19. Burattini, bugie e labbra di carta

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«Ho dentro un discorso di fuoco che pur vorrebbe divampare, ma lo spegne questa follia.»

Amleto - Shakespeare



L'uscita del Grattacielo di Vetro è una scheggia di vetro che galleggia in un mare di tenebre.

Un debole fascio di luce accompagna il mio strano incedere. E quando dico strano, non intendo che i miei passi sono rallentati dallo stordimento che mi offusca, né confusi dal tremare del mio cuore, che giace come un macigno senza grazia nel petto.

C'è qualcosa che non va in me, nelle mie gambe.

Quando abbasso lo sguardo, è come se avessi lasciato il mio corpo qualche passo più indietro. Le mani corrono veloci a sorreggermi la testa, quasi potesse cadere e frantumarsi in mille pezzi.

Non ho più delle gambe, ma degli zoccoli.

Sono diventata un satiro con le cosce dipinte di nero carbone. Sono diventata un pugno di cicatrici danzanti, legate da un segreto. Carne, ossa e pelle, unite da una colpa che continua a investirmi e svuotarmi come una marea ipnotizzata dalla luna.

Il suono degli zoccoli risuona ovattato, spento. Forse sul pavimento è cosparsa della sabbia, ma non riesco a vedere bene. Ho paura di sfiorare con le dita il buio intorno a me, e magari scoprire che c'è qualcosa che mi respira accanto.

Cosa mi ha fatto questo posto?

È come se fossi caduta talmente nel profondo di me stessa da ritornare a essere un animale affamato di movenze umane. E se dentro questi zoccoli, ci fossero solo bellissimi piedi umani pronti a sbocciare man mano che l'inferno ingoia un'altra strada?

Quando esco dalla porta del grattacielo, pare che la luce rubi qualcosa di me. Mi sento febbricitante, come se mi avessero strappato la pelle tutta d'un fiato.

Una tempesta infuria nel mio respiro, un oceano di pensieri e sangue cola dalla mia bocca.

Quando però abbasso lo sguardo, torno a vedere i miei piedi. Niente più zoccoli.

Forse era solo un'allucinazione.


***


Accorgermi di Priscilla sul bordo della strada deserta, con la sua lamiera incandescente e i colori sgargianti, non mi fa sentire sollevata. E forse, a sconvolgermi maggiormente, non è vedere Ambra che mi corre incontro col volto segnato da un'espressione umana (forse preoccupazione), ma il fatto che ci sia un sole abbagliante sopra Personality Disorders.

Quanto tempo sono rimasta lì dentro?

«Ciscandra», la ragazza dagli enormi occhi scavati non dice altro, mentre il suo petto respira furiosamente per la corsa (anche se non credo fino in fondo che il fiato le manchi per quello. Forse è spavento? Paura?). Non riesco a capirci molto, perché il suo sguardo torna ad essere filo spinato.

Mi sforzo di sorridere, ma una grande nausea resta aggrappata al mio stomaco. Non so se risulto convincente, perché Ambra resta spenta, con i sottili polsi pieni di cicatrici lungo il corpo, il vestito stracciato e i due enormi trampoli di vernice nera immobili.

«Sei tornata. Come hai fatto a tornare?», la mia voce è sconnessa, trema. Non so neanche io che senso abbiano le mie parole.

Inaspettatamente la ragazza scoppia in una sonora risata, buttando la testa indietro. I capelli la seguono come un'onda di minuscole ali luminose, mentre io mi pietrifico davanti a quel gesto così spontaneo, provando un disagio che non riesco a spiegarmi.

Ciscandra - Personality Disorders  || 2° LibroWhere stories live. Discover now