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Eravamo sul Quinjet degli Avengers. Tony aveva esplicitamente chiesto a Strange di inserire il pilota automatico e il jet ci avrebbe portati a destinazione.

Durante il volo non avevamo avuto molto da dirci, d'altronde Strange non aveva intenzione di dirmi dove eravamo diretti.

Tante domande: nessuna risposta. Quindi, ero rimasta in silenzio, a pensare.

Saliti di più di trenta mila piedi, il Quinjet diventò completamente invisibile, ostacolando così qualsiasi possibile nemico.

Invisibili da fuori e da dentro, aveva detto Fury.

Ciò stava a significare che non eravamo neanche sui radar, e se ci fosse successo qualcosa, come un avaria al motore ad esempio, eravamo fregati. Sicuramente.

Passeggiavo avanti e indietro lungo il perimetro del jet. Strange era seduto, con le gambe incrociate, i palmi delle mani uno contro l'altro e gli occhi chiusi. Sembrava che stesse dormendo, ma stava solo metidando.

Lo vidi fluttuare per qualche secondo, per poi tornare seduto sul pavimento. Ripeté la cosa un paio di volte. Lo guardai curiosa. Non riuscivo a capire se era la sua mente a fargli fare certe cose o se ci riusciva grazie all'aiuto del suo mantello.

Ci parlava insieme, gli e l'avevo visto fare un giorno, e lui, ubbidiva a tutti i comandi che Strange gli dava.

Anima e corpo, una cosa sola.

Guardai a terra, il pavimento sotto i miei piedi era invisibile. Essendo sopra i diecimila metri d'altezza, si vedevano solo nuvole.
Pensare che in fondo non eravamo neanche tanto in alto, se stiamo a vedere che esistono galassie di cui non si sa ancora niente, ancora più in alto di noi.

Alzai la testa, osservando quella che era la parte superiore del Jet. Eravamo invisibili da fuori e ai radar, ma l'interno, apparte il pavimento, era tutto uguale.

Mi avvicinai ai comandi, sistemando le mani sui sedili in pelle, uno alla mia destra e l'altro alla mia sinistra. Erano rovinati, abbastanza da sapere che li si erano seduti parecchie volte, per troppe missioni forse.

Restai li, a guardare fuori. Le nuvole si polverizzavano delicatamente ogni volta che il muso del Quinjet si avvicinava. Sembrava quasi che volessero giocare. Sparivano prima che riuscissimo a toccarle.

Il sole era alto, e ancora più caldo.

Notai che ci stavamo abbassando di qualche piede. Presi il telefono dalla tasca dei miei pantaloncini di jeans e guardai l'ora: 7.10 PM

L'orario era cambiato: undici ore di fuso orario di differenza.

Ci abbassammo sotto le nuvole e il sole sparì completamente, lasciando spazio a qualche nuvola grigia e ad un cielo più scuro, che andava all'imbrunire.

Ma dove diavolo siamo?

Scossi la testa. Trascinai il dito sullo schermo del telefono per sbloccarlo e guardai la foto di sfondo.

Mi venne in mente quella sera, alla festa di Tony. Ero già un po' brilla e Steve mi teneva una mano sulla schiena nuda e l'altra era stretta nella mia mentre danzavamo in mezzo alla pista. Nat ne aveva approfittato per farci questa splendida foto che non avevo esitato a mettere come immagine di sfondo.

Non c'era campo, perfetto.

Ma anche se avessi voluto scrivergli un messaggio non avrei potuto. Chiunque ci avrebbe rintracciato e Strange mi avrebbe ucciso.

Chiusi gli occhi bloccando il telefono e rimettendolo in tasca.

"Mi dispiace avervi interrotti prima"

Till the end •Steve Rogers•Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora