5. Svolta

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E mentre la squadra quattro aspettava i risultati della scientifica, Lindsay Whallace era intenta a bere uno caffè freddo seduta sul prato del cortile interno della facoltà di arti visive. Il sogno della giovane ventiduenne era quello di diventare una designer, o qualcosa del genere, neanche lei lo sapeva bene.
A cinque anni voleva essere una principessa, come rapunzel, voleva essere salvata dal principe azzurro per poi vivere con lui una vita ordinaria ma felice. Poi all'età di sedici anni chiuse il "piano principessa" nel cassetto più remoto del suo cervello, ed il suo posto venne preso dal servizio militare. La fragile Lindsay aveva assistito all'uccisione dei suoi compagni di classe e di due professori, il colpevole era un ex studente, venuto a "vendicarsi" dopo non aver passato il diploma.
I venti studenti che aveva ucciso, crivellandoli di colpi però neanche c'erano quando lui frequentava la scuola.
Il caffè nella bocca di Lindsay diventò improvvisamente amaro, fece una faccia buffa di disgusto e posò il grosso bicchiere vicino al suo zaino, stracolmo di libri.
Tornó a leggere in silenzio, la aiutava a non pensare a quelle brutte cose che aveva subito a New York, era contenta di essere fuggita di casa, e grazie al lavoro come cameriera da Starbucks e ai numerosi aiuti della nonna riusciva benissimo a coprire i costi per l'affitto e la retta per l'università. La sua vita era cambiata in meglio, come non si sarebbe mai aspettata.
"Lind, ancora con quel libro?" La voce di Michael le fece perdere il segno, così alzò la testa e riuscì a distinguere un sorriso sul volto del suo ragazzo, era fortunata ad averlo vicino.
Sorrise a sua volta, socchiudendo gli occhi a causa della luce del sole, in California fa troppo caldo per i suoi gusti, ma per adesso va bene così. Michael si sedette vicino a lei, parlarono per un po', ma Lindsay doveva tornare a lezione, per poi andare a lavoro.
Senza dire nulla si avvicinò a Michael, lo baciò con delicatezza e poi si allontanò senza dire nulla, era fatta così Lind, non sapeva esprimersi bene a parole, e non le piaceva salutare il suo ragazzo, si limitava a baciarlo, per lei significava "ti chiamo dopo".

"Allora? Sappiamo come si chiama?" Chiese con insistenza Page, senza mai distogliere lo sguardo da Bennet, ricurvo, intento a leggere alcune descrizioni di ragazze scomparse.
"Il medico legale dice che era morta da circa 12h, probabilmente per asfissia, ha trovato pezzi di una busta di plastica intorno al collo e nella bocca." Interruppe Anne Marie di ritorno da una lunga telefonata.
Nella sala della squadra quattro aleggiava la tensione più assoluta, Jackson aveva la sensazione che se qualcuno avesse acceso un fiammifero lì dentro, tutto sarebbe esploso, era come se ci fosse un gas tossico, una nebbiolina sottile, che ti riempie e ti impedisce di fare il tuo lavoro.
"Gesù" commentò Morrison mentre sfogliava le immagini del corpo che Anne aveva gettato sul tavolo, era provato, quella ragazza era quella con cui se l'era presa di più, su di lei si era accanito particolarmente.
"Scoprire chi è ci potrebbe aiutare.." una cosa troppo ovvia da dire, pensò Paul dopo aver aperto bocca. Page lo fissò immobile, avrebbe voluto saltargli al collo, come faceva quel tizio ad essere il preferito di Marcus? "Ma davvero?" Si limitò a dire sarcastico, sempre meglio le parole della violenza, lo aveva imparato a sue spese.
"Sulle altre scene non hanno trovato pezzi di carta come quello?" Chiese Anne Marie per cercare di alleggerire la tensione che si era creata tra i due colleghi, sapeva cosa aveva in mente Page, ma non sarebbe servito a nulla.
"No." Rispose Dylan senza sollevare lo sguardo, era concentrato anche lui ad esaminare le denunce di scomparsa degli ultimi giorni, in cerca di qualche descrizione che corrispondesse a quella della vittima, ma non trovò nulla di rilevante.
Anne Marie si accorse che nella voce del giovane detective c'era qualcosa che non andava, era arrabbiato, teso più del solito, tuttavia non ci fece caso, quello era il momento di concentrarsi, Anne la psichiatra cedette il posto ad Anne l'investigatrice, e poi tornò a studiare il caso.
"Qui! Ho trovato qualcosa!" Urlò Bennet allo stremo delle forze, lui era quello che da più tempo stava sfogliando quei volantini, li aveva letti uno per uno, e finalmente eccola lì.
La ragazza si chiamava Nia Roberts, vent'anni, frequentava l'università di medicina, e nel suo volantino era menzionata la presenza di un tatuaggio sul dorso che recitava "L.A."
Ad Anne vennero i brividi, nella foto sul foglio era ancora bella, piena di vita, stava sorridendo in mezzo ad un gruppetto di ragazze, forse delle amiche d'infanzia o delle compagne di università. Alla psichiatra tornarono in mente i tempi dei suoi studi, quando ancora non frequentava Jacob, quello che doveva essere l'uomo della sua vita, che poi si era rivelato un mostro. Gli uomini l'avevano sempre delusa, per questo era sempre più determinata ad aiutare nella risoluzione di quel caso, doveva farcela, doveva vedere quell'uomo in manette.
"C'è un numero di telefono, è della madre." Continuò Bennet, l'euforia era sparita, e aveva lasciato spazio alla tristezza ed alla paura.
Avvisare i familiari delle vittime era la parte peggiore del suo lavoro, tutto quello strazio lo perseguitava per giorni.
"Andremo io e Jackson, voi rimanete qui, e cercate altri collegamenti con le altre vittime." Annunciò Page strappando dalle mani del collega la locandina della scomparsa, poi si rivolse a Jackson, che era rimasto immobile a fissare un pezzo di carta.
"Ragazzo!"
Dylan si era distratto a fissare il foglio che annunciava la scomparsa di Caroline, guardò Rick, era in piedi dall'altra parte del tavolo, con la giacca in mano e lo fissava con aria perplessa.
"Ragazzo ma che ti prende?" Page alzò la voce, e Jackson si rese conto che si doveva muovere, si infilò velocemente la giacca, mise nella tasca destra il foglio che aveva in mano e poi si precipitò fuori al seguito di Rick, sotto gli occhi preoccupati dei suoi colleghi, tutti avevano qualche sospetto, qualcosa non andava negli ultimi tempi.
In macchina Jackson venne pervaso di nuovo da quella sensazione di rabbia e delusione, ma fece di tutto per non farlo vedere a Page.
"Abita poco lontano, dobbiamo essere delicati, ha appena perso la figlia, non sarà un bello spettacolo.." Disse Rick piano mentre guidava sotto il sole cocente della California, Dylan non rispose, annuí sperando che il suo collega lo abbia notato.
Dopo venti minuti buoni Page parcheggiò l'auto davanti ad una villetta nel bel mezzo di un bellissimo quartiere residenziale. I due detective iniziarono a camminare sul ciottolato, che portava fino alla porta d'ingresso. La casa all'esterno sembrava nuova, appena riverniciata, il giardino era ordinato, pulito e l'erba era di un verde brillante. Ai piedi della porta d'ingresso nera c'era uno zerbino che recitava "gli amici sono i benvenuti" di cattivo gusto per Dylan, Page non commentò.
Rick suonò il campanello, il cui suono si sentì anche dal pianerottolo, era uno di quei rumori acuti, fastidiosi ed insopportabili.
"Sì?" La porta si aprì, una donna sulla cinquantina dall'aspetto giovanile si affacciò, e iniziò a squadrare i due uomini ma alla vista dei distintivi appesi al collo dei detective le si geló il sangue nelle vene, uscì e si chiuse la porta alle spalle. Donna Roberts era sconvolta, spaventata, era da ieri che uno strano dolore allo stomaco le impediva qualsiasi pensiero, non faceva altro che rivedere la sua piccola Nia, era scomparsa da poco più di cinque giorni, e adesso aveva dei poliziotti davanti.
Iniziò a grattarsi nervosamente la testa, aveva paura, paura di averla persa.
"Signora Roberts? Possiamo entrare?" Il più vecchio dei due le accennò un sorriso, abbozzato e falso, Donna ne aveva la conferma, era successo qualcosa di terribile.

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