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Da quasi ventiquattro ore Jade non mangiava e non dormiva. Aveva compreso di essersi assuefatto presto alla comoda vita da civile – per giunta, senza un lavoro – tanto da essersi abituato alla tranquillità di una quotidianità fatta di cose semplici, dove il problema più "grande" poteva derivare dalle incomprensioni che si potevano innescare con chi gli era vicino.

Non era più abituato a certi ritmi, anche se ne conservava l'istinto nelle vene, e già da un po' si sentiva arrancare, mentre Sue, al fianco, continuava ad apparire piena di energie, come se la determinazione e l'adrenalina le pompassero nel sangue tutto ciò di cui aveva bisogno per continuare a lottare. Alla fine sarebbe crollata? Jade non poteva saperlo e, in quel momento, non era neanche una cosa di cui aveva intenzione di preoccuparsi.

La sua attenzione era del tutto incentrata sull'uomo che occupava la sedia al centro della stanza.

Si trovavano a Inglewood, in una casetta a un piano, senza pretese, circondata da un giardino incolto, separata dalle altre proprietà da una cancellata di ferro arrugginito, a pochi passi dal The Forum, in compagnia di una delle persone più disgustose che Jade avesse mai incontrato in vita sua.

Maxwell Storm era un uomo sulla quartina e si portava male i suoi anni: i capelli, lunghi e già interamente brizzolati, parevano necessitassero urgentemente di uno shampoo e non stavano messi meglio gli abiti che indossava, logori, vecchi e dall'odore non proprio gradevole. Il volto era segnato da profonde rughe e in quell'involucro, poco piacevole da guardare, spiccavano i suoi occhi, di uno strabiliante e inusuale colore ametista.

L'abitazione in cui si trovavano era di proprietà dell'uomo e si erano rifugiati lì sia per tenere lui lontano da Korean Town, sia per evitare di essere rintracciati dai colleghi di Sue.

Impegnati com'erano stati alla ricerca di Redonald Dervinshi, Max era passato praticamente inosservato all'F.B.I.

Jade poteva immaginare per quale motivo Dervinshi si fosse rivolto a lui per portare a compimento il suo piano: gli aveva promesso di avere in cambio Ryan, se avesse fatto esattamente come lui stesso gli avrebbe ordinato di fare e l'uomo, da ciò che avevano scoperto, interrogandolo, aveva accettato subito la proposta che gli era stata fatta. In quel modo Redonald era finito con il collaborare di nuovo con un genere di individuo che disprezzava, ma che gli aveva permesso di restare nell'ombra.

Quella mattina, a conclusione delle indagini del giorno e della notte che si erano lasciati alle spalle, Jade e Sue avevano pensato bene di appostarsi sul tetto del palazzo che sorgeva esattamente di fronte a quello in cui si trovava l'appartamento di Ryan. Avevano atteso con pazienza, finché, poco prima dell'alba, Max era arrivato, aveva scavalcato la recinzione che delimitava la parte inferiore della scala antincendio, salito le rampe fino ad arrivare davanti la finestra della cucina di Ryan, senza mai mollare la rosa che stringeva in una mano.

Jade e Sue erano intervenuti immediatamente, bruciando di corsa lo spazio che li separava da lui, tagliando per il giardino, favoriti dal tempo che l'uomo aveva perso, concedendosi una sigaretta seduto sul davanzale esterno della finestra, come se fosse in attesa. L'idea che Ryan avrebbe potuto svegliarsi prima del solito, e trovare Max lì, aveva acceso in Jade una paura soffocante, che non gli aveva permesso di tirare fiato finché non avevano catturato il loro sospettato.

Mentre lo portavano via di lì, il giovane aveva agito d'istinto, prendendo con sé anche la rosa, di modo che Ryan, al suo risveglio, almeno per quel giorno, non sarebbe stato costretto a subire l'ennesima molestia.

Erano passate diverse ore d'allora e Jade iniziava a sentirsi insofferente alla situazione in cui erano incastrati. Il suo desiderio era quello di consegnare Max alle autorità e chiudere quella storia per sempre, ma non sembrava che Sue fosse del suo stesso avviso.

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