18. Tristan sei un clown

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Tristan continua a darmi fastidio senza veramente curarsi del nostro allenamento. Sono seduta da mezz'ora con la faccia attaccata al pavimento freddo nella speranza di riuscire a controllare la fiamma di una candela. Ovviamente quel genio di Tristan non mi incoraggia, anzi, continua a dirmi che sono un'incapace e che li farò uccidere tutti.

"La smetti di fare la bambina? Alzati e mettici impegno! Com'è possibile che tu riesca a dominare la terra e l'aria ma non il fuoco?" il ragazzo sbuffa e si massaggia le tempie. Si allunga per prendere l'accendino e iniziare a fumare ma ogni volta che prova ad accendere la sigaretta la spengo con un breve alito di vento.

"Ma che simpatica" Tristan mi rivolge un sorriso falso e stizzito prima di lanciare il piccolo oggetto dall'altro capo della stanza con uno sbuffo.

"Dai mi da fastidio l'odore, non riesco a concentrarmi. E poi siamo sottoterra, non dovresti poter fumare qui sotto."

"Non è un mio problema." risponde facendo spallucce e accendendosi finalmente la sigaretta utilizzando i suoi poteri. Il fumo invade la stanza e il fatto che siamo costretti sotto terra, senza finestre o condotti d'aria abbastanza efficaci, non aiuta.

"Invece è un tuo problema! Con Cece era tutto molto più facile" borbotto e mi avvicino le ginocchia al petto con le braccia. Inizio a dondolare avanti e indietro tenendomi l'avambraccio premuto contro le narici per soffocare la puzza.

"Non era Cece a renderlo facile. Sei tu che sei restia a lavorare con me. Mi spieghi cos'hai?"

Il ragazzino viene a sedersi affianco a me e addolcisce sia il suo tono di voce che il suo sguardo. Adesso non sembra più così ostile ad ascoltarmi come invece lo era prima. Non so se sia colpa mia o sua ma qualcosa in questa accoppiata non sta funzionando.

"Non ho nulla." affermo e sollevandomi incrocio le braccia al petto.

"Oddio, voi donne siete davvero tutte uguali. Chelsey diceva sempre così quando stavamo insieme e stranamente era sempre colpa mia." Tristan ridacchia, roteando gli occhi al cielo.

"A che età sei arrivato qui?" domando incerta. Non voglio sorpassare il confine chiedendogli cose troppo personali ma la mia curiosità è troppa.

"Quindici anni, circa. Non ricordo esattamente. Quello che ricordo è che la prima persona che ho visto sceso dall'aereo è stata questa bambina dai lunghi boccoli biondi e gli occhi enormi."

"Dev'essere stato strano per te. Ritrovarti in un posto così dopo tutti quegli anni..."

I suoi occhi si fanno cupi e tristi, come se le mie parole gli avessero portato via ogni briciolo di spensieratezza dal viso.

"Tu ci sei stata più tempo di me."

"Hai ragione ma io non sono stata trattata come un'arma per dieci anni. Venivo trattata meglio degli altri perché pensavano che il mio sangue potesse curare i dotati ma a quanto pare si sbagliavano" sospiro e nel tentativo di rialzarmi cado sopra di lui come un sacco di patate. Per fortuna Tristan ha i riflessi più veloci dei miei e riesce ad afferrarmi prima che la mia testa colpisca il pavimento.

"Cosa ti facevano?" chiede titubante.

Rimango stupita e per qualche secondo non proferisco parola ma quando riesco a fare ordine nei miei pensieri rispondo alla sua domanda.

"Non molto. Venivo collegata a un sacco di tubi e la maggior parte delle volte mi prelevavano del sangue per dei test. Altre volte mi facevano fare degli esercizi sotto sforzo per vedere come il mio corpo reagiva. La parte peggiore era dover bere questo strano liquido amarognolo che mi induceva uno strano stato mentale. Di solito vedevo cose che non esistevano e altre non percepivo più il passare del tempo..." Faccio spallucce cercando di scrollarmi di dosso la sensazione di tristezza.

The last DestroyerWhere stories live. Discover now