16. Diario di una cannibale

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Quando i miei occhi si aprono vedo un cielo di conchiglie sopra di me.

Sono sdraiata in qualcosa che sobbalza, spinto dallo sciabordio dell'acqua.

Stranamente, non mi terrorizza accorgermi che sono in una bara di legno. Non mi spaventa neppure il pupazzo a forma di coniglio che mi sta di fronte, con due grandi bottoni al posto degli occhi, tantissime cuciture sfilacciate, e una cannuccia gialla tra le zampe. In realtà, non capisco se riesca a vedermi, perché continua a remare in silenzio.

«Ti sei svegliata», a parlare è una bambina sdraiata ai suoi piedi: porta i capelli blu raccolti con un nastro rosa, e una camicia da notte sporca di macchie color ruggine. Gli occhi della bimba restano chiusi, come se stesse dormendo, e vedo che le pallide manine, congiunte sul petto, stringono un mazzo di camelie.

Uno strano flash di ricordi mi abbaglia, e mi rendo conto che quella è la stessa bambina che mi ha preso per mano, prima che l'oscurità mi accecasse.

«Chi sei? Dove mi trovo?», chiedo ferma. Inizio a pensare che ci sia davvero qualcosa che non va, perché non c'è panico nella mia voce.

Com'è possibile che io sia così calma?

Perché non c'è un brivido di paura nel mio respiro o perlomeno di ansia?

«Sei nel mio sogno», risponde la creaturina restando immobile, prima di aprire uno dei suoi occhi per squadrarmi interamente. «Io sono Agata, e lui è il mio amico Caronte», aggiunge poi, spalancando anche il secondo specchio azzurro.

Guardo per un secondo l'enorme coniglio-traghettatore di pezza, e noto solo in quel momento che ha due grandi macchie bagnate sotto i bottoni, come se avesse pianto.

«Agata, perché sono nel tuo sogno?», chiedo guardandomi attorno.

La bara galleggia in uno sconfinato mare verde-azzurro, colmo di giocattoli abbandonati: ci sono cavallini a dondolo spezzati, dadi galleggianti, giraffe da cui esce un po' di imbottitura bianca come neve. E poi trottole, palle, ali colorate di cartapesta, soldatini e vagoni di trenini ammaccati.

Agata si mette a sedere immergendo lo sguardo nel mare sconfinato. Poi mi sorride enigmatica: «Stiamo per arrivare.»

Vorrei chiederle dove stiamo per arrivare, ma sono troppo distratta dalla museruola di cuoio che la bimba estrae dal nulla, per poi appoggiarsela sul viso legandola stretta.

Non so perché, ma non le chiedo il significato del suo gesto. Le pongo invece una domanda diversa e forse senza senso: «Perché non sono agitata Agata?»

«Ora sei nel mio sogno!», ripete nuovamente la bambina, senza rispondere veramente.

Un gracchiare improvviso mi fa voltare di scatto.

C'è un corvo appollaiato su un trono di bronzo, ed è alquanto particolare per essere un corvo: ha un monocolo appoggiato sul becco d'avorio e indossa una camicia inamidata.

«Agata mangia cuori perché non sa amare! Agata mangia cuori perché non sa amare! Cra!», gracchia l'uccello carbone in tono canzonatorio.

«Vai via farabutto!», la museruola soffoca le parole della bambina, che paonazza si alza in piedi con i pugni frementi, scaraventando poi un camion giocattolo contro il pennuto. Questo si scansa divertito arruffando le piume bruciate.

«Chi è quello?», chiedo, mentre cerco di aggrapparmi a un bordo della bara, che ondeggia spaventosamente.

«È il mio psicoanalista. Dicono che sia il più bravo dottore di tutti i tempi, ma è solo un piccione con un cervello di gallina!», sibila furente la creatura.

Ciscandra - Personality Disorders  || 2° LibroWhere stories live. Discover now