Catty

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Frisk p.o.v.

«Degli informatori, huh?» Chiesi appoggiata alla scrivania, mani agganciate alle bretelle e sguardo non sicuro. Tra un caso e l'altro, avevo imparato che certi tipi di quella categoria potevano essere veramente delle sanguisughe e magari spifferare in giro qualsiasi cosa per soldi. Erano pochi gli informatori affidabili presenti ad Ebbott City, si contavano sulle dita di una mano. E costavano un rene.

«Sono totalmente degni di fiducia, ogni cosa di cui abbiamo discusso in passato non è mai uscita dalle loro bocche. Possiamo andarci adesso.» Propose lui, aprendosi in un sorriso nervoso. Il suo comportamento da scolaretto timido mi irritava in modo inimmaginabile.

«Va bene, iniziamo da lì. Come andiamo senza attrarre troppa attenzione?» Concessi pazientemente.

Il suo perenne ghigno si allargò ulteriormente sentendo la mia ultima domanda e mi offrì la mano. «Ha mai viaggiato col teletrasporto, signorina Frisk?»

Wow, figoso.

«Frisk e basta.» Lo corressi, cercando di nascondere la mia curiosità per quel bizzarro mezzo di trasporto. «E diamoci del tu, troppe formalità sono inutili.» Lui annuì nuovamente, sembrando genuinamente felice per qualche oscuro motivo ed arrossendo un poco. Senza ripensarci, afferrai la mano, scrutando lo scheletro per vedere la sua prossima mossa. Lui sbattè le sue palpebre (palpebre d'osso?) ed al secondo battito, la rossa pupilla destra era aumentata di misura mentre la sinistra era scomparsa.

Un pizzicore alle dita, un cambio d'aria. La scrivania del mio modesto ufficio sparì dalla mia vista, per dare spazio ad una specie di aula d'attesa buia e con tutte le finestre chiuse, ma illuminata da centinaia di lampade. Non ne avevo mai viste così tante in tutta la mia vita, ce n'erano di tutti i tipi: da comodino, da pavimento, alte e basse, variopinte e monocromatiche, vintage e relativamente moderne, dalla luce fioca o ben accesa. Erano dappertutto, sui tavolini o di fianco alle poltrone ed occupavano la maggior parte dello spazio, facendo risplendere le pareti di legno mogano di centinaia di piccoli riflessi.
Era impressionante.

Inavvertitamente mi slanciai verso il centro della stanza per ammirare meglio quello spettacolo, ma incontrai resistenza dalla mano di Sans ancora avvinghiata alla mia. Lo guardai incuriosita, notando che non sembrava avere alcuna intenzione di lasciarmi andare, ma alla fine staccò le sue dita dalla mia pelle e si girò verso la porta di fronte a noi, nascondendo il suo viso dalla mia visuale.

Dio soia, Frisk! Sono centosettanta lampade!

La voce stupefatta di Chara riportò la mia attenzione a quegli oggetti. Mi avvicinai ad una libreria che al posto di contenere libri conteneva lanterne asiatiche, che non avevano i bordi in carta, come nei ristoranti che popolavano China Town, ma in vetro soffiato. Sul vetro erano incisi disegni di dragoni, tigri o simboli del Tao.

«Sansy, delinquente che non sei altro, lo sai che puoi venire qui solo su appuntamento!» Una buffa voce femminile invase la stanza, indignata e seguita da un mezzo miagolio d'irritazione.
Mi girai verso la porta ora aperta, da cui era uscita un Mostro dall'aspetto di gatta. Il suo pelo era di un vivace color violaceo, lindo e pulito, mentre tra le orecchie prendevano posto orgogliosamente dei corti capelli neri con un lungo ciuffo che le copriva un po' gli occhi scuri. Indossava una salopette di jeans con una grande tasca sul fronte, rigonfia di qualcosa. Sembrava un peluche che teneva Hawa nella sua stanza, solo una decina di volte più grande.

Sans le fece un cenno di saluto, ignorando la sua indignazione. «Ehilà Catty, come butta? Io e la mia collega-»

«Te lo dico io "come butta", Sans!» Lo interruppe avvicinandosi minacciosamente e squadrandomi come se mi stesse valutando. «Oh, ho capito. Mi "butti" fuori!» Disse lui ridacchiando, cercando penosamente di smorzare la tensione che si era creata.

Né Catty né io ridemmo. Perciò lui si zittì imbarazzato, guardando per aria e poi di nuovo la gatta, come per pregarla. Lei soffiò, come se fosse indecisa tra sbatterlo fuori dalla porta o dalla finestra. Alla fine si massaggiò le tempie e mi fece cenno di entrare nella stanza di fianco, mentre si avvicinava a Sans puntandogli il grosso dito contro il petto. Era alta quasi come lui.

«Per questa volta ti faccio entrare, ma la prossima no. E vai a prendermi una canna, tesoro. Forza, vai!»

«Nel solito scaffale?» Chiese lo scheletro facendole un occhiolino di ringraziamento e uscendo fischiettando dalla stanza.

Catty non perse tempo, mi investì con furia di domande.

«Sei veramente una sua collega? O un'amica, fidanzata? Compagna di letto, coinquilin-»

Riuscii a fermarla in tempo nonostante le risate di Chara che mi rimbombavano nelle orecchie.

«No, no, nonono, sono solo una collega. Perché?»

«Nulla, solo...» Abbassò la voce. «Non gli fare del male, cucciola. Quel povero diavolo deve sopportare delle robe che non puoi capire, perciò cerca di non spezzarlo in due anche tu, te capì?» Mi fece accomodare su una sedia di fianco alla scrivania del suo ufficio, mentre lei si sedeva dalla parte opposta.

"Non fargli del male"? Cos'è, un gattino?

«Quali cose indicibili?» Catty stette zitta. Iniziò a trovare le sue unghie particolarmente interessanti.
«Qualcosa di cui non ti parlerà mai, probabilmente, non lo fa neanche con me. È un tabù, non lo devi nominare. Non ti conosco, guance di pesca, ma dal tuo sguardo non sembri una stronza sadica, credo...»
Iniziò a parlare a vanvera, non riuscivo a capire niente di quello che dicesse.
«Senta, signora Catty, non so minimamente di cosa sta parlando perciò se vuole che io capisca..»

«Ti sto solo dicendo di non essere cattiva con lui, diamine! È così difficile?»

«Perché dovrei esserlo?»

«Perché tutti lo sono con lui.» Rispose semplicemente lei, sbuffando. Mi venne in mente lo scheletro che si era fatto beffe di lui, poco prima.

«Ah, il fratello.» Lei si premette il dito sulla labbra, pentendosi immediatamente di averne parlato. «Senti, te l'ho detto per creare meno problemi, non per raddoppiarli. So che a volte non è il migliore, ma... Non farglielo pesare troppo, ok?»

Nonostante non avessi capito un accidente di tutta quella conversazione, feci sì con la testa.

In pratica, se lo tratti male la gatta ti sputerà una palla di pelo in faccia. Nemici della gatta, temete.

Un'angolo della mia bocca si curvò, formando un ghigno divertito che sorprese lo scheletro, entrato in quel momento con una di quelle maledette canne tra le dita.

«Andate d'accordo, vedo.»

Certo che andiamo d'accordo, non riusciamo neanche a comunicare.

«Sans, dove sei andato a prenderla, a casa di Don Findus? Mi stavo quasi addormentando, sacco d'ossa!» Disse lei di malumore, prendendo la canna in malo modo. Sans non reagì allo stesso modo come con Papyrus, quel lamento su di lui sembrò scivolargli dalle spalle con una leggerezza naturale e si mise a ridere, dicendo che aveva sbagliato scaffale durante la ricerca. "Probabilmente sono amici di vecchia data. Oppure Sans sa che non può permettersi di piombare nell'ufficio di un'informatore senza un po' di culo al posto della faccia" pensai mentre lo scheletro si sedeva di fianco a me.

Catty accese la canna con uno schiocco delle dita, come aveva fatto prima il più vecchio dei tre Gaster, e fece un tiro, buttandomi direttamente nelle narici l'odore di marijuana. Per la terza volta in poche ore, smisi di respirare col naso e iniziai dalla bocca, inabile di sopportare ancora quel puzzolente supplizio.

"Questo mondo sta facendo di tutto per migliorarmi la giornata." Pensai riflettendo su come avrei potuto rimettere in sesto le mie ghiandole olfattive dopo tutto quel fumo che mi toccava sopportare.

«Bene, scendiamo agli affari. Ho delle informazioncine su Mettaton che potrebbero interessarvi.»

I Ain't No Kid, Pal (Mafiafell Frans)Donde viven las historias. Descúbrelo ahora