chapter one

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PREMESSA IMPORTANTISSIMA:
Ciao a tutti! Questo piccolo spazio è per presentarvi un attimo la storia che state per leggere.
Arthur é semplicemente il frutto delle scelte che farete nel corso della lettura della storia; infatti, alla fine di ogni capitolo, troverete una domanda, che porrà avanti a voi due scelte. Voi dovrete scegliere per come vi sembra maggiormente opportuno, e la storia continuerà seguendo il vostro volere.
dovete selezionare il capitolo scelto dall'elenco, non dovete leggere tutto!!
Buona lettura!!

Bologna, 19 dicembre 2019, ore 18:56
Stavo seduto nella sedia al tavolo, sotto al portico di casa mia. A pochi metri da me, oltre la protezione che mi offriva il tetto, c'era una pioggia che sembrava non voler cessare: era fortissima e costante da un paio d'ore.
Feci un tiro dalla mia canna, che reggevo abilmente tra le dita, intravedendo il mio tatuaggio nel lato del dito medio: C₂₁H₃₀O₂. Era la formula chimica del THC; me la tatuai all'età di sedici anni, insieme al mio migliore amico di una vita, Andrew. Se lo fece nel mio stesso punto; gli volevo bene infondo.
Continuai a fumare, avevo lo sguardo perso tra le infinite gocce di pioggia.
Quel giorno, per colpa della pioggia, non uscii con gli unici tre amici che avevo, quindi restai a casa a non fare un cazzo.
Forse avrei dovuto studiare, entro pochi mesi mi sarebbe toccato affrontare l'esame di Stato. Il, da tutti, temuto esame di fine anno, quello che classifica la tua persona con un numero.
Avrei anche dovuto trovarmi un lavoro, e Dio, era l'ultima cosa che avessi voglia di fare. Ero perennemente stanco, e il concetto di lavorare proprio non mi andava giù.

Continuai a fumare, cercando di concentrarmi sull'ottimo sapore della mia ganja, che era sicuramente meglio di ciò che mi stava attorno.
Feci l'ultimo tiro, poggiando il mozzicone nel posacenere; pochi attimi dopo arrivò mia sorella, che mi guardò con i suoi occhioni verdi.
-Arthur, dobbiamo cucinare. Mamma e papà arriveranno tra venti minuti- esclamò restando in piedi dinnanzi a me.
Annuii, poi mi alzai in piedi.
-Tu intanto vai con Kayla in cucina, e prepara la tavola, io arrivo tra un attimo- le dissi io.
Mi rivolse un cenno positivo col capo, poi la vidi sparire dietro la porta d'ingresso, dove entrai alcuni istanti dopo. Tossii un po', coprendomi la bocca con il braccio; era da un po' che avevo quella tosse, e sembrava peggiorare.
Mi recai al bagno, per lavarmi le mani, e mi guardai allo specchio: i miei capelli neri tagliati alla moicana erano disordinati, ed andavano assolutamente aggiustati. I miei occhi castani erano arrossati e circondati da profonde occhiaie; dormivo veramente poco, nonostante fosse l'unica cosa che avrei voluto fare.
Presi l'asciugamano e me lo passai nelle mani, poi uscii, dirigendomi in cucina per aiutare le mie sorelle a cucinare.
Appena entrato, vidi Xenia sistemare i bicchieri e Kayla le posate.
-Arthur, che cuciniamo?- mi domandò l'ultima.
-Che hai voglia di mangiare?- chiesi io in risposta, sperando di ricavare qualche buona traccia su ciò che avrei potuto fare.
La ragazza guardò per un istante Xenia, poi tornò a guardare me.
-Una pasta?- ammiccò lei speranzosa. Feci spallucce.
A me non importava molto cosa, bastava mangiare.
Quindi incominciai a prepare una pasta, mentre le mie sorelle si offrirono di fare un sugo; naturalmente le lasciai fare, ed andai a sdraiarmi nel divano, in soggiorno.
Accesi la TV e lasciai il programma in riproduzione, The Bing Bag Theory, e non mi muovei più; ero comodamente sistemato con un braccio sotto ad uno dei cuscini, il capo poggiato su di esso e una coperta sulle gambe.
Non capivo le battute che facevano alla tv, ma sentire le risate robotiche in sottofondo rendeva il tutto esilarante, oltre che a molto ansiogeno. Quelle risate così frequenti, false ed esagerate mi trasmettevano una sensazione di ansia, così provai a concentrarmi per capire cosa stesse succedendo nel programma: dopotutto mi divertiva quella trasmissione.
Iniziai a sentire il profumo di un buon sugo al pomodoro: le mie sorelle, nonostante avessero solo dieci anni, erano delle maghe ai fornelli, mi stupivano ogni volta.
Il rumore delle chiavi tintinnare fuori dalla porta, mi avvisava che i miei genitori stavano entrando.
Non mi mossi in ogni caso, non mi andava semplicemente.
-Siamo in casa!- urlacchiò mia madre, togliendosi il cappotto, per poi appenderlo nel porta abiti.
Mio padre entrò poco dopo, stava parlando al telefono.
-No, I just got home with my wife.. I think I'll send those photos tomorrow, I don't have time tonight, dad!- disse lui, con tono piuttosto irritato.
Stava parlando con mio nonno, suo padre, che era in Inghilterra. Mi domandai di che foto stesse parlando, poi arrivai alla conclusione che non mi interessava, in realtà.
La sua chiamata durò altri pochi secondi, poi chiuse e si tolse il cappotto; aveva in viso un sorriso visibilmente forzato, e poi mi rivolse uno sguardo, senza cambiare espressione.
Mi faceva innervosire quel suo sorriso falso, quel suo atteggiamento, come se pensasse che fossi un po' rincoglionito. Mia madre aveva aspettato l'uomo appena prima della porta della cucina, quindi quando furono nuovamente vicini, si diressero subito verso la cucina, sedendosi a tavola, rispettivamente ai due estremi.
-Arthur, dai, vieni con noi!- mi invitò mia madre, usando un tono pressoché gentile.
Sbuffai e mi diressi verso di loro, senza spegnere la tv: se nessuno avesse detto nulla, perlomeno non poteva esserci quel silenzio imbarazzante che tanto odiavo.
Appena misi piede in cucina, il mio sguardo fu diretto verso la finestra: stranamente aveva smesso di piovere, nonostante pochi minuti prima non sembrava non voler proprio cessare.
-Siediti pure, è pronto- disse con un tono dolce Kayla, indicandomi con un cenno del capo il mio solito posto a tavola. Annuii e mi diressi verso il mio piatto.
Avevo sedute davanti a me le mie due sorelline gemelle, ed ai lati i miei. Ero solo, nel mio lato.
Presi la forchetta e la impugnai saldamente, per poi dedicarmi al cibo che si trovava nel mio piatto: una pasta alla amatriciana. Ero affamato, quindi iniziai a mangiare, con le mie tempistiche abbastanza discutibili.
-Allora, come è andata la giornata?- chiese mio padre, in generale, senza specificare il destinatario della domanda.
-Bene, oggi la maestra ha detto che ho scritto il miglior tema della classe!- esclamò emozionata Xenia, addentando poi un pezzo di pane.
-Bravissima! Tu invece Kayla?- continuò l'uomo, guardandole.
-Normale- disse solo.
Lei, tra le due, era quella che mi somigliava di più caratterialmente, anche se non tantissimo. Qualche somiglianza però la notavo, come per esempio dei bruschi cali di umore, in cui sembrava essere apatica.
Ci furono alcuni minuti in cui nessuno parlò e si sentiva il rumore della televisione, ed io ne approfittai per mangiare senza interruzioni.
-Arthur, tu? Com'è andata?- continuò mio padre.
Lo guardai dritto negli occhi, pulendomi l'angolo delle labbra con il tovagliolo.
-La prof. di storia mi ha istigato, e c'ho litigato per metà- risposi, rimanendo sul vago.
-In che senso?- chiese confusa mia madre, che fino a quel momento non aveva aperto bocca.
-Mi tirava frecciatine sul mio orientamento sessuale ricollegandolo a fatti storici non molto carini, ed io mi ero incazzato, giustamente- esortai scocciato.
-Le parole, Arthur. Comunque dai, non puoi pensare di avere ragione con una prof, lascia perdere- sentenziò lei, inarcando un sopracciglio, usando un tono piuttosto duro.
Mollai la forchetta improvvisamente, alzandomi nel frattempo.
-Non capisci un cazzo- mormorai, andandomene.
Ero nervoso, avevo bisogno di distrarmi.

Cosa farà Arthur?

Scelta A
andare in camera

Scelta B
uscire con Andrew

𝐀𝐫𝐭𝐡𝐮𝐫.Waar verhalen tot leven komen. Ontdek het nu