Era un modo per iniziare una conversazione».

«Un "Ciao, come va?" non sarebbe andato bene?»
«Non mi piace salutare le persone in modi troppo normali.»
«Non ti seguo» corrugo la fronte, concentrandomi sulle sue parole.
«Penso che dire ciao, buongiorno o tutte quelle cazzate varie sia inutile. Insomma, sono solo parole. Se ci pensi bene tutti le utilizzano in modi futili. A cosa serve salutare una persona se la vedi ogni giorno?»
«Perchè potrebbe essere l'ultima volta che la vedi.»

«Hai bevuto una tazza di pessimismo stamattina?»
«Disse colui che voleva buttarsi da un palazzo»
Silenzio. Michael schiocca la lingua sul palato e «Dico solo che ci è stato insegnato che si saluta per educazione, ma se ci pensi sono solo delle lettere messe insieme a formare una parola che tutti utilizzano almeno una volta al giorno.»

Sposto lo sguardo dal suo volto, soffermandomi bene sul significato delle sue parole. Continuo a non comprenderlo, ma d'altronde lui è Michael Clifford e non pretende di essere capito.

«Quindi?»
«Quindi io posso tranquillamente salutare qualcuno con un'altra parola. Ad esempio...»
Si guarda attorno, studia con attenzione tutti i presenti e, quando vede Joshua Dun seduto ad un tavolo, fischia per richiamare la sua attenzione.

«Baboi!» urla. Sventola la mano nella sua direzione e Josh alza il pollice in alto, visibilmente confuso da ció che è appena successo.
«Visto?» il sorriso entusiasta di Michael mi fa ridacchiare e mi trattengo dal dire che "Baboi" non è una parola presente in un normale dizionario.

«Notizie dal resto della Suicide Squad? Ho lanciato il mio cellulare contro il muro della mia stanza e non ho intenzione di prenderne uno nuovo, perció inizieró ad informarmi personalmente. Come ai vecchi tempi, sai.»

Si scompiglia i capelli, spostandosi poi su uno sgabello appena liberatosi da un cliente. «Non lo so, non li vedo da alcuni giorni. Vuoi qualcosa?»
«Un po' di voglia di vivere» fingo di controllare sotto il bancone e «L'abbiamo finita, torna domani», asserisco.

Sospira. «Tu cosa ne pensi della morte?»
«Come metodo per sbarazzarmi una volta per tutte di Calum Hood o intendi in modo soggettivo?»
«Soggettivo.»
Ci penso su.
Cosa penso della morte? Andiamo, ci siamo incontrati sopra un cazzo di grattacielo!

«Non lo so. La fine di un qualcosa, credo.»
«Della vita»
«Potrebbe darsi.»
Silenzio. Una coppia di donne che esce dal bar con un sorriso in volto e gli occhi di Michael Clifford che sbattono ripetutamente, mortalmente concentrati su di me. «Allora?»
«Allora cosa?»
«Era un modo per riprendere la conversazione.»

«Senti, non lo so. Io- certe volte mi sento come se non potessi morire. Come se non ci riuscissi, capisci che intendo?»
Le labbra rosse di Michael si incurvano impercettibilmente all'insù. «Sì.»

«E... quando mi balenano in mente scenari di morte mi viene da pensare che a me non potrà mai succedere nulla. Come se fossi intoccabile, o potessi uscirne indenne. Da ogni situazione.»

«È per questo che ti trovavi lassù, quella notte? Volevi testare se saresti riuscito a buttarti e morire?»

«Sembra masochista, ma... Sì.»

La sua risata divertita mi fa aggrottare le sopracciglia. «Cosa– Perchè diamine stai ridendo? È una cosa seria!»

«Oh, non fare il moralista. È che, amico, tu sei davvero incasinato.»

«Il punto è: moriresti se solo potessi farlo?»
Silenzio. Il mio sorriso vittorioso e la fronte di Michael che si aggrotta, formando piccole rughette.
«Non...», un sospiro. «Non lo so. Prima di una settimana fa avrei risposto "si, voglio morire più di qualunque altra cosa", ma adesso é solo un "Fate come vi pare".»

«E cosa ti ha portato a questa affermazione?» verso un po' di Thè per la signora Molly, cliente abitudinaria, e quando le porgo la tazzina Michael è ancora fermo a fissare il vuoto. «I suoi occhi».
È un sussurro, spera che io non lo abbia sentito, ma l'ho fatto.

«Credi nella reincarnazione?»
«Forse sì, forse no. Non riesco a decidermi approposito cose che riguardano il "credere".»
E ricomincio a non afferrare il concetto. Non so se il problema è il mio cervello o il suo.
Dovrebbe andare in giro con una specie di vocabolario per tradurre la sua lingua.

«Credi nella musica?»
Aggrotta la fronte e «Si, certo. La musica non è qualcosa su cui dubitare. Insomma,  hai la prova che esiste. La puoi ascoltare.»
«Credi in Babbo Natale?»
«Ash, sicuro di non aver bevuto qualcosa prima di–»
«Michael.» Lo richiamo, lasciando cadere uno strofinaccio umido sopra il bancone.
«No che non ci credo.»
«Allora in cosa credi?»
«Nella tua salute mentale a dir poco critica.»

«Quindi?»
«Quindi cosa?» un sorriso si forma sulle labbra rosse di Michael.
«Era un modo per riprendere la conversazione.»
«Non si è mai interrotta.»
«La stai interrompendo adesso» mi appoggio sui gomiti al bancone, riservandogli uno sguardo di sfida.

«In cosa credi, Michael Clifford?»



I'M BACK BITCHES
in realtà ho pensato di eliminare questa storia un sacco di volte, e ho pubblicato questo capitolo (abbastanza corto) per convincermi a lasciarla intatta nel mio profilo.

Ci si vede

𝐂𝐎𝐔𝐍𝐓𝐃𝐎𝐖𝐍Where stories live. Discover now