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Non avevo voglia di spiegargli cosa fosse successo in quei giorni, ci fu qualche istante di silenzio, ma che, con lui non era imbarazzante.
-Ci conosciamo da tantissimo tempo- cominciò Andrew.
-È vero, saranno 7 anni- risposi io.
-E ti ricordi di come è iniziata la nostra amicizia?- mi domandò accennando una risata.
-Certo, come dimenticarsi?- dissi unendomi a lui.

Era un giorno come gli altri di quell'ottobre della seconda media. Ero seduto al fianco di Luca, un mio amico, e stavo sottolineando il quaderno di scienze, mentre ascoltavo la voce stridula della professoressa che stava spiegando qualcosa riguardante il sistema solare.
-Hai scritto qualcosa di questo?- mi chiese il mio compagno di banco, indicando un punto nel suo quaderno. Prima che potessi sporgermi a leggere, la nostra attenzione venne attirata da una pallina di carta, che fu lanciata addosso al mio amico, da qualcuno dietro di noi. Luca sbuffò, e si girò. Feci lo stesso e c'era Jacopo che rideva con il suo amichetto, in banco con lui. Ci rigirammo e notai che c'era rivolto verso di noi il ragazzo che sedeva davanti: era Andrew.
-, lascia perdere quella testa di cazzo- gli disse l'altro. Lo guardai sottecchi, ed i suoi occhi castani avevano un'aria scazzata. Aveva le gote leggermente arrossate; ed era un rossore carino, dato che risaltava sulla sua pelle mulatta.
-Si guarda, frega un cazzo- rispose il mio vicino di banco, sorridendo ad Andrew, che si passò una mano tra i capelli riccissimi.
-Da fastidio pure a me, ma cerco di non darci peso- mi aggiunsi, nonostante la mia timidezza e ricevei l'attenzione del riccio, che mi sorrise.
-Girati e guarda che faccia da culo che ha- rise lui, facendomi un cenno dietro di me. Sorrisi e guardai Jacopo, che si era incantato con le labbra socchiuse a guardare la lavagna. Trattenni una risata, quindi tornai a guardare Andrew, ridendo.
-Parecchio- dissi, continuando a ridere.
-Quanto mi sta sul cazzo- commentò Luca, sbuffando.
-Concordo- mi aggiunsi.
Da quel momento, io ed Andrew iniziammo a parlare tantissimo ed a uscire quasi ogni giorno. Mi piaceva tanto stare in sua compagnia, ed era per quello che era diventato il mio migliore amico.

-Che tempi passati- disse lui, accendendosi una sigaretta. Sorrisi e lo guardai fumare, poi mi fu passata la sigaretta, che accolsi ben più che volentieri, facendone alcuni tiri. Gliela ripassai, poggiando il piede nulla panchina e stingendo il ginocchio tra le mie braccia. Ero davvero magro e riuscivo a farlo tranquillamente.
Passammo insieme un altro paio di ore, tra chiacchiere e qualche sigaretta, ma niente di più. Poi decisi di tornare a casa, e così feci; ripercorrei la strada ed aprii il cancello di casa mia e poi la porta principale, andando diretto in camera. Salutai a malapena i miei genitori, che mi rivolsero un saluto debole e privo di entusiasmo. Mi chiusi in camera e mi sdraiai nel letto, poi collegai il mio telefono alla cassa Bluetooth, fecendo partire la mia playlist tekno preferita: quella con le canzoni raggatek.
Mi accesi una sigaretta per pura noia ed aprii, per abitudine, il cassetto con la ganja, che estraei; infilai la sigaretta tra le labbra e aprii la busta, poi mi fermai.
Sentivo l'inebriante odore dell'erba uscire dalla plastica, ed il bel colore verde mi attraeva da morire, ma lo richiusi, tenendolo però tra le mani. Fumai la mia sigaretta, senza mai distogliere lo sguardo da ciò che tenevo nella mano sinistra. Avevo una gran tentazione di aprire la busta e fumare, ma cercai di non farlo, per Felisja e per me, per il mio bene.
Misi via la busta, spegnendo la sigaretta nel posacenere, poi tolsi i vestiti in più, restando solo in maglietta e boxer, poi mi infilai sotto le coperte, spensi la musica e misi a caricare il telefono. Mi addormentai in pochi minuti, con la mente sgombra da ogni pensiero.

Mercoledì 25 dicembre 2019, ore 10:16
Era Natale, ed io, in quel tempo trascorso, non avevo fatto niente di emozionante, se non aver comprato un regalo per le mie sorelle, ovvero un grembiule a testa e dei gua siti per dolci: amavano cucinare, e ciò che avevano erano di nostra mamma, ed erano vecchi e bucati. Guardai l'ora: le 10:17. Mi alzai in piedi ed aprii il cassetto della scrivania, estraendone due pacchetti già ben imballati. Infilai sotto il nastrino colorato un foglietto, in uno con su scritto "Xenia" e nell'altro "Kayla", poi infilai i pacchetti in una borsetta che appoggiai sul letto. Mi vestii, cercando di non indossare vestiti troppo larghi, per restare comunque elegante, quindi non indossai i miei pantaloni preferiti.
Aspettai che fosse mezzogiorno e un quarto poi, con la borsetta in mano, scesi le scale, trovando i miei genitori seduti nel divano in salotto.
-Ciao- salutai, andando verso la porta.
-Ciao.. beh, partiamo tra una decina di minuti, quando le tue sorelle scendono- disse mia madre, guardando prima me, poi le scale, aspettandosi probabilmente di vedere le due ragazzine scendere.
Annuii ed uscii nel portico, dove mi sedei e mi accesi una sigaretta, aspirando il fumo a pieni polmoni.
Avvicinai a me il posacenere, posto solitamente al centro del tavolo, e lo portai nel bordo cosicché potessi fumare senza faticare.
Avevo lasciato la porta di casa socchiusa e riuscii a sentire i discorsi dei miei genitori, che probabilmente mi stavano guardando dalla finestra, posta alle mie spalle.
-Quando smetterà secondo te?- chiese mio padre, con voce triste.
-Non credo che lo farà- commentò la donna, sospirando.
Non parlarono più, quindi finii velocemente la mia sigaretta avvolto dal silenzio.
Ero consapevole de loro malessere e disagio, e ci avevo anche provato a migliorarmi, ma loro sembrava si fossero fatti la loro idea su di me, ed ormai era pressoché impossibile che la cambiassero. Era anche per quello che ero visto così tanto male quando passavo del tempo con Xenia e Kayla, proprio perché avevano il timore che le influenzassi male, che imcoraggiassi loro a diventare come me. Eppure era esattamente l'opposto di ciò che facevo, essendo che mi odiavo e faticavo a sopportarmi; mi ero rovinato, e non volevo quello per le mie donne preferite.
Misi il mozzicone della sigaretta nel posacenere, lasciando che si confondesse tra gli altri, poi guardai un po' il telefono senza uno scopo ben preciso.
Aprii Instagram e trovai nella home un post di MadMan; misi like, ed attivai il volume, guardando il video che aveva caricato: era lui che cantava in live. La cosa che mi piaceva di MadMan era la sua voce, che mi faceva impazzire, mi rilassava. Era da parecchio che non lo ascoltavo, ed un po' mi mancavano le sue parole nelle mie cuffie.
Sentii le mie sorelle scendere, e ciò lo avevo capito dalle loro urla. Passarono alcuni secondi, poi i miei uscirono assieme alle due, che mi salutarono in modo animato ed allegro, quindi mi alzai in piedi.
-Buon Natale Arthur!- esclamò Xenia, abbracciandomi la vita. Passai la mano tra i suoi capelli, sorridendo.
-Grazie, anche a voi- ricambiai, guardandola mentre si scioglieva dall'abbraccio.
Ci dirigemmo verso l'auto e ci salimmo; io naturalmente dietro, con le mie sorelline al mio fianco. Partimmo, e dopo una decina di minuti di viaggio, arrivammo a casa dei miei nonni, dove avremmo festeggiato.
Scesi dal veicolo, ed osservai la casa in cui stavamo per entrare, lasciando che i ricordi dominassero in me, portando tristezza e rabbia nel mio umore, che non era tra i migliori.
Entrarono prima i miei, poi Xenia e Kayla, quindi io, per ultimo; mi chiusi la porta alle spalle, e sentii io calore avvolgermi, provocandomi un brivido di piacere. Mi tolsi il giaccone e lo appesi nell'appendino accanto alla porta, quindi mi diressi verso il soggiorno, dove trovai gran parte della mia famiglia seduta sui divani; andai verso l'albero e poggiai tra i regali la borsetta per le mie sorelle, fermandomi poi a guardare le foto poggiate sul mobile subito alla mia destra.
Erano foto di Xenia e Kayla da piccole e di ora, foto di Emanuele da piccolo e del giorno del suo diploma. C'erano solo due foto mie, piccoline ed abbastanza vecchie: in una ero davanti ad una torta di compleanno con sopra tre candeline, ed accanto a me c'era mia mamma che in viso aveva un sorriso smagliante ed uno sguardo orgoglioso. Erano anni che non vedevo quel sorriso rivolto a me, e tantomeno quello sguardo.
Nell'altra fotografia stavo facendo la mia prima comunione; ero un bambino così dolce, timido e impacciato, e non mi sarei mai immaginato un futuro come quello che stavo vivendo, ed il tipo di persona che ero, era lo stereotipo di ragazzo che dicevo avrei evitato. Comparve un sorriso sul mio volto a quel pensiero, era assurdo come le cose potessero cambiare. Restai ancora alcuni minuti a scrutare le fotografie, poi la voce di mia nonna richiamò la mia attenzione.
-È pronto!-
Mi girai e, preceduto dalla mia famiglia, mi diressi verso la sala da pranzo, che era decorata ben bene a tema natalizio e la tavola era ben imbandita di piccoli antipasti.
Andai a sedermi al mio solito posto, e non potei nemmeno vedere chi mi sedette davanti, dato il grandissimo centrotavola floreale scelto da mia nonna. Era suo solito esagerare, in ogni cosa, e ciò rispecchiava la sua personalità, che era egocentrica in tutte le situazioni.
Fu servita la prima portata che, da buon bolognese, consisteva in fettuccine al ragù, naturalmente fatto in casa. Quando mi fu messo davanti il mio piatto, mi sentivo quasi sazio solo guardandolo: era colmo di pasta, strasbordava ai lati, e sicuramente non l'avrei mai finita.
Iniziai lentamente a mangiare, godendomi a pieno il gusto dell'ottimo condimento, e così fecero tutti, permettendo così al silenzio di dominare supremo.
-Arthur, tutto bene?-
Fu la voce stridula di mia zia a fare
sì che la mia attenzione fosse tolta dal cibo ed indirizzata verso di lei.
-Sì si, grazie- risposi io con tono stanco, cercando però di non darlo a vedere; quello non era esattamente il posto in cui desideravo essere, ed avevo un sonno devastante.
-È sempre così.. non gli importa mai di niente e di nessuno- commentò mio nonno, riferendosi a me. Aveva una voce strafottente, ed il suo sguardo mi invitava ad una sfida. Lo guardai male, ma non risposi: non volevo esagerare, dato che per lui avrei sbagliato in ogni caso, qualsiasi cosa avessi fatto. Tornai a guardare il mio cibo, capendo che sarebbe stato meglio non fare assolutamente nulla.
-Hai perso la voce per caso?- mi continuò ad istigare mio nonno, con il suo tono da strafottente del cazzo.
Lo guardai nuovamente.
-No- risposi secco.
Non capivo perché mi volesse sempre istigare così tanto. Non riusciva mai a tenersi nulla per sé, doveva sempre parlare e commentare qualsiasi cosa accadesse attorno a lui.
Quando ero piccolo, e passavo i pomeriggi dai miei nonni per via degli impegni lavorativi dei miei genitori, uscivo da quella casa sempre con le lacrime agli occhi a causa di mio nonno: mi trattava sempre male, a volte era arrivato alle mani, per stronzate. Mia nonna non faceva nulla, non era abbastanza forte per intervenire e farlo smettere, quindi guardava in silenzio, senza fare con parola nemmeno ai miei, che erano all'oscuro di tutto, ed ancora lo sono.
Lo sentii borbottare qualcosa, ma nemmeno mi importava cosa avesse detto, tanto sapevo già che era qualcosa di negativo.
-Perchè alzi gli occhi al cielo?- continuò l'uomo, non stanco della discussione.
Non mi ero nemmeno accorto di aver fatto quel gesto.
Senza dire nulla, spostai la sedia indietro, mi alzai e mi dirigei verso la mia giacca, che indossai. Poi aprii la porta, andando nella panca sotto lo stretto portico della loro casa.
Faceva davvero freddo, lì fuori, quindi mi strinsi nella mia giacca, estraendo dalla tasca una sigaretta che mi accesi subito, facendone un tiro.
Mio nonno era riuscito a rovinare anche il Natale, incredibile come quell'uomo riuscisse a farmi passare giornate così tanto di merda.
Continuai a fumare, mentre riflettevo sul da farsi: tornare a casa o restare a questo pranzo di merda?

Cosa farà Arthur?

Scelta F¹
andare a casa

Scelta G¹
restare al pranzo






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