4. Un tuffo nel passato

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"Come ti chiami?" chiede Elisabeth porgendomi un bicchiere d'acqua.

"Mi chiamo Irelyn" almeno credo. Quando passi dieci anni a sentirti chiamare con dei numeri alla fine non ti ricordi più se quello che spacci per il tuo nome lo è davvero o l'hai solo sognato una notte, in preda alle allucinazioni.

"Va bene Irelyn. Sei sicura di stare bene?" mi chiede apprensiva.

"Quindi voi non avete avuto figli?" dico sorseggiando il mio bicchiere d'acqua, per cambiare discorso. Sento ancora la tristezza attanagliarmi le viscere ma adesso sono molto più calma.

"Sì, il nostro piccolo James sta riposando al piano superiore. Come sei arrivata qui tutta sola? Vuoi che chiamiamo qualcuno?" chiede mia madre poggiando una mano sulla mia coscia.

"No grazie, ho fatto un incidente in auto e per qualche strano motivo pensavo di trovare i miei genitori qui. Lasciate perdere e scusate il disturbo, non volevo irrompere così in casa vostra."

"Non importa tesoro, puoi rimanere qui finché non ti sentirai meglio. Sei sicura di non volere che chiamiamo qualcuno? Magari la polizia saprà trovare i tuoi famigliari" propone Duncan Hathaway con un sorriso comprensivo e gentile, capace di scaldare il cuore a chiunque.

"No vi prego, non chiamate nessuno! Me ne andrò fra pochi minuti." dico scattando in piedi. Se chiamano le autorità finirò per essere arrestata e riportata immediatamente nella base o mi spareranno a vista. Non voglio certamente morire così e non voglio nemmeno lasciare i miei genitori qui, senza avere spiegazioni sul perché non si ricordano di me.

"Mamma? Papà?" una testa rossa e riccioluta spunta da dietro le scale e punta i suoi occhioni scuri ed espressivi su di me. Sembra quasi di guardare un orsetto di peluche che si muove incerto sulle sue zampe.

"Jamie torna a letto, è tardi e domani devi andare a scuola" mio padre lo sgrida e lo prende in braccio. Il bambino inizia a scalciare e lamentarsi e appena il padre lo mette giù, lui viene ad abbracciarmi.

"Ciao Lynnie! Ti ho sognata tanto." i suoi occhioni scuri si fissano nei miei e riesco a vedere uno scorcio di quello che gli passa nella testa.

"James non dire una parola!" Elisabeth prende il bambino in braccio e me lo allontana. "Duncan portala fuori da casa nostra."

"No, aspettate!" grido e mi sporgo per raggiungere il bambino.

"Mamma lei è la ragazza di cui parlavo, quella dei miei disegni!"

"Mi hai disegnata?" passo lo sguardo dal bambino ai suoi genitori senza riuscire a capire cosa sta succedendo. Come può un bambino di cinque anni ricordarsi di me quando io non l'ho mai incontrato? E' troppo piccolo, io non ero più qui da anni quando lui è nato e non ci sono foto mie da nessuna parte. E' impossibile che lui sappia chi sono.

"Lasciaci in pace." dice Duncan in preda al terrore. "Non vogliamo nulla a che fare con il governo."

"E' un Dotato..." sussurro mettendo insieme tutti i pezzi. Se io ho il gene allora deve averlo ereditato anche lui.

"Devi andartene." Duncan si mette tra me e la moglie con un gesto estremamente protettivo che mi fa struggere il cuore dal dolore.

"Non denuncerò vostro figlio, lo giuro. Voglio solo sapere perché mi ha disegnata. Come fai a conoscermi James? Che cosa hai visto?"

"Ti ho vista nella mia cameretta ma avevi la mia età, adesso sei molto più grande" dice con innocenza il bambino, raggomitolandosi contro il petto della mamma.

"Sai chi sono?"

Il bambino scuote la testa e io mi prendo la testa fra le mani. Pensavo potesse vedere il futuro o il passato ma non è così altrimenti saprebbe convincere i nostri genitori che sono loro figlia, magari persino restituirgli i ricordi! Non so se sia possibile o se il governo ha semplicemente deciso di cancellare tutto ciò che mi riguardava, così da impedire che chiunque potesse ribellarsi e venire a cercarmi.

"Come funzionano i suoi poteri?" chiedo nella speranza di capirci di più.

"Nostro figlio non è un tuo problema."

"Sì invece! Vostro figlio è un mio problema visto che è mio fratello ed è l'unico che si ricorda della mia esistenza." sbotto in preda alla rabbia e la terra sotto i miei piedi inizia a tremare. Prendo un respiro profondo cercando di calmare i nervi e anche il terremoto si arresta. "Voglio sapere come funzionano i suoi poteri e non me ne andrò senza una risposta." incrocio le braccia al petto e mi impedisco di tremare. Non posso sembrare una ragazzina spaventata in un momento come questo.

"Non so di cosa tu stia parlando ma ti preghiamo di andartene da qui, non vogliamo problemi" Elisabeth sembra terrorizzata e sapere che sono io a causarle tutta questa sofferenza mi spezza il cuore. Indietreggio e vado a sbattere contro un tavolino e faccio cadere in terra un vaso che si rompe all'impatto con il pavimento.

Scappo di corsa senza guardarmi indietro. Quella non è più casa mia da un decennio ormai e io non ho alcun diritto di piombare così nelle loro vite, rischiando di distruggerle per i miei scopi egoistici. Corro finché non mi ritrovo vicino a un parco giochi abbandonato e vado a nascondermi dietro un vecchio muretto a secco parzialmente distrutto.

Il mio cuore non può reggere tutto questo stress, così mi raggomitolo in terra e inizio a singhiozzare. Non riesco a far uscire nemmeno una lacrima e non so se sia colpa dello shock o perché sono incapace di lasciare andare le mie emozioni in modo sano. Di solito finisco per colpire oggetti o il muro nel tentativo di rilasciare un po' di tensione. Sento dei passi dietro di me e per paura che sia qualcuno dell'esercito, chiamato dai miei genitori, afferro un mattone e mi preparo a combattere per la mia vita. Uno strano odore di bruciato aleggia nell'aria e il calore che sento allo stomaco si intensifica mentre l'adrenalina inizia a entrarmi in circolo. Chiudo gli occhi e quando li riapro vengo avvolta da un anello di fuoco, scatto sorpresa in avanti ma vengo buttata a terra da un ragazzo decisamente più forte di me. Mi blocca con i polsi e mi mette una gamba in mezzo alle mie per evitare che mi muova ma sbatto la testa su un pezzo di metallo, forse il resto di un cancelletto o di una vecchia automobile.

"Ti ho preso!" dice con un sorriso affascinante e soddisfatto.

Le orecchie mi iniziano a fischiare per tutta la tensione che sto accumulando e scaglio il mattone in avanti appena riesco a liberarmi un polso e il ragazzo viene preso alla sprovvista e ne approfitto per scappare.

Corro a perdi fiato finché l'aria che mi entra nei polmoni è così scarsa che anche un solo respiro mi provoca fitte intense al petto e alla gola. Il vento mi sferza il viso come se stesse scagliando mille piccole schegge di vetro contro di me. Mi fermo per prendere fiato e come mi giro non vedo nessuno dietro di me.

Non faccio in tempo a tirare un sospiro di sollievo perché vengo scagliata a terra da una portiera infuocata, sbatto la testa contro il terreno freddo e resto immobilizzata dal dolore.

"Smettila di combattere o sarò costretto a farti del male!" dice il ragazzo torreggiando su di me. Incrocia il suo sguardo con il mio e sbuffa scocciato quando Cece gli poggia una mano sulla spalla.

"Tristan, non terrorizzarla e aiutala ad alzarsi. L'aereo non può rimanere ancora per molto nella zona vietata" lei mi tende la mano e nonostante la confusione accetto il suo aiuto.

"Sei pronta?" chiede Tristan alla bionda. Quest'ultima annuisce e prende le nostre mani, chiude gli occhi e sento come se tutti i miei organi venissero attirati da una calamita invisibile. Iniziamo a fluttuare nell'aria e con un salto vengo scagliata in aria, sempre più su nel cielo. Sobbalzo quando vedo un aereo con il portellone abbassato aspettarci a duecento metri da terra. Entriamo lì dentro e cado a terra quando sbatto sul metallo. Il portellone inizia a chiudersi lentamente e riesco ad intravvedete solo piccoli schizzi di cielo prima che si chiuda definitivamente.

The last DestroyerHikayelerin yaşadığı yer. Şimdi keşfedin