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Diversi giorni dopo, mentre tutto sembrava poco per volta tornare alla normalità, Jade si recò presso la sede dell'F.B.I. di Los Angeles, a seguito di una convocazione da parte del Direttore Trent in persona.

Il giovane non aveva granché voglia di presentarsi a quell'appuntamento, ma comprendeva di non avere scuse per mancarvi, perciò si era rassegnato a lasciare il capezzale di Ryan e si trovava lì, davanti l'ufficio del direttore, nella saletta d'attesa, in compagnia di una segretaria silenziosa e impegnata con il proprio lavoro, con la faccia di uno che stesse per finire al patibolo.

Tuttavia, ben presto venne sorpreso dall'apparizione improvvisa di suo padre, che uscì dall'ufficio del capo dell'agenzia losangelina con espressione truce. L'uomo gli si fece vicino, puntando dritto verso di lui, come se si aspettasse di trovarlo lì.

-Grazie, Susan- disse, rivolgendosi alla segretaria che occupava la scrivania in un angolo della stanza, vicino la porta che conduceva nell'ufficio del direttore. La giovane, sulla trentina, con i capelli neri e gli occhi castani, si limitò ad annuire e abbassare subito lo sguardo, come se la loro conversazione fosse già finita, nonostante non avesse nemmeno avuto inizio. Jade aggrottò la fronte, mentre suo padre gli afferrava un braccio e lo spingeva ad alzarsi e a seguirlo fuori da lì.

-Papà?-
-Vieni con me-
-Mi stai già trascinando non so dove- ribatté Jade e Charles gli rivolse uno sguardo severo, mettendolo a tacere.
-Ti avevo chiesto un favore-
-Non sono più un agente, non posso mettermi a fare interrogatori come se lo fossi ancora- disse il giovane con astio, comprendendo immediatamente a cosa alludeva il genitore. -E poi ti vorrei ricordare che ho passato le ultime due settimane in ospedale...-
Charles si fermò, senza mollare la presa su di lui, e si accarezzò la parte posteriore del collo.

-Hai ragione. Mi dispiace- disse con imbarazzo. -Come sta Ryan?-
-Uhm- fece Jade, scrollandosi dalla presa di suo padre e nascondendo le mani nelle tasche dei jeans che indossava. -Felice di scoprire che ancora ti ricordi di lui- sibilò furioso.
-Sono venuto in ospedale...-
-Sì, solo il giorno in cui ce l'hanno portato e soltanto per sapere se ero collassato anch'io oppure no-
-Sono tuo padre-
-E Ryan è uno degli uomini che amo- ribatté il giovane, sentendosi soffocare dal senso di colpa a causa della naturalezza con cui aveva pronunciato quelle parole a lui, mentre aveva faticato a lungo per tirarle fuori davanti ai diretti interessati.

-Hai ragione, mi dispiace essere stato poco presente, ma ti assicuro che la mia assenza è stata dovuta al lavoro che ho svolto qui per lui, per voi- disse Charles, tentando di rendere la sua voce morbida mentre pronunciava quelle parole, sperando di non fomentare ancora di più l'ostilità del figlio. -Come sta Ryan?- gli chiese di nuovo e Jade fuggì dal suo sguardo.

-Stabile, ma debole. Alcune ferite si sono infettate, altre erano più profonde di quello che pensavano in un primo momento. Non ha lesioni a organi vitali, ma ne ha troppe e a causa delle infezioni ha la febbre e ci sta mettendo più del normale a cicatrizzare. È un casino. Anche se ha ripreso conoscenza, sembra rispondere a fatica alle cure dei dottori, infatti non hanno ancora sciolto la prognosi-
-Vedrai che si rimetterà...- disse Charles abbozzando un sorriso e Jade aggrottò la fronte, facendosi diffidente: odiava le frasi di circostanza e il fatto che suo padre gliene avesse appena rifilata una mandò all'aria quel briciolo di volontà che stava impiegando per evitare di litigare con lui, riversandogli addosso tutto il proprio dolore.

-Sì, certo, così potrete tornare a torchiarlo e stressarlo come ha fatto l'altro giorno l'agente che avete mandato a interrogarlo. Magari lo rinchiudete pure in una cella in attesa che...-
-Jade- lo interruppe suo padre. -Mi dispiace per l'altro giorno, il Direttore Trent ti voleva qui per scusarsi, ma gli ho suggerito di evitare un incontro con te, immaginavo che fossi tornato a cavalcare una certa ostilità nei confronti dell'agenzia-
-Forse. Oppure mi sono soltanto ricordato perché questo lavoro non fa per me-

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