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-Grazie- mormorò Ryan stringendo forte Keith tra le braccia e, nel trovarsi così vicino all'amico, provò di nuovo un pizzico di panico all'idea di sciogliere il loro abbraccio, di perderlo. Serrò la presa, forse troppo, ma Keith non se ne lamentò, mentre lui nascondeva il viso contro una sua spalla.

Gli piacevano gli abbracci ed era una cosa che Ryan non aveva mai compreso appieno finché non aveva conosciuto Keith e gli altri, anzi, per lungo tempo aveva guardato al contatto fisico con un certo disgusto, che si era accentuato a dismisura nel periodo in cui era stato con Max.

Scacciò dalla mente quel pensiero, scuotendo la testa e strusciando la fronte contro la maglietta indossata da Keith, ricordando la prima volta che aveva ricevuto un abbraccio – proprio da Keith – senza che quel gesto gli suscitasse nel petto il familiare desiderio di fuga.

"È successo la sera in cui mi ha salvato da Max" pensò, inspirando a pieni polmoni il profumo dell'amico, "Basta pensare a quel mostro" si disse e si impose anche di sciogliere l'abbraccio con Keith, rivolgendo uno sguardo imbarazzato in direzione di Evan che, tuttavia, si limitò a sorridergli con dolcezza.

-Sei sicuro che possiamo andare?- gli chiese l'amico e Ryan annuì. -Se vuoi restiamo un altro po', possiamo anche passare la notte insieme e...-
-Keith- lo interruppe e l'altro arrossì.
-Ce la fai benissimo da solo e io devo farti respirare- disse il giovane tutto d'un fiato.
-Ecco, bravo-
-Ma se...-
-Se sto di nuovo male, ti chiamo subito- gli assicurò Ryan.

Keith gli sorrise e gli baciò una guancia, mentre anche Evan lo salutava e uscivano entrambi nel corridoio del pianerottolo. Ryan percepì un guizzo al petto e sgranò gli occhi: "Se lo dicessi a loro? Se dicessi loro delle rose?" si domandò e tornò a cercarli con gli occhi, trovandoli fermi davanti l'ascensore. Deglutì e mise un piede fuori casa, ma in quel momento ricevette un messaggio e si distrasse quell'infinitesimale frazione di secondo che lo portò a perdere l'occasione: le porte dell'ascensore si aprirono, i due lo salutarono di nuovo, da lontano, e andarono via.

Ryan imprecò e recuperò il cellulare, stupendosi nel trovare un messaggio di Claud.

Ho bisogno di vedervi. Domani, alle 9 a.m.? Facciamo colazione insieme?

La caffetteria in cui Jade si era dato appuntamento con Titty si trovava a Hollywood. Aveva ricevuto un messaggio dalla ragazza il giorno prima e non aveva nemmeno avuto il coraggio di domandarle come avesse fatto a ottenere il suo numero di telefono, sicuro che la possibile spiegazione avrebbe potuto farlo infuriare di nuovo.

Se Jade riportava alla mente quanto accaduto due giorni prima si sentiva travolgere da una vergogna cocente. Si era comportato come un ragazzino, fomentando la rabbia e il mal contento che lo circondava, dimostrandosi una persona meno matura di quella che pensava di essere.

Non si addossava le colpe dell'accaduto – credeva che per quello fosse più opportuno guardare a Jeffrey Major, per esempio – eppure non poteva fare a meno di domandarsi come sarebbe andata a finire se, quella sera, avesse posto in primo piano gli interessi di Ryan e Claud anziché i propri.

"Ti sei arrabbiato e hai fatto casino. Invece di chiuderla lì... sei quasi arrivato alle mani, complimenti!" si disse e sbuffò, scuotendo la testa.

-Hayes!- si sentì chiamare e vide Titty entrare nella caffetteria, i capelli vaporosi e neri a incorniciarle il bel viso come una soffice nuvoletta e un sorriso birichino stampato sulle labbra. La giovane si mosse tra i tavolini e gli altri avventori, ignorando gli sguardi che aveva calamitato su di sé dopo avere urlato dalla soglia dell'ingresso per richiamare l'attenzione dell'altro, seduto a un tavolino che si trovava in fondo la grande stanza.

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