Capitolo 30: Lisette

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Arrivai alla Barriera di notte. Ero tormentata, la voce di Jon continuava a pulsarmi nella mente, i sospetti che lui e Bran nutrivano nei miei confronti mi ferivano e mi turbavano parecchio.

E se avessero ragione?, mi ritrovai a pensare. Non potevo accettare questa verità, anche perché sapevo molto bene che non era così. Ero una persona per bene, con il pieno controllo sulla mia mente. Ed ero sicura che qualcuno avrebbe saputo darmi una spiegazione più che plausibile anche per il colore dei miei occhi. Ma non potevo fare a meno di dubitare.

Fu Tormund ad accogliermi. «Che ci fai qui?» domandò, abbracciandomi. Mi baciò entrambe le guance, alla maniera della gente del sud e mi scortò dentro, legando il cavallo alla sbarra.

«A Grande Inverno non ero gradita,» spiegai brevemente. «E a voi serve aiuto.»

«Potrei abituarmi a vederti in giro,» arrivò anche Eddison, che mi strinse la mano. «L'ultima volta che ci siamo visti abbiamo litigato. Mi dispiace: era una situazione critica per tutti.»

«Nessun rancore, Tollett. Ma non mentirmi, sai che lo capisco.»

«Ma a me dispiace davvero.»

«Non così tanto come vorresti farmi credere.»

«Devi essere sempre così fastidiosamente saccente?» scoppiò a ridere.

«Solo quando mi fa piacere. Ovvero sempre,» aggiunsi in un sussurro.

«Vieni, ti preparo una stanza.»

«È possibile farsi un bagno in questo posto? Puzzo da fare schifo.»

«Certo, aspetta un momento.»

Entrò in bagno per scaldare l'acqua. «Servizio completo, per i vostri ospiti,» commentai.

«Solo per i migliori.»

«Attento coi complimenti. Non sono abituata, potrei commuovermi.»

Feci finta di asciugarmi una lacrima, mentre slacciavo il mantello. Ridendo, il Guardiano uscì.

Andai a lavarmi, e rimasi immersa nell'acqua tiepida finché le erbe e i sali da bagno smisero di profumare. Le mie dita erano raggrinzite e il sonno pesava sulle mie palpebre.

Ma avevo un problema ancora più grande: stavo morendo di fame.

Stavo per andare nel refettorio a trafugare qualcosa, quando le porte si aprirono. Lì per lì non feci troppo caso a chi entrava, poi mi voltai: Ser Davos era in testa, Jon veniva poco dopo. Un altro ragazzo gli stava a fianco, mentre per ultimo... Ser Jorah.

Il mio cuore perse un battito.

Corsi giù, ridendo, e l'uomo mi raccolse di slancio, facendomi girare. «Sei duro a morire, eh vecchio?» scherzai.

«Dovevo vedere come stavi, bambina mia. Non avrei sopportato la notizia di saperti morta.»

«Ora sono io ad ammazzare le persone, non il contrario.»

Sembrò notare solo allora il colore del mio mantello e dei miei occhi. Lo vidi spalancare la bocca in un'espressione di sorpresa.

«Ti prego, non farmi la morale anche tu. Non ne ho bisogno: so quello che faccio, anche se forse, per ora, ho creduto di agire per il bene della persona sbagliata.»

Gettai un'occhiataccia a Jon. «Se mi lasciassi il tempo di spiegare...»

Alzai un dito per zittirlo. «Non è il momento. Io e quest'uomo dobbiamo parlare di molte cose. Venite.»

Andammo tutti insieme al refettorio, dove Tormund stava apparecchiando dei posti.

«Finalmente sei tornato!» esclamò, abbracciando Jon. «Credevo che un drago ti avesse staccato le palle a morsi!»

Le cronache del Lupo e del DragoDonde viven las historias. Descúbrelo ahora