Chapter 18: Ice Cream

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Aurora

Luke, alle tre e cinquantacinque, è già davanti al bar e si ciondola sulle gambe, spostando il peso da un piede all'altro.
Io mi avvicino con il cuore in gola, i battiti accelerati quando punta i suoi occhi azzurri sui miei e un'ingiustificata voglia di andarmene a gambe levate. Insomma, gli vado dietro da sempre; perchè dovrei abbandonare ora, proprio durante un appuntamento?
Che, a quanto dice Internet, questo è proprio un appuntamento. Non capita tutti i giorni di andare a prendere un gelato con Luke Hemmings. E a me neanche piacciono i gelati, ma va bene così perchè il sorriso che si disegna sul volto di Luke è meglio di qualunque altro dolce.

È bello come sempre; gli skinny jeans neri a fasciargli quelle gambe da favola e una camicia a quadri rossa lasciata aperta sopra una t-shirt dei Led Zeppelin.
Mi accorgo di star tremando solo quando agito una mano per salutarlo.
Riprenditi, mi ripeto.

«Ciao» quelle fottute fossette.
Mi stampo un sorriso in faccia e fingo l'espressione più sveglia possibile, per apparire una persona lucida che non fantastica già sul giorno del matrimonio e i nomi dei tre figli (Tyler, Luna e Theo).
Mi batto un cinque immaginario quando usciamo entrambi dal bar con dei coni gelati in mano, lui perchè li adora e io per non doverlo fissare mentre si gusta il suo. Poco importa se finiró per non toccarlo neanche, avró qualcosa da fare quando il silenzio ci farà cadere nell'imbarazzo.
Come in questo preciso momento.

Avvolgo il cono con un fazzoletto, reggendolo con la mano sinistra e, senza farmi beccare, inizio a guardare Luke con la coda dell'occhio. Pare mortalmente concentrato sui suoi piedi, che si muovono sul cemento del marciapiede affianco ai miei. La diversità di dimensione è tangibile ad occhio nudo; nonostante io porti un quaranta, a confronto con quelli di Luke i miei sembrano piedi di fata. D'altro canto Luke è alto trenta centimetri in più di me, probabilmente, e se non avesse i piedi che ha rischierebbe di cadere e sbilanciarsi ogni volta.
Non che ora sia così diverso, penso, quando per poco investe un ragazzino in skate.
Le sue guance si tingono di rosso in evidente imbarazzo, poi torna al mio fianco con una falcata e si schiarisce la gola.

«Allora, ehm» non so se sia davvero in procinto di dire qualcosa o lo abbia fatto solo per smorzare la tensione. Continuiamo a camminare in silenzio per un altro paio di minuti.
«Hai fratelli o sorelle?» Butto giù la prima domanda che mi viene in mente, tanto per sciogliere il ghiaccio.
Non credevo che gli appuntamenti fossero così complicati. Da bambini sarebbe bastato un pezzo di merenda e ci saremmo giurati amore eterno.

«Ho... Avevo una sorella gemella. Si chiamava Lily.»

Oh. Chino il capo mordendo un labbro con insistenza. Sto sempre zitta e, quando apro la bocca, non faccio altro che peggiorare ogni situazione.
«Scusami, non lo sapevo. Ignora la mia domanda. È davvero buono questo gelato, non è vero?»
Il punto è che non l'ho neanche assaggiato e Luke lo sa meglio di me.

«Stai- tranquilla. Non ignoro il fatto che lei sia morta, per me non è un tabù parlarne.» Mi rivolge un sorriso di cortesia. Probabilmente in questo momento vorrebbe prendermi a pugni. «Il punto è che... bisogna sempre ricordare le cose belle, no? Ricordo che era fantastica. Il suo filo è stato reciso alcuni anni fa, troppo presto, ma è successo. E infondo moriremo tutti. Prima, dopo, non è molto importante.»

Sembra così tranquillo nel parlarne.
«Ti manca?» azzardo.
Cazzo, Aurora, è ovvio che gli manca.
Dev'essere orribile perdere un membro della famiglia. Soprattuto ad un'età così giovane. Ma credo che Luke se ne sia fatto una ragione, anche se -sicuramente– continuerà a soffrirne fino alla fine della sua vita.
«Come l'aria. È come quando esci di casa e senti costantemente il presentimento che ti manchi qualcosa.»

Silenzio. Luke calcia un sassolino, che rotola per alcuni metri fino ad un cespuglio. Una goccia di cioccolato mi scivola lungo le dita della mano e mi affretto a buttare il gelato nel primo cestino che vedo.
«Non lo mangi?»
«Non mi piacciono i gelati», asserisco. Mi pulisco le dita con un fazzoletto pescato dalla tasca del cappotto, spostando lo sguardo su Luke Hemmings.
«Già, neanche a me a dir la verità» fa scivolare anche il suo cono nel secchio dell'immondizia e mi rivolge un sorriso. I suoi denti immacolati quasi riflettono la luce del sole.

Siamo seduti su una panchina quando decido di dar voce ai miei pensieri.
«Posso... posso chiederti una cosa?»
«Certo»
Prendo un respiro profondo. «Qual'è il ricordo più felice che hai con tua sorella?»

Sembra pensarci su. Molto su.
«In realtà non ne ho uno. Quando si è fratelli si tende a vivere il momento e basta, senza preoccuparsi del futuro. Non sapevo che lei se ne sarebbe andata, non ho avuto il tempo di riempire la memoria con i momenti passati insieme. Ma ricordo bene il suo volto assorto quando leggeva un libro, gli occhiali sul naso e le sue lentiggini. Ricordo perfettamente ogni suo particolare, come se l'avessi vista stamattina. Ricordo le lotte interminabili per il bagno, la sua maglietta dei Led Zeppelin che le rubavo dall'armadio. Le lacrime quando discuteva con i nostri genitori. Le urla e le parolacce che ci lanciavamo a vicenda.»
Si ferma un attimo, sospira e alza lo sguardo verso il cielo, spostandolo dalle sue mani.
«Ma... Nell'ultimo periodo sembravamo due comandanti di eserciti nemici. Era un costante battibeccare su ogni singola cosa, anche la più stupida. Aveva appena finito di discutere con nostra madre quando la vidi per l'ultima volta in vita. Si era rintanata in camera, facendomi sobbalzare. Le stavo prendendo la maglia dei Led Zeppelin di nascosto, approfittandone della sua discussione con mamma al piano di sotto. Mi ha guardato. Nessuno ha detto nulla. Ha infilato un giacchetto ed è uscita di casa in fretta. Neanche il tempo di salutarla, di dirle "Hey, che cazzo stai facendo? Ti prego resta qui." Non ci siamo urlati in faccia. Mi ha solo guardato. E credo di aver visto un accenno di sorriso, in quello sguardo. Come se sapesse già cosa stava per succedere. Oppure voleva solo rassicurarmi.»

Si ferma di nuovo. Un singhiozzo esce dalle sue labbra e abbassa di nuovo lo sguardo. Con un sorriso lo invito a continuare, forse per curiosità o perchè voglio che butti tutto fuori, che si liberi di tutto ció che lo sta tormentando.
Prende un respiro profondo, smorzato da alcuni singhiozzi soffocati.
«Era notte. Uscii per andarla a cercare e la trovai dopo due isolati, in un vicolo. La suoneria del suo telefono mi portó al suo corpo. Era stata aggredita. Il colpevole era un alcolizzato; Lily si era offerta per aiutarlo a tornare a casa e quello l'ha uccisa.  Il corpo morto di Lily era davanti ai miei occhi e cosa ho fatto? Mi sono steso al suo fianco e le ho preso la mano. Per rassicurarla. Per dirle che sarebbe andato tutto bene. Che non le avrei più preso la maglia dei Led Zeppelin. E sono rimasto lì finche sono arrivati i miei genitori, un ambulanza e delle pattuglie. Non ricordo nemmeno di aver chiamato aiuto. Non riuscivo a parlare, non riuscivo a muovermi. Una parte di me era morta con lei, quella notte.»

Mi accorgo di star piangendo solo quando Luke si asciuga le lacrime che gli rigano il volto. Passo ripetutamente la mano sulla sua schiena e tento di rassicurarlo, di tranquillizzarlo, ma è una battaglia persa in partenza.
«Io non l'ho fermata, capisci? Non le ho detto nulla. Non un misero "Aspetta", non un "Ciao" o un avvertimento.»

Tento di cambiare argomento. Non so consolare le persone, non so come comportarmi in queste situazioni. E Luke sembra davvero poco lucido, ora. «Non abitavate qui a Sydney, sbaglio?»

«N-no, stavamo a Melbourne. Dopo la morte di Lily abbiamo deciso di cambiare aria.»
Annuisco mestamente mordendomi un labbro, scaricando tutta la scomodità del momento. Quello inizia a sanguinare.

𝐂𝐎𝐔𝐍𝐓𝐃𝐎𝐖𝐍Where stories live. Discover now