Russian Roulette

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La villa del defunto Ivan Kalashnikov si stagliava davanti al tetto dov'ero seduta, uno dei tanti grigi condomini che popolavano l'ancora miserabile quartiere di Nyarang Town. Quell'enorme abitazione non mi era mai piaciuta, troppo pomposa e troppo lussuosa. Un'illusione di bellezza per un'uomo illuso di portarla ovunque.
Eravamo stati fortunati, la sua fredda primogenita non aveva fatto il suo stesso errore e aveva premuto il grilletto prima di lui.
Mi ricordavo ancora il giorno in cui l'avevo incontrata, una memoria vivida e chiara nonostante fossero passati quasi quattro anni: una donna di venticinque anni davanti a me, una piccola e patetica quindicenne, in un freddo vicolo di fianco al corpo senza vita di un sicario.
Entrambe eravamo vestite di rosso. Lei con il suo stiloso tailleur scarlatto ed io con la mia camicia imbrattata del sangue di quell'uomo e mi stavo domandando qualche cosina al momento.
Cosa ci faceva la figlia di Ivan Kalashikov in quel vicolo squallido a meno di ventiquattr'ore dall'uccisione del padre, senza guardie del corpo?

«Chara, dammi un mano a cercare una finestra aperta.»

Perché?

«Vado a prendere un po' di soldi e vestiti per qualche giorno, finché non le passa e posso tornare in questa casa senza venire forata da una pallottola.»

Ma tanto ti trova lo stesso.

«Questa volta non mi troverà, vedrai. Ho un nuovo nascondiglio di cui sono mooolto fiera.»

E quale sarebbe?

«Ho scoperto che esiste un convento alle radici del monte Ebott, perfetto per non essere trovati. Sarà pieno di vecchie criminali scampate alla giustizia o alla mafia, ma nessuno si avvicina su quel monte da secoli dopo quel grande incendio delle antiche Rovine.»

La prima città fondata dai Mostri dopo il loro ritorno dal Sottosuolo, giusto? Sarà successo quattrocento anni fa, dopo tutte quelle guerre per conquistare quella fortezza inoppugnabile! Ancora nessuno si vuole avvicinare?

«No, hanno troppa paura delle famose maledizioni lanciate dai Mostri durante la Grande Guerra. Sono solo delle idiozie, in ogni caso. Stronzate che però convincono la gente non poco. Ah, trovata.»

Dissi indicando un lucernario socchiusa all'ultimo piano. Chara mi disse che era una pessima idea, ma io la ignorai e mi lanciai nuovamente nel vuoto, mentre l'aria mi sferzava in faccia e il tetto si avvicinava a velocità preoccupante. Vidi il tetto sfilare davanti ai miei occhi per poi arrestarsi in una discesa di mattoncini rossi.

Oi, ti sei slanciata troppo... AAAH!!

La mia povera amica urlò quando urtai la spalla contro un camino e atterrai sulla dura ceramica perdendo l'equilibrio, iniziando a scivolare dalla parte opposta facendo un fracasso infernale e seminando mattonelle rotte ovunque. Per fortuna (o forse no) dalla parte opposta del lucernario socchiusa c'era l'ampia terrazza che Annika usava per le serate speciali, cioè una volta ogni morte di Findus.
Il tetto finì e caddi di sedere sul duro pavimento, mentre Chara mi urlava insulti vari nelle orecchie ancora in preda al panico. La parte alta della manica della mia camicia era strappata e la pelle era stata squarciata, ancora piena di pezzettini e schegge di ceramica. Sentii il pungente dolore alla spalla affievolirsi quando alzando lo sguardo vidi Annika in piedi davanti a me, a braccia conserte.

«Merda.» Pensai io.

Merda. Disse Chara.

«Sei arrivata più tardi di quanto immaginassi, coglionazza. Ti stavamo aspettando.» Mi disse tranquillamente la bionda, togliendosi il sigaro di bocca. Dietro di lei, Hans stava tranquillamente bevendo un caffè su uno dei tavolini della terrazza, mentre leggeva il giornale come prima stava facendo Mauricio. Quest'ultimo se n'era andato.

Il bastardo si girò verso di me e fece un ghigno soddisfatto.
Lo avrei ucciso in un secondo momento, ora il problema era un'altra bionda di fronte a me.
La cosa più spaventosa era che non sembrasse neanche arrabbiata e la cosa era dannatamente inquietante, lei doveva essere fumante di rabbia: avevo completamente ignorato i suoi ordini su come condurre l'incontro ed avevo praticamente dichiarato guerra a Giorgetta Findus e Tommaso Rizzo. Non era possibile che fosse così tranquilla.

«Hai qualcosa di importante da dirmi?» Il suo tono era calmo.

Il mio primo intento, quello di scappare da Ebott City per un po'di tempo, si era sfortunatamente sfracellato in mille pezzi.
Ora dovevo puntare alla salvezza.
Mi venne in mente il tizio che prima mi aveva quasi fatto venire un'infarto. Lo scheletro.

«Si tratta di un certo... Sans Gaster...» Mormorai rialzandomi e guardandomi la ferita. Sembrava stranamente interessante rispetto allo sguardo freddo di Annika.

«Non ti avevo menzionato che i signori Gaster fossero nostri clienti?» Mi chiese la russa con nonchalance e buttandomi una zaffata del fumo del suo schifoso sigaro in faccia, le mie narici si intasarono di quell'odore nauseante. Riuscii malapena a non tossire e perdere la mia compostezza.
«No, non me l'avevi nemmeno accennato.» Replicai seccamente, ma non troppo. Era meglio non farla arrabbiare.
«Avresti dovuto dirmelo per tempo. Perché non l'hai fatto?» Aggiunsi guardandola in cerca di spiegazioni.

Lei fece spallucce. «I signori Gaster hanno detto che dovevano testarti per capire se sarai all'altezza del lavoro. Hai superato la prova, contenta?»

«Senti, ti ho già detto che io non lavoro come un sicario del cazzo, sono una-»

«Scuuusate!» Una voce risuonò alle mie spalle e una mano si appoggiò sulla mia spalla ferita, provocandomi un gemito. Mi girai per ritrovare il viso di Yinan a pochi centimetri dal mio, i suoi occhi blu che mi scrutavano e la sua bocca curva nel suo solito sorriso malizioso.
«Te la devo rubare un attimo, permettete?»

«Ma è appena arrivata e dobbiamo parlare del lavoro. Fallo dopo.» Disse Annika scuotendo la testa. Non potevo andare, deciso ufficialmente.
«Non riusciamo a trovare Hawa, Frisk sta sempre con lei perciò...» Disse la ragazza cinese fingendosi preocccupata. La donna russa fece un sospiro e ci diede il permesso di andare con un gesto della mano, per poi sedersi al tavolo di Hans e iniziare una conversazione. Yinan mi prese a braccietto e mi trascinò dentro, mentre gettavo un'ultima occhiata al giovane uomo che detestavo tanto.
Non mi sarei abituata al suo odioso modo di fare, anche il solo vederlo mi provocava un'irritazione incredibilmente forte.

«Mi devi un drink, Frisky.» Mi disse Yinan nell'orecchio, mentre mi guidava come un cagnolino tra le stanze dell'edificio.

E te pareva. Borbottò Chara.

«Non ti devo proprio un cazzo, raviolo.» Ringhiai, mentre lei ridacchiava.

«Su su, offrimelo da Muffet una di queste sere.»

«Sono troppo occupata, in ogni caso. Se sono fortunata riuscirò a dormire qualche ora nei prossimi giorni. E ora filo in ufficio, se permetti.» Feci per andarmene ma la donna mi trattenne.

«Fattelo curare da Hawa.» Disse riferendosi al taglio.

«Ho fretta.» Ribattei, facendole mollare la presa.

«Te lo riapro con le forbici una volta che guarisce da solo, se non mi ascolti.» Minacciò lei dolcemente.

«Sto morendo di paura.» Borbottai infine seguendola verso l'infermeria.

I Ain't No Kid, Pal (Mafiafell Frans)Where stories live. Discover now