7. É lui

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"Ciao Lindsay, il mio nome è Anne Marie Collins, e sono qui per aiutarti."
Primo passo, stabilire un rapporto di amicizia con la persona che si ha davanti, mai partire con il piede sbagliato, Anne aveva già capito che Lindsay era un soggetto delicato, non doveva esagerare, oppure si sarebbe chiusa a riccio, e a quel punto non avrebbe parlato.
"Salve..." rispose timidamente la ragazza, Anne sorrise, e iniziò a farle delle domande base, che cosa faceva nella vita, dove lavorava, chi frequentava, stava cercando di metterla a suo agio, e a quanto pare ci era riuscita.
Lindsay si era sciolta, aveva i gomiti appoggiati sulle gambe, e guardava la psicologa negli occhi, voleva piangere, ma aveva deciso di non farlo, tutto quello le era appena successo aveva riaperto una ferita chiusa da tanto tempo, e non quella della sparatoria. Lindsay Whallace non aveva avuto una bella vita, anzi, secondo lei non aveva mai nemmeno vissuto, si era limitata ad esistere il che è ben diverso, solo in quel momento stava cominciando a respirare, con Michael e con tutte le sue nuove amiche.
"Sa, anche io ho vissuto a New York per un paio di anni, bel posto, troppo caotico." Disse Anne interrompendo i pensieri di Lindsay.
Erano da sole nel salotto, la Collins aveva fatto uscire tutti e questo aveva tranquillizzato la ventiduenne, si sentiva libera di parlare con lei, soprattutto se era una donna, poteva capirla e non giudicarla.
"Non è un bel posto, l'ho sempre odiato." Anne rimase sorpresa dal cambiamento nell'atteggiamento della ragazza, ma ovviamente non lo diede a vedere, finse un'espressione sorpresa, voleva saperne di più, c'era qualcosa che aveva traumatizzato Lindsay, solitamente le vittime mirano ad identificare l'aggressore, ma lei si limitava a piangere, non voleva rivivere un particolare evento. Anne stabilí che aveva già subito un'aggressione, di tipo sessuale, molto violenta e, non era tutto, il colpevole non era mai stato identificato o perlomeno mai processato.
Forse era un minorenne.
"Io sono morta lì, mi hanno cancellato.." Lindsay si fermò, stava per piangere "..avevo quindici anni, venivo spesso presa in giro, non ricordo neanche il perché!" Rise in modo isterico, lo faceva per non piangere.
"Può parlare con me, ma solo se lo vuole davvero, non sono tenuta a sapere cose troppo personali." Anne mentí, era inopportuno, ma le serviva.
"Mi hanno stuprata, tutti quanti, a turno, ero un oggetto, io sono morta lì..."
Anne rabbrividì, aveva capito tutto, dei compagni di classe avevano aggredito Lindsay, e nessuno aveva fatto nulla, così lei dopo la scuola è stata costretta a trasferirsi, brutta storia.
"Michael lo sa?"
"No, e non deve saperlo." Disse subito la ragazza, alzando lo sguardo verso la psicologa.
Aveva gli occhi lucidi, carichi di lacrime.
"Adesso devo chiederti dell'aggressione di oggi, com'è andata?" Continuò Anne con tono calmo dopo aver concesso a Lindsay una breve pausa, era troppo per lei.

"Ci sta mettendo troppo!" Page era diventato impaziente, odiava il lavoro di quella psichiatra, odiava la sua presenza, non era mai stato d'accordo per averla in quel caso.
"Ha i suoi tempi." Rispose Jackson senza staccare gli occhi dalla porta chiusa dell'appartamento, aveva paura, paura che quell'uomo sarebbe tornato indietro, in quel caso ci sarebbero state due vittime.
No, non lo avrebbe permesso.
"Page, cosa succede qui?"
Era la voce inconfondibile di Marcus McKenzie, era affannato, agitato, strano vederlo così.
"Forse un tentato rapimento da parte del nostro uomo."
"Gesù" si passò una mano sulla testa lucida di sudore, forse per il sole, o forse per la possibile corsa che aveva fatto dall'auto al palazzo per raggiungere la scena.
Tutta la squadra era con il fiato sospeso, rischiavano di prendere un buco nell'acqua, ma se la ragazza fosse stata in grado di identificare il sospetto, era fatta.
Passarono altri minuti, ma ancora niente.
Jackson si stava preoccupando, e se non sapesse nulla in realtà? Se non avesse visto nulla?
"È qui, ho l'identikit"
Anne Marie era uscita dall'appartamento sventolando soddisfatta un foglio di carta.
Sopra c'era disegnato qualcosa.
Jackson lo prese, rimase deluso, il viso era piuttosto ordinario, si aspettava qualcosa di più...non sapeva esattamente cosa si aspettasse.
L'uomo disegnato aveva un viso fino, niente barba, la sua bocca era sottile mentre il naso era a punta, a Dylan ricordò un attore che aveva visto in una serie su Batman, gli occhi erano piccoli e sormontati da due folte sopracciglia. I capelli invece erano neri e lunghi, almeno fino alle spalle.
"Età?" Chiese Marcus impaziente, mentre osservava per bene il foglio che Jackson gli aveva passato.
"Tra i quaranta e i cinquanta"
In effetti il viso non sembrava giovanile, era cosparso di rughe.
"Un porco bastardo." Aggiunse Page, si mise le mani sui fianchi, si sentiva in trappola.
Tutto quel tempo per un identikit era troppo, ma almeno avevano qualcosa in mano.
Ma Page non ci stava, doveva prenderlo, rischiava di uccidere altre persone e lui poteva perdere il lavoro.
Anne Marie diede il via libera al povero Michael che era stato torchiato da quei poliziotti, aveva una faccia sconvolta, e quando vide la Collins uscire corse dentro come un razzo.
"Setacciate le strade, fate vedere a tutte le pattuglie la faccia di questo figlio di puttana!" Aggiunse McKenzie, e alle sue parole tutti gli agenti davanti al pianerottolo dell'appartamento 17 si dileguarono.
Jackson fece cenno a Page, avevano qualcosa da fare, forse esaminare le prove, e Anne cosa avrebbe fatto? Nessuno l'aveva calcolata o le aveva detto "grazie", non le importava certo, ma dopotutto loro avevano richiesto la sua presenza.
Era rimasta da sola con il grande capo Marcus McKenzie, Anne Marie notò come la guardava, come tutti gli altri.
"Lei non segue la sua squadra?"
"Certo signore." La donna si sentì improvvisamente una poliziotta, Marcus sorrise mentre lei scendeva lentamente le scale.
Anne aveva riconosciuto anche qualcos'altro nello sguardo del capo, aveva paura, fretta di catturare quel mostro.
Nessuno pensava ad altro da sei lunghissimi mesi, e adesso grazie a Lindsay avevano un identikit, era tornata la speranza.
Anne si era rinchiusa nella sua auto da corsa, era il sogno di suo fratello, lei gliel'aveva comprata, poi lui era morto e le era tornata indietro. Era come un tesoro quella macchina.
Anne Marie non smetteva di chiedersi che cosa fosse andato storto durante l'attacco del predatore, forse Lindsay si era ribellata, o forse Michael stava rientrando.
Non capiva perché un assassino così prudente e meticoloso non avesse tenuto conto di un ostacolo, di un contrattempo, di un qualche tipo di problema, era strano.

Jackson e Page montarono di nuovo sull'auto, diretti da Paul e Bennet per esaminare le foto e i video della scena, e naturalmente le prove.
"La Collins?" Chiese Dylan senza distogliere lo sguardo dalla strada, lui aveva questa abitudine, anche se non guidava rimaneva sempre all'erta.
"Ci starà seguendo."
"Dovresti darle un minimo di considerazione" aggiunse Jackson secco, era grazie al suo lavoro che avevano un sospetto.
"Lei non dovrebbe essere qui."
Nell'abitacolo tornó il silenzio più totale, Page continuava a guidare, irritato dalle parole di Jackson, mentre il ragazzo scrutava l'orizzonte.

A CRIME SCENEWhere stories live. Discover now