choice U

10 2 0
                                    

Decisi che mi sarei subito altri giudizi, altre critiche, ma non volevo deludere le mie sorelle.
Mi misi a sedere sentendo la testa girare, ma non ci feci caso, alzandomi successivamente in piedi.
Presi un asciugamano ed un cambio, poi mi diressi in bagno, dove mi feci una bella doccia calda. Facevo fatica a reggermi in piedi senza barcollare, i buchi e le ferite nell'avambraccio bruciavano da morire; ci misi tutto me stesso per ignorare tutti i malori, volevo sembrare il più lucido possibile.
Uscii dalla doccia e mi avvolsi nell'asciugamano e mi vestii, indossando una maglietta bianca a maniche corte, seguita da una felpa di colore rosso acceso che era di taglia tripla XL, lasciata aperta. Come pantalone ne indossai uno piuttosto largo e di colorito scuro; lo portavo da diversi anni.
Passai una mano tra i capelli ancora umidi, cercando di sistemarli per quanto fosse possibile, anche se andavano sul serio aggiustati.
Aprii la porta ed uscii dal bagno, scontrandomi con mia mamma, che era probabilmente diretta verso camera mia. Mi guardò per un istante, poi fece un respiro.
-Alla fine vieni anche tu stasera?- mi chiese, avvicinandosi appena.
-Sì, a che ora andiamo?- domandai in risposta. Inarcò un sopracciglio, forse era sorpresa.
-Alle sette vieni giù e partiamo- disse lei, squadrandomi. Annuii, e con aria disinvolta andai in camera mia, chiudendomici dentro.
Mi sedei nel letto e presi tra le mani il mio pacchetto di Winston Blu 100s, estraendone una sigaretta, che mi accesi subito dopo.
Guardai l'ora dal telefono, ed erano le sei e venti, quindi mi sdraiai, facendo successivamente un tiro dalla mia sigaretta. Ficcai il pacchetto nella tasca, assieme all'accendino.
Ero piuttosto rilassato, e ciò era anche dovuto dal residuo dell'eroina, oltre che dal calore che mi aveva trasmesso la doccia fatta poco prima.
Passai il tempo a fumare qualche sigaretta e ad ascoltare un po' di musica, poi quando furono le sette, spensi tutto ed indossai le mie d3 nere e rosse; si abbinavano rispettivamente ai pantaloni ed alla felpa, ed erano quasi nuove, dato che non le indossavo quasi mai. Le amavo quelle scarpe, e le mettevo solo per occasioni importanti.
Scesi le scale, trovando la mia famiglia seduta nei divani: stavano ridendo e scherzando tra loro. Xenia e Kayla si alzarono, mostrando così il loro meraviglioso vestito: erano entrambi bianchi e smanicati, arrivavano al ginocchio ed avevano un cinturino nero in finta pelle in vita.
-Siete bellissime- dissi loro con un sorriso, avvicinandomici.
Guardai i miei genitori, che mi stavano tenendo bene sott'occhio: erano sempre contro di me, qualsiasi cosa facessi, qualsiasi scelta prendessi, era sempre sbagliata a parere loro. Dopo tutto ciò che avevano passato per colpa dell'erba e dei rave a cui partecipavo, avevano paura che facessi del male alle mie sorelle, ma non mi hanno mai detto nulla in quanto fratello. Ho sempre cercato di dare il meglio di me per non far commettere a loro i miei stessi errori, cosicché da fare avere loro una figura che io non avevo.
Ci avviammo verso l'automobile, dopo aver chiuso la casa e spento tutte le luci, poi entrammo; mi sedei nel sedile posteriore, vicino al finestrino ed alla mia destra avevo Xenia, che stava parlottando con la sorella. Il motore fu acceso ed in pochi secondi partimmo.
In una mezz'oretta fummo al parcheggio del ristorante; non avevo aperto bocca per tutta la durata del tragitto e non avevo nemmeno ascoltato le loro conversazioni. Avevo in testa solamente quante ore sarebbero trascorse prima di potermi fare un'altra dose.
Scesi per ultimo dall'auto e vidi i miei zii con i miei cugini, tra cui Emanuele; c'erano anche i miei nonni materni, dato che quelli paterni erano in Inghilterra.
-Ciao, ciao- iniziò mio zio, abbracciando mio padre, battendogli le mani sulla schiena: si stavano simpatici a vicenda.
Salutai i presenti, un po' alla volta, ed avevo una voce debole; sentivo la testa girare. Entrammo nel punto di ristoro, e fui avvolto subito da un'ondata di calore molto piacevole. C'era una zona bar e subito dopo quella ristorante, ma ci accomodammo momentaneamente al bancone, dove ci furono portati dei drink; io avevo chiesto uno spritz Aperol, mentre gli altri ordinarono vino o altre bevande alcoliche. Sgranocchiai qualche patatina, mentre le altre le diedi alle mie sorelline, che mangiarono volentieri.
Dopo una ventina di minuti, che passai a guardare il vuoto, ci dirigemmo nell'area ristorante, dove ci era stato riservato un grande tavolo. Mi sedei alla sinistra di Xenia, mentre alla mia di sinistra non c'era nessuno; si erano tutti messi in altri posti, lasciando quello a capotavola vicino a me vuoto.
Furono portati gli antipasti, che non ricordavo nemmeno di aver ordinato, e mangiai veramente poco di ciò che avevo davanti. Lo feci solo per non dare dispiacere alle due bambine, che ci tenevano tantissimo; io stavo iniziando a tenere sempre meno a tutto.
Passarono una ventina di minuti tra l'antipasto ed il primo; avevo ordinato un risotto al tartufo, dato che era uno dei pochi cibi che amavo mangiare. Iniziai a gustarmelo con gusto prima che si freddasse, poi gettai uno sguardo ad Emanuele, davanti a me, che stava parlando con mio nonno Mario e mio zio Riccardo.
In quel locale faceva davvero caldo, ed io stavo iniziando a sentire un dolore, fortunatamente sopportabile, allo stomaco. Avevo prurito, ma non lo diedi a vedere.
Odiavo stare lì, ma sfortunatamente sarei dovuto rimanere troppo a lungo per i miei gusti. Non sopportavo nessuno dei presenti, tranne naturalmente Xenia e Kayla.
Allungai il braccio per prendere l'acqua, e l'attenzione di Xenia cadde su di me, più particolarmente sul mio braccio.
-Che hai lì, sul braccio?- urleggiò, con tono preoccupato. Lo guardai ed era scoperto; non mi ero nemmeno accorto di aver alzato le maniche dal caldo, ed in quel momento i miei buchi e le mie ferite erano esposte alla mia famiglia.
Non feci in tempo ad abbassarle che avevo lo sguardo di tutti puntato sul braccio. Mia madre mi stava guardando con occhi davvero tristi, e lo stesso stava facendo mio padre.
Nessuno stava parlando, almeno a voce, ma capivo ciò che volevano dirmi con lo sguardo: i miei genitori erano delusi, e non avevo mai visto nei suoi occhi tanta delusione come in quel momento.
Mi alzai, dirigendomi verso il cortile del ristorante e mi accesi una sigaretta.
Stavo male, ed avevo appena rovinato un altro bel momento di famiglia, bello per loro almeno.
Dovevo assolutamente smettere, ma era troppo difficile.

FINE

𝐀𝐫𝐭𝐡𝐮𝐫.Where stories live. Discover now