Fallen Venus

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La bambina non ritornò a casa quella notte.

Al posto di fuggire da quel sadico in uniforme, l'aveva attaccato come quel ragazzino undicenne della sua banda.
L'aveva colpito e gli aveva spezzato un dente. Come la volta prima, quello era stato il suo piccolo momento di gloria, per poi essere sbattuta a terra successivamente.

L'uomo si era ripreso dal dolore e le stava ricambiando il favore, scombinando i suoi organi interni a calci. Un poliziotto che prende a calci una bambina in mezzo alla strada e sotto gli occhi di altri due gendarmi. Nessuno si fece avanti per aiutarla, ma Frisk già lo sapeva. Ora come ora, voleva solo che quell'uomo tirasse fuori una pistola e le sparasse alla testa con un colpo secco.
Il dolore delle botte era insopportabile, così forte che non poteva fare niente per difendersi a parte restare rannichiata per terra, subendo, aspettando che il tutto finisse.

Infine il poliziotto che continuava a scrivere sul taccuino imperterrito sembrò svegliarsi dal coma e disse che la dovevano portare in centrale.
La vicina di casa, che aveva assistito a tutta la scena senza muovere un dito,
aveva aperto la bocca per dire qualcosa ma poi l'aveva chiusa. Aveva guardato Frisk, mimandole con la bocca un "mi dispiace" per poi ritornare dentro il complesso di appartamenti e chiudendo la porta piena di ruggine.

Il poliziotto Alfred le diede un'ultimo calcio all'addome, provocandole un gemito, infine la prese per la colottola e se la caricò in spalla, dirigendosi verso la centrale insieme agli altri due. La bambina vide il fagotto del corpo della madre venire abbandonato in mezzo alla strada e iniziò debolmente ad agitarsi, provocando irritazione dall'uomo che la stava portando e guadagnandosi una sculacciata da quest'ultimo. Questa volta si trattenne e non gemette di dolore, ma iniziò a piangere senza alcun rumore.
Il poliziotto grasso la vide e cercò di consolarla come il suo poco intelletto gli permetteva.
«Non ti preoccupare, qualcuno la sposterà dalla strada. Magari la porteranno all'obitorio o la seppelliranno in una fossa comune...»
Classica cosa da dire a una bambina a cui hanno ammazzato la madre.

La centrale di polizia non era lontana, ma una decina di minuti di camminata in Nyarang Town a notte fonda non era la cosa più sicura da fare. Ma, con grande delusione di Frisk, nessuno sparò ai poliziotti né li accoltellò. A quell'ora per strada c'erano solo prostitute, sedute sui marciapiedi con i loro vestiti scollati e i loro capelli lunghi, sempre sciolti.

Furono sorprese di vedere dei poliziotti e alcune di loro corsero via al loro arrivo. Era raro vedere un poliziotto lavorare ed era risaputo che potevano ricattarti come nessun'altro, se volevano. Alcune invece restarono ferme ai loro posti, guardando la bambina malconcia che stavano portando con loro.
Frisk vide tristezza e compassione nei loro volti, molte di loro avevano dei figli, ma ancora una volta nessuno fece nulla per aiutarla. Li guardarono mentre passavano, con le braccia conserte e gli occhi vuoti come delle statue di dee greche tirate giù a forza dai loro piedistalli di marmo per mezzo di ricatti e pistole alla tempia, sprofondate in un abisso di urli rauchi e mani invadenti, svestite della loro dignità e libertà.

Frisk si chiese se fosse diventata così da grande, o se lo fosse già in quel momento.
Accompagnando l'atto con commenti acidi e volgari, il poliziotto superò il gruppo di donne lanciando loro occhiate affamate. La bambina vide una di loro storcere il naso e fare una smorfia di puro disgusto, protetta dal buio.

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Non la tennero lì tanto tempo. Solo una notte.
Una notte in una cella buia e sporca con altre quattro persone, quattro uomini più malconci di lei.
Il poliziotto l'aveva praticamente lanciata dentro con la rincorsa, ma un ragazzo aveva evitato che si sfracellasse la faccia contro il muro opposto e l'aveva presa al volo.
Era sui diciasette, moro e con la pelle scura. Indiano, probabilmente.

Le aveva chiesto, rivelando un marcato accento sud-asiatico, se si fosse rotta qualcosa e Frisk aveva scosso la testa. Ma poi le lacrime avevano riniziato a sgorgare dai suoi occhi e finalmente la bambina era scoppiata in un pianto disperato, per il dolore delle botte e per la paura.
Un'altro uomo, quarantenne, si avvicinò a lei e le offrì un fazzoletto di cotone che teneva in tasca, con cui la bimba si asciugò le lacrime velocemente ma non accennando a smettere di singhiozzare.

Un'altro poliziotto si avvicinò pericolosamente alla cella e sbattè il manganello contro le sbarre, urlando a Frisk di smetterla con quella lagna e spaventandola ancora di più.

Il ragazzo la prese gentilmente in braccio e su sedette con lei sulla panchina di legno tutta scrostata, appoggiandola sulle gambe e dandole delle imbarazzate ma gentili carezze sulla testa, facendola smettere a poco a poco di piangere.
Si addormentò tra quelle magre braccia che odoravano di spezie e si risvegliò il giorno dopo sentendo delle urla femminili terribilmente familiari.

«NON LO POTETE FARE, TIRATELA SUBITO FUORI DI LÌ!»

«Decidiamo noi se farla uscire o no, chiaro? Ha spaccato il dente ad un poliziotto, è un reato.»

«NON SAI NEANCHE COSA VUOL DIRE REATO, COGLIONE! LE AVETE SBATTUTO IN FACCIA IL CADAVERE DI SUA MADRE E L'AVETE PRESA A CALCI IN MEZZO ALLA STRADA, INFINE L'AVETE PORTATA VIA SENZA INFORMARE L'ORFANOTROFIO CHE ORA NE È TUTORE. QUESTO È SEQUESTRO.»

«Non è sequestro, idiota. L'abbiamo arrestata e portata in centrale, tutto nella regola.» La voce di Cristina sembrò abbassarsi.

«Alfred Neil non aveva nessun turno ieri notte e secondo le regole di Ivan Kalashnikov i poliziotti fuori turno non hanno diritto al distintivo. Gli altri due erano dei segretari e il distintivo non ce l'hanno mai avuto, perciò non avevano il diritto di portarla alla centrale.» Disse lentamente la suora. Al nome di Kalashnikov, l'uomo stette zitto, troppo spaventato per parlare.

«Mi pare di capire che non rispetti le sue regole: non è una bella cosa da venire a sapere.»

«Prendila e vattene.»

Nel giro di pochi secondi, venne strappata dalle braccia del ragazzo e si ritrovò a camminare strattonata dalla mano della suora, la quale le gettò un'occhiata per poi distogliere lo sguardo.

«Mi dispiace, Frisk.»

I Ain't No Kid, Pal (Mafiafell Frans)Where stories live. Discover now