Capitolo tredici.

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13 maggio 2019
📍 New York City

<<Em! Vieni dai, guarda com'è bello questo quadro.>> mi richiama la mia amica Emily.
Guardo per un attimo ancora la stanza delle luci e vado verso Emily, che era nella stanza accanto.
C'erano almeno mille quadri appesi, ed io di arte non capivo niente.
<<Bello, wow.>> le sorrido e ad un certo punto vedo un ragazzo con una maglia della Ferrari con scritto Charles Leclerc.
Immediatamente gli occhi si riempiono di lacrime.
Questo voleva solo dire una cosa:
c'è l'aveva fatta!
Era riuscito a farsi conoscere nella formula uno.
È riuscito a portare a termine la promessa.
Emily nota il mio atteggiamento alquanto strano e mi appoggia una mano sulla spalla.
<<Ti manca?>> mi chiede ed io mi giro verso di lei.
<<se solo fosse stato tutto più facile, se fossimo stati noi e basta, ora di sicuro, proverei amore senza alcun dolore.
Ora, lui, sarebbe stato qui accanto a me, sussurrandomi parole dolci, magari dedicandomi un quadro, o baciandomi davanti a quel quadro di girasoli, tra mille baci ed altrettanti abbracci.
Ora, di certo, io non starei qui a sentire il peso della sua assenza, o a fare i conti con la sua mancanza.
Che domanda stupida che hai fatto Emily.
Certo che mi manca.
Mi manca come ti manca l'aria quando fai apnea.
Ero innamorata di lui, ma ho deciso io di allontanarlo, era meglio così. Troppo dolore.>> ammetto e riguardo il quadro.
Lei, senza dire niente, appoggia la sua testa sulla mia spalla, e mi stringe il braccio.
In questo caso, era meglio stare in silenzio.
Con un solo gesto, lei mi faceva capire che c'era, e che ci sarebbe sempre stata.

******

Esco dall'appartamento di Emily e corro giù per le scale, apro il portone e lo chiudo dietro di me.
Mi appoggio ad esso e sospiro.
Perché dovevo ridurmi così?
Perché, il ricordo di lui, mi faceva così male?
Anche lontano mille chilometri da Monaco, il mio cuore aumentava di battiti, non appena vedevo il suo nome inciso su una maglietta, su un cappellino, su una sciarpa.
Sospiro di nuovo e mi stacco, finalmente dal portone.
Ho sempre amato le grandi città come New York, passeggiare di notte al Central Park o anche all'alba, mangiare in una tavola calda, mangiare un hot dog da un carrellino ambulante.
New York, è il sogno proibito di tutti.
Mi fermo davanti all'asilo dove fa volontariato Emily e le scrivo un messaggio veloce:

Sono qui fuori, appena finisci scrivimi!

Aspetto venti minuti e poi entro, vedendo che non si fa viva.

<<Oddio, scusa Em! Non ho visto l'orario, ti dispiace se mi aspetti cinque minuti? Devo parlare con i genitori di Lia.>> mi dice non appena entro nella classe, annuisco e mi siedo su una sedia in fondo all'aula.
Si siede accanto a me una bimba con le gambe a penzoloni.
Le sorrido e lei fa lo stesso.
<<Piacere mi chiamo Lia, e tu come ti chiami?>> mi chiede con la mano aperta, pronta per stringere la mia.
<<Emelie>> le stringo la manina e la fa lo stesso con la mia.
<<Non sei americana.>> dice guardandomi negli occhi.
Avevi due grandi occhi azzurri, quasi sul verde acqua.
Come i suoi.
<<No, sono di Londra.>> ammetto e lei si avvicina al mio viso.
<<E perché hai un nome francese?>> mi chiede ed io le scoppio a ridere in faccia.
<<perché mia mamma è francese, e mio papa invece è inglese.>> spiego e lei annuisce.
<<Emelie, tu hai una persona che ti ama?>> mi chiede poi, ad un certo punto.
Io la guardo sorpresa per la domanda e scuoto la testa.
<<Avevo.>> le rispondo
<<E cosa è successo?>> mi chiede curiosa, di nuovo.
Un po' troppo impicciona.
Ma avrà pur sempre cinque anni, non posso di certo dirle di farsi i cazzo suoi.
<<Semplice: non eravamo fatti per stare insieme.>>
Lei annuisce e fa dondolare le gambe.
<<Nessuno è fatto per stare insieme, nemmeno io e Joshua.
Solo che io lo amo, e lui invece gioca tutto il giorno con Teddy. Perché non può giocare con me?>> mi chiede con le labbra serrate.
<<Perché i maschi sono così, giocano con te e poi vedono un giocattolo nuovo e più bello e allora corrono da quello, ma sai quanti Joshua ci sono al mondo? Miliardi. Troverai uno meglio, che preferisce giocare con questo cavallo.>> le indico il cavallo che teneva sul grembo e lei annuisce.
<<Però sai.. mia sorella sta studiando il cuore e ho letto una frase su questo libro che diceva che il cuore era l'organo più importante del nostro organismo.
Perché il cuore ha le dimensioni di un pugno chiuso e una forma simile ad una pera con la punta rivolta verso il basso.
Il cuore è l'organo simbolo dell'amore, segue il ritmo dell'emozioni e normalmente, in una persona adulta il cuore si contrae 60-70 volte al minuto, in una persona innamorata molte di più, a volte si arriva a 100 senza rendersene conto.
Sai, il cuore è l'ultimo ad andarsene, lui continua a battere anche quando viene sottratto all'organismo, anche quando la persona amata ti abbandona, anche quando tu non vuoi più soffrire, non sei più tu che comandi.>> dice tutto d'un fiato e poi sospira.
<<Quando sei innamorato,
Quando il tuo cuore batte forte,
per un'altra persona,
non sei più tu che comandi
ma è lui.>> si alza dalla sedia non appena vede i suoi genitori e corre verso di loro con le braccia aperte.
Loro sorridono e la stringono forte.
Emily mi sorride ed io faccio lo stesso alzandomi dalla sedia.
<<mi dispiace averti fatto aspettare così tanto...>> scuoto la testa mentre lei si rimette la giacca <<vai tranquilla...ma quanto cazzo è intelligente quella bambina?>> chiedo e lei annuisce mentre usciamo dall'asilo.
<<ha tre anni, quasi quattro, è molto probabilmente inizierà l'asilo.>> annuisco e ci incamminiamo verso il bar.
<<Comunque, mi ha aperto gli occhi, quella bimba.>> ammetto non appena mi siedo sulla sedia.
<<in merito a cosa?>> mi chiede mentre sfoglia il menù.
<<A Charles.>>
Lei alza lo sguardo e mi guarda scioccata.
<<In che senso?>>
<<Voglio tornare a Londra. Voglio fagli una chance.>> dico e subito tiro fuori dalla borsa il telefono.
Faccio io numero di Charles ma mi anticipa, chiamandomi prima lui.
Faccio vedere ad Emily e lei mi incita a rispondergli.
<<Pronto?>> dico quei strozzandomi
<<Emilie. Ciao.>>
La sua voce.
<<Vado al sodo, senza giri di parole. Mi manchi e vorrei parlarti. Sono a Londra per alcuni giorni, che ne dici di incontrarci per bere un Tea o qualcosa del genere?>> mi chiede senza prendere fiato.
<<Va bene un Tea.>>
<<Oh, bene. Avevo paura che dicessi di no. Va bene uno di questi?>> mi chiede incerto
<<Io torno verso luglio.>> ammetto
<<Ah, allora ci organizziamo per luglio.>>
<<Certo.>>
<<Ci sentiamo allora, Ciao Lie.>>
<<Ciao.>>
<<Ah, Charles!>> lo richiamo.
<<Si?>>
<<Mi manchi anche a me.>>

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