8. Ascolterai Mine Bruciate Rubando Amore

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L'intera scena si blocca.

Le grida della ragazza mi stringono in un violento abbraccio.

Il pompare rallentato del mio cuore, con i suoi artigli di vene, sembra quasi trattenere il tempo.

Nel fermo immagine oscillano solo i lunghi capelli biondi, che nascondono come un manto sbiadito le zanne della tigre.

Spalanco la bocca.

Un grande respiro mi gonfia dolorosamente il petto mentre i secondi riprendono a scorrere.

La ragazza resta accucciata come un animale, un ginocchio sbucciato appoggiato a terra e le mani arpionate nel fogliame che sembra quasi ardere. Il suo mento però resta alzato, lo sguardo duro, fisso con denso coraggio negli occhi della tigre.

Respiro male, mentre la tensione mi spezza, e nel momento immediatamente successivo, non riesco a capire cosa accada esattamente, ma la bionda abbassa la testa chiudendo gli occhi, come in una preghiera.

Quella che prima ero sicura fosse un'aggressione, diventa inspiegabilmente un segno di rispetto, un inchino riverente all'enorme felino, che smette di ringhiare, restando con gli occhi infuocati verso il capo abbassato, per poi arricciare gli enormi baffi in uno sbuffo quasi spazientito.

Quando la tigre solleva lo sguardo nella mia direzione, il cuore mi si scioglie nello stomaco: c'è qualcosa di estremamente nobile nella luce dei suoi occhi.

Il bassotto tra le mie braccia inizia a dimenarsi impazzito, costringendomi a chinarmi per abbandonarlo sulle piastrelle rotte. Quando la mia schiena si raddrizza dolorante, mi rendo conto che la Tigre del Cuore è scomparsa.

Un silenzio inquietante avvolge la ragazza, che se ne sta ancora china con il capo abbassato.

Incapace di muovermi, mi ritrovo a fissare il sacco di ossa rannicchiato e non so perché, ma nella mia testa quella strana creatura, improvvisamente inizia ad assomigliare a una di quelle sfere di Natale dove la neve si agita sempre.

Con gambe sconnesse mi avvicino a lei, chiedendomi per un secondo se ho dimenticato come si cammina.

Quando con una mano sfioro la spalla della ragazza, lei non si spaventa. Solleva semplicemente il suo sguardo, mentre i capelli alieni iniziano a vorticarle attorno, mossi dal vento.

Mi ritrovo a fissare due grandi occhi azzurri, limpidi, immersi in un pozzo di trucco nero. Non riesco a dire nulla e mi perdo nel suo viso, su cui paiono scorrere nuvole, come in un cielo di vetro, bagnato di luce estiva.

"Bisogna riconoscere che a volte gli altri sono più forti di noi", la sua voce è roca, la bocca sottile. Un piccolo neo segna il suo labbro superiore.

In risposta io le sorrido soltanto, mentre sento un enorme peso sollevarsi dalle mie spalle.

"Devo recuperare le mie scarpe", mi dice con un sorriso meccanico.

È come se si sforzasse di sorridere, come se non fosse abituata a farlo o non fosse pienamente convinta che si faccia proprio così.

E poi, c'è qualcosa di profondamente inquietante nei suoi lineamenti scavati. Un'inquietudine di quelle che ti scava dentro per riempirti di domande, rendendoti quasi inumano, oppure un umano con intere selve di foreste innevate nel cuore.

Mi chiedo quale vetro l'abbia ferita.

"Mi chiamo Ambra", dice poi, senza sorridere più.


***


Ritrovarmi accucciata a schiaffeggiare Didì a bordo piscina mi scatena un'ilarità quasi incontrollabile (anche se mi viene da pensare che sia più tensione nervosa).

Ciscandra - Personality Disorders  || 2° LibroWhere stories live. Discover now