22. Un appuntamento al buio

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L'aria è frizzante a quest'ora della notte e l'umidita non aiuta per niente. Lancio uno sguardo veloce all'orologio da polso solo per rendermi conto che è più presto di quello che pensavo, è mezzanotte. L'aria sa di fresco mischiato al polline dei fiori che si muovono a causa del venticello e lasciano che i loro aromi si disperdano per tutto il prato. La notte fa sembrare la foresta ancora più inquietante di quanto non lo sia di giorno, un grosso ammasso di materia nero da cui provengono strani rumori, potrebbe essere la porta dell'inferno per quanto ne so. Tuttavia uno di questi giorni, appena troverò il tempo, andrò a esplorarla. Passo lo sguardo veloce sulla radura flebilmente illuminata dalle luci all'interno della casa e in lontananza, vicino all'albero di mele, intravedo una sagoma scura e immobile. A passo lento mi avvicino e mi siedo affianco a Jansen senza rompere il silenzio della notte.

"Come sta Tris?"

"L'ho buttato nel letto e l'ho lasciato lì. Probabilmente domani dovrete pulire il suo vomito. Oggi ha proprio esagerato." cerco di soffocare la rabbia crescente per il comportamento del ragazzo ma l'alcol che mi scorre in circolo non me lo rende facile. Il mondo, nonostante io sia seduta, sembra girarmi intorno e non riesco a fermare la sensazione di nausea che mi blocca il respiro.

"Starà bene. Scommetto che domani mattina si alzerà dal letto, prenderà il suo solito caffè freddo e sarà come nuovo"

Annuisco in silenzio, poi mi ricordo il vero motivo per cui mi trovo lì fuori a prendere freddo.

"Cosa dovevi dirmi prima?"

"Oh giusto." Jansen si gira verso di me e a questa distanza, nonostante il buio, riesco a vedere ogni singolo tratto del suo viso con estrema precisione.

Alla base militare le luci si spegnevano sempre alle dieci e per colpa della mia insonnia non riuscivo mai ad addormentarmi prima delle tre del mattino senza i sonniferi. Ovviamente non potevo sempre ingurgitare farmaci, perciò finivo per dover leggere facendo affidamento solo sulla luce fiocca che illuminava i corridoi dove le guardie facevano il loro turno. Alcune volte mi perdevo nei loro discorsi e scivolavo in uno strano stato di pace interiore ma non riuscivo comunque a dormire.

"Che ne dici se facciamo una passeggiata e parliamo un po'?" chiede il biondino titubante.

"Va bene." annuisco e Jansen mi allunga una mano per aiutarmi ad alzarmi. Lo ringrazio con un sorriso appena accennato e fianco a fianco camminiamo verso il limitare della radura, dove iniziano gli alti e fitti sempreverde.

"Come ti stai trovando con la squadra?"

"Per fortuna vado d'accordo con tutti, specialmente con Chelsey e Trevor a dire il vero, ma anche Karina non è male quando smette di tenere il broncio."

Jansen ride sonoramente ma cerca di soffocare un risolino quando si accorge che il resto della base sta già dormendo.

"Non ha sempre il broncio, è il suo atteggiamento da ragazza cupa e misteriosa."

"Sono parole sue?"

Il ragazzo annuisce e io scuoto la testa. Quella ragazza è allucinante e non smette mai di sorprendermi.

"Di certo è un'affermazione a effetto." faccio spallucce e mi metto le mani dentro le tasche della felpa per riuscire a scaldarle un po'. Inizio a non sentirmi più le dita a causa del freddo.

"Karina è sempre stata così ma non ti ho portata qui per parlare di lei"

"Questo l'avevo intuito" ridacchio affermando l'ovvio. Alzo gli occhi al cielo per godermi la visuale delle stelle che illuminano la cappa celeste di un nero talmente profondo da sembrare assoluto. "Quindi perché siamo qui fuori? Non vorrei metterti fretta ma se aspettiamo ancora un po' diventerò un pezzo di ghiaccio..."

"Volevo chiederti una cosa. In questi giorni stavo pensando che adesso che sei nella squadra sul campo hai più tempo libero..."

"Non proprio" borbotto ricordandomi la mia routine piena di allenamenti faticosi e stremanti. Certo, prima dovevo rendermi utile in altri modi mentre adesso devo sempre essere pronta a partire in qualunque istante per delle missioni improvvise. E poi c'è Tristan che insiste per farmi fare più ore di allenamento di quelle che mi spettano. Non so se voglia farmi diventare una super assassina o colpirmi finché non riuscirà a spezzarmi ogni singolo osso. Quel ragazzo mi confonde.

"Beh, pensavo che magari potremmo andare in città insieme uno di questi giorni"

"Non credo di capire" lo guardo confusa non riuscendo a trovare una buona motivazione per cui Jansen voglia andare con me da qualunque parte che non sia in missione.

Il ragazzo prende un respiro profondo facendosi coraggio e poi sputa fuori tutto d'un tratto. "Ti andrebbe di uscire con me?"

Rimango a bocca aperta senza sapere cosa dire. Non sono mai uscita con nessuno e le uniche cose che so sugli appuntamenti e le relazioni le ho lette nei libri e solo adesso capisco quanto siano riduttivi rispetto alle esperienze vere e proprie. Non so come rispondere anche perché non credevo che qualcuno potesse vedermi in quel modo. Non sono alta come Chelsey o elegante come Karina che fa girare chiunque quando entra in una stanza con i suoi modi delicati ma pungenti allo stesso tempo.

"Va bene..." sussurro ancora in preda al panico e alla confusione.

"Non sembri molto convinta" il ragazzo aggrotta la fronte e corruccia le sopracciglia con fare indagatore.

"No sono convinta, è solo che non me lo aspettavo" confesso imbarazzata. Per fortuna il buio gli impedisce di vedere il disagio nei miei occhi e le guance che, sicuramente sono diventate rosse e non per l'alcol.

Jansen ridacchia e borbotta un "Va bene" mentre ci giriamo per ritornare verso la villa. Passeggiamo altri dieci minuti tra il leggero sfiorarsi delle nostre mani ma per tutto il tempo in cui lui mi racconta di quanto fosse indeciso se parlarmi o no perché aveva paura di un mio rifiuto, la mia testa vaga altrove.

Ripercorro ogni singolo passo durante tutta la serata ma il mio cervello ritorna sempre alla conversazione che ho avuto con Tristan prima della festa.

"Forza Irelyn, tutti qui lottiamo per qualcosa. Karina per un mondo senza oppressione e schiavitù, Chelsey per rendere fiera sua madre e salvare i bambini. Tu per cosa lotti?"

"Non lo so" feci spallucce e mi passai una mano tra i capelli per pettinarmeli. Il sudore me li aveva fatti appiccicare sulla fronte così quando Tristan smise di cercare di colpirmi ne approfittai per spostarli. "Non credo di volere un mondo migliore, credo solo di voler tornare dalla mia famiglia e averne una tutta mia"

"E' una bella motivazione ma stupida"

"Come può essere stupida?" dissi bloccando un suo pugno che, altrimenti, mi avrebbe preso in pieno il naso.

"Sta attenta al fianco, lo stai lasciando scoperto" disse toccandomi l'anca destra con la mano. "E' una cosa stupida volere una famiglia, soprattutto per qualcuno come noi. Non saremo mai al sicuro, le persone ci odieranno e temeranno sempre"

"Non è per questo che stiamo lottando? Per far capire alle persone che siamo noi i buoni?"

"Forse ma è una causa persa. La gente non cambia"

"Sei troppo cinico" scossi la testa e andai a prendere un sorso d'acqua.

"Per te è cinismo, per me è realismo. Semplicemente non credo sia una cosa intelligente affezionarsi a qualcuno che potrebbe lasciarti da un giorno all'altro."

"Solo perché potresti rimanere ferito? Non è una buona ragione per privarsi della felicità"

Tristan ridacchia sconsolato. "Quando passerai abbastanza tempo qui per capire ti renderai conto che avevo ragione. Per adesso concentrati sul nostro allenamento"

"Tutto bene Irie?" Jansen mi riscuote dai miei pensieri e mi accorgo di essere davanti al mio dormitorio.

"Scusa sì, sono solo stanchissima e un po' ubriaca. Ci vediamo domani?"

"Certo, buona notte" Jansen mi stampa un bacio sulla guancia e mi apre la porta per farmi entrare.

Lo saluto con un ultimo sorriso prima di buttarmi a letto e addormentarmi con la sensazione che in fin dei conti il discorso di Tristan non era poi così sbagliato.

The last DestroyerWhere stories live. Discover now